AIDS 2018 - Secondo Bollettino

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AIDS2018LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, in collaborazione con NAM, è lieta di fornirti la copertura scientifica ufficiale on-line della XXII Conferenza Internazionale sull’AIDS - AIDS2018, in corso ad Amsterdam dal 23 al 27 luglio 2018.

 

 

 

 

SECONDO BOLLETTINO - 25 LUGLIO

La criminalizzazione dell’HIV in posizione di rilievo nell’agenda internazionale
Le strategie in opposizione alla non scientifica criminalizzazione della trasmissione dell’HIV godono di una posizione di rilievo tra gli eventi in corso ad Amsterdam in concomitanza con la 22° Conferenza Internazionale sull’AIDS (AIDS 2018).
Tra questi eventi ricordiamo il lancio, da parte della Global Commission on HIV and the Law, di un Supplemento al report 2012 intitolato “Rischi, Diritti e Salute”.
La prima edizione di “Rischi, Diritti e Salute” chiedeva ai governi di bandire la discriminazione, revocare le leggi punitive e promulgare normative protettive al fine di promuovere la salute pubblica e i diritti umani.
Il supplemento del 2018 sottolinea la rilevanza della raccomandazione originale e ne offre ulteriori, tenendo conto degli sviluppi scientifici, tecnologici, del diritto, geopolitici e finanziari a partire dal 2012.
Le nuove raccomandazioni includono le seguenti azioni:

Inoltre, la scorsa settimana, il Simposio ‘Beyond Blame: Challenging HIV Criminalisation’ (‘Oltre le Colpe: Sfida alla Criminalizzazione dell’HIV’), organizzato da HIV Justice Worldwide, ha riunito attivisti, sostenitori, avvocati, studiosi, professionisti del campo medico e policymaker (decisori politici) provenienti da tutto il mondo al fine di individuare i modi migliori per contrastare le leggi punitive e la loro applicazione.
Il Simposio comprendeva inoltre una panoramica dell’attuale stato di criminalizzazione nelle regioni di tutto il mondo, testimonianze personali di episodi di criminalizzazione e discussione su benefici e insidie dell’uso dei progressi nella prevenzione e nel trattamento e nel lavoro di advocacy. I video delle sessioni plenarie sono disponibili sul canale You Tube di HIV Justice Worldwide.


Dolutegravir: aggiornamenti sui difetti del tubo neurale dallo studio Botswana
Uno studio condotto su donne HIV-positive in Botswana ha mostrato che l’assunzione di dolutegravir in stato di gravidanza è associata con un alto rischio di difetti del tubo neurale nei neonati esposti al farmaco, se confrontato con efavirenz.
Inizialmente presentati a maggio, i risultati sono stati in seguito posti sotto avviso di sicurezza dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA) e dalla Food and Drug Administration statunitense (FDA), le quali avvertivano che le donne in età fertile non dovrebbero assumere dolutegravir senza un efficace metodo contraccettivo. Le nuove linee-guida sulla terapia dell’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS), rese pubbliche ieri, sottolineano l’importanza di misure contraccettive affidabili e costanti nel caso in cui le donne in potenziale età fertile optino per l’assunzione del farmaco.
Ulteriori dettagli sono stati presentati alla Conferenza AIDS 2018. Lo studio ha indagato gli esiti delle nascite dei neonati le cui madri erano sottoposte a terapia antiretrovirale al momento del concepimento o durante la gravidanza, in Botswana, tra agosto 2014 e maggio 2018. Un’altra analisi, nel 2018, ha preso in esame donne che avevano cominciato un trattamento su base dolutegravir o un altro regime prima del concepimento. La ricerca riguardava nello specifico i difetti del tubo neurale. Ci troviamo di fronte a un difetto del tubo neurale quando non si formano in modo adeguato il midollo spinale, il cervello e le relative strutture. Il tubo neurale si sviluppa tra la seconda e l’ottava settimana di gravidanza e la causa più comune di tali difetti è la mancanza di acido folico, ma possono essere causati anche da alcuni farmaci.
La prevalenza dei difetti del tubo neurale era più alta nei bambini nati da donne che assumevano dolutegravir al momento del concepimento (0.94%) in confronto alle donne sottoposte a efavirenz o a altri regimi antiretrovirali al momento della nascita (0.12%).
Le novità di un potenziale problema di sicurezza e gli alert delle agenzie regolatorie e dell’OMS ha fatto sì che alcuni ministri della salute di alcuni paesi con medio e basso reddito sospendessero i propri piani di impiego di un regime su base dolutegravir come quello preferenziale di prima linea.
Tuttavia uno studio, presentato da Caitlin Dugdale dell’ospedale generale del Massachusetts, ha mostrato che evitare l’uso di dolutegravir nelle donne in età fertile porta con sé dei rischi per le donne, i bambini e i loro partner che potrebbero essere più importanti del rischio di difetti del tubo neurale.
L’impiego di dolutegravir è molto più efficace rispetto a efavirenz nella soppressione virologica: lo studio ha mostrato che il primo salverebbe 28.000 vite in più rispetto a efavirenz, scongiurerebbe 52.800 casi di trasmissione sessuale in più ed eviterebbe 5.000 infezioni neonatali a confronto con efavirenz.
I risultati evidenziano i compromessi inerenti le decisioni da prendere sul trattamento di prima linea più appropriato, in particolare nei paesi con vasti programmi per il trattamento del virus e un tasso di alta fertilità. Ma, come ha commentato Susan Little dell’Università di Georgetown, “In questo caso la politica non è forse il luogo ideale per determinare i compromessi accettabili; essa dovrebbe piuttosto essere di supporto nelle scelte significative per le donne”.


La PrEP non abbassa il livello di ormoni femminilizzanti nelle donne transessuali
L’impiego di Truvada (tenofovir DF/emtricitabina) per la prevenzione dell’HIV non abbassa il livello di ormoni femminilizzanti: ciò rassicura le donne transessuali allarmate per l’interazione farmacologica.
Alcuni studi anteriori hanno mostrato che le concentrazioni di farmaco della PrEP nel sangue delle donne transessuali erano più basse di quanto ci si aspettasse. Uno studio precedente aveva osservato che alcune donne transessuali con HIV sono restie a seguire la terapia antiretrovirale o non la assumono come prescritta perché preoccupate dell’interazione farmacologica con la loro terapia ormonale. Ciò potrebbe valere anche per la PrEP.
Lo studio iFACT, presentato alla Conferenza, ha arruolato 20 donne transessuali sieronegative che avevano ancora i testicoli intatti e non avevano ricevuto ormoni iniettabili negli ultimi sei mesi. I partecipanti hanno iniziato un regime di terapia ormonale femminizzante di estradiolo valerato (2mg al giorno) e ciproterone acetato ad azione anti-androgena (25 mg al giorno).
Alla terza settimana, le donne hanno cominciato a prendere Truvada, mentre alla quinta settimana hanno sospeso il regime ormonale, in questo modo che i ricercatori hanno potuto confrontare i livelli del farmaco PrEP a intermittenza di ormoni, riprendendo all’ottava settimana. In seguito hanno assunto sia con gli ormoni che con la PrEP, fino alla quindicesima settimana.
L’analisi ha rilevato che l’assunzione contemporanea della terapia ormonale con la PrEP non condizionava i livelli di ormone. Tuttavia i livelli di tenofovir nel sangue sono scesi del 13% in presenza dell’estradiolo, ma ancora sopra il livello proposto di protezione dall’infezione dell’HIV.
Un altro piccolo studio collegato ha rilevato livelli ridotti della forma attiva di tenofovir nel tessuto rettale delle donne transessuali che assumevano la terapia ormonale femminizzante. I livelli di tenofovir nel sangue risultavano inalterati, ma nel tessuto rettale i livelli di tenofovir scendevano all’aumentare dei livelli di estradiolo. Gli studiosi concludono che l’estradiolo può influenzare l’efficacia della PrEP. Il chairman dell’intervento, Mackenzie Cottrell, ha affermato che “sino a quando non avremo maggiori dati disponibili, è giusto condividere con le donne transessuali il fatto che ci siano ancora incertezze e la soluzione migliore potrebbe essere quella di assumere la PrEP giornaliera”.


Accesso immediato alle terapie antiretrovirali collegato alla diminuzione delle diagnosi
Accesso più rapido al trattamento dell’HIV dopo la diagnosi - e la riduzione del periodo con carica virale rilevabile - ha coinciso con il declino delle nuove diagnosi di infezione da HIV a San Francisco e a Melbourne, secondo quanto riportato dai gruppi di ricerca alla Conferenza.
In teoria, ridurre il periodo in cui le persone hanno carica virale rilevabile dovrebbe equivalere a ridurre il lasso di tempo in cui possono trasmettere il virus al partner, e dunque il numero di nuove diagnosi. A San Francisco e a Melbourne l’accesso rapido al trattamento è ormai la norma.
A Melbourne, tra il 2012 e il 2017, sono state diagnosticate infezioni da HIV a 292 uomini bisessuali e omosessuali, e la percentuale con carica virale soppressa, nei dodici mesi successivi alla diagnosi, è passata dal 59% al 97%.
Le nuove diagnosi da HIV hanno cominciato a scendere drasticamente dopo il 2014, in corrispondenza con un declino nell’intervallo di tempo tra la diagnosi e la soppressione virologica da 98 a 49 giorni, tra il 2014 e il 2016. L’incidenza dell’HIV precipitò dallo 0.86% nel 2014 allo 0.38% nel 2016 e allo 0.27% nel 2017.
Il Dipartimento di Salute pubblica della città di San Francisco ha studiato quante persone avevano ricevuto una diagnosi a partire dal 2008 e per quanto tempo avevano mantenuto una carica virale sopra le 1500 copie/ml nell’anno successivo alla diagnosi (livello sopra il quale si pensa sia più probabile la trasmissione del virus).
Tra il 2008 e il 2016, un totale di 2256 persone avevano ricevuto una diagnosi di HIV. Nel 2008, le persone a cui era stato diagnosticato il virus trascorsero il 46% del primo anno dalla diagnosi con una carica virale sopra le 10.000 copie/ml e il 62.3% con carica virale sopra le 1500 copie/ml.
Nel 2010 fu introdotta una normativa che stabiliva l’accesso immediato alla terapia dopo la diagnosi.
A partire dal 2016, coloro che avevano ricevuto la diagnosi, spendevano solo il 17% del primo anno dalla diagnosi con una carica virale sopra le 10.000 copie/ml e il 24.8% con carica virale sopra le 1500 copie/ml.


Alto tasso di infezioni da Epatite C nel programma della PrEP ad Amsterdam
Il regolare test per l’Epatite C tra gli uomini omosessuali e altri uomini che fanno sesso con uomini (MSM), coinvolti nel progetto dimostrativo per la PrEP ad Amsterdam (AmPrEP), ha rilevato alti tassi di infezione da Epatite C sessualmente trasmessa. Il tasso di re-infezione negli uomini già trattati per l’Epatite C era addirittura maggiore.
Il progetto è cominciato nell’agosto 2015 e proseguirà fino a dicembre 2020. Ha reclutato 374 MSM e due donne transessuali, e offre loro la scelta di una profilassi pre-esposizione (PrEP) giornaliera o su richiesta.
I partecipanti effettuano il test per l’epatite C ogni sei mesi. Si è registrata una prevalenza della malattia abbastanza alta, pari al 4.8%, già al momento dell’arruolamento.
Ci sono stati 12 nuovi casi di diagnosi da epatite C fino a dicembre 2017. Questo indica un’incidenza annuale di circa l’1%, dato abbastanza tipico del tasso di trasmissioni sessuali dell’epatite C tra gli uomini omosessuali HIV-positivi, ma non era mai stato riscontrato prima di allora negli uomini omosessuali negativi al virus dell’HIV.
Dei 12 nuovi casi di epatite C, sei uomini erano stati precedentemente curati per la stessa malattia. Il tasso di incidenza annuale delle re-infezioni corrisponde al dato straordinariamente alto del 25.5% all’anno.
Il principale ricercatore del progetto AmPrEP, Elske Hoornenborg, ha commentato che l’informazione sulla salute sessuale e l’incoraggiamento a evitare comportamenti che possano diffondere l’epatite C sono elementi importanti, ma effettuare il test in modo frequente e l’immediato accesso alla terapia sono probabilmente l’unica via possibile per abbassare il tasso di circolazione dell’epatite C nella comunità gay.


La duplice terapia con Dolutegravir funziona bene nei pazienti che iniziano la terapia per la prima volta
La combinazione dei due farmaci Dolutegravir (Tivicay) e lamivudina è virologicamente efficace tanto quanto il regime antiretrovirale standard a tre compresse per le persone con HIV che iniziano la terapia per la prima volta, secondo i risultati di una coppia di studi (GEMINI 1 e 2).
Studi pregressi hanno evidenziato che dolutegravir in associazione con lamivudina mantiene la soppressione virologica nei pazienti che erano in regime terapeutico a tre compresse e con carica virale non rilevabile. Una combinazione a una compressa contenente dolutegravir e rilpivirina (Juluca) è stata recentemente approvata in Europa e negli Stati Uniti, ma solo come opzione nel cambiamento terapeutico per i pazienti virologicamente soppressi.
Nel complesso, i due studi GEMINI hanno reclutato 1433 partecipanti, di cui circa l’80% erano uomini, due terzi bianchi e l’età media era approssimativamente di 32 anni. Inizialmente l’80% aveva carica virale inferiore alle 100.000 copie/ml, mentre il 20% aveva una carica virale alta, tra le 100.000 e le 500.000 copie/ml. La maggior parte di loro aveva un numero totale di cellule CD4 sopra i 200.
I partecipanti allo studio assumevano o dolutegravir e lamivudina (dual therapy) o dolutegravir associato con tenofovir DF e emtricitabina (triple therapy). Lo studio ha indagato la proporzione delle persone con una carica virale inferiore alle 50 copie/ml, a 48 settimane dall’inizio del trattamento.
Gli alti tassi di risposta, con più del 90% dei partecipanti ad avere raggiunto la soppressione virologica con entrambi i regimi, dimostrano che il regime di combinazione a due compresse non risulta inferiore rispetto ai regimi standard. Tuttavia, in una minoranza di pazienti con una conta delle cellule CD4 bassa, il trattamento a triplice compressa sembra funzionare meglio (il 79% vs il 93%).
La “dual therapy” ha mostrato effetti collaterali inferiori, come i problemi alle ossa e al fegato.