AIDS 2018 - Bollettino Conclusivo

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AIDS2018LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, in collaborazione con NAM, è lieta di fornirti la copertura scientifica ufficiale on-line della XXII Conferenza Internazionale sull’AIDS - AIDS2018, in corso ad Amsterdam dal 23 al 27 luglio 2018.

 

 

 

 

BOLLETTINO CONCLUSIVO

 

I giovani e i tumori
Gli adolescenti e i ragazzi che hanno contratto il virus dell’HIV prima o al momento della nascita hanno una probabilità tredici volte maggiore di sviluppare un tumore e il rischio di morte è nove volte superiore, secondo uno studio condotto nel Regno Unito e presentato alla 22° Conferenza Internazionale sull’AIDS la scorsa settimana ad Amsterdam, rispetto ai ragazzi senza HIV.
I ricercatori hanno indagato l’incidenza di tumori maligni e il tasso di mortalità per 290 adolescenti e ragazzi tra i 10 e i 24 anni di eta’, con infezione perinatale da HIV, rispetto ai tassi della popolazione generale britannica della stessa eta’.
A otto ragazzi (il 2.8%) è stato diagnosticato un tumore nel periodo di follow-up, all’età media di 19 anni. In sei di questi casi si trattava di linfoma. Il tasso di incidenza per tutti i tumori in generale era del 3.0 per mille persone all’anno. Paragonato al tasso dello 0.2 per mille persone all’anno della popolazione generale della stessa età, si parla di un rischio di 12.9 volte maggiore.
Nonostante quattro degli otto ragazzi avessero una carica virale non rilevabile al momento della diagnosi di tumore, molti di loro avevano avuto problemi di aderenza alla terapia. Il gruppo aveva vissuto con soppressione virologica per un periodo medio di 15 anni e il numero medio di CD4 più basso era di 220 cellule/mm3.
Considerando i meccanismi che potrebbero scatenare un rischio di tumore più alto nelle persone con infezione perinatale da HIV, gli studiosi suggeriscono che l’infiammazione permanente legata all’HIV, in particolare tra coloro che non sono virologicamente soppressi, potrebbe aumentare il rischio di sviluppare tumori maligni. Si spera che, in tempi brevi, una prolungata terapia antiretrovirale ridurrà il rischio eccessivo di tumore nelle persone giovani nate con l’HIV.
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I consumatori adolescenti della PrEP
Solo l’1.5% delle persone che hanno utilizzato la profilassi pre-esposizione (PrEP) negli Stati Uniti hanno un’età pari o inferiore a 17 anni, e più dell’80% di questi sono ragazze e giovani donne, secondo le stime di Gilead Sciences presentate la scorsa settimana alla Conferenza.
Dato che i nuovi casi di HIV negli Stati Uniti sono ampiamente concentrati tra gli uomini giovani che fanno sesso con altri uomini - in particolare i ragazzi omosessuali afro-americani e latini - tali risultati mettono in luce l’importanza di rendere la PrEP maggiormente disponibile per le popolazioni a più alto rischio.
La US Food and Drug Administration ha approvato Truvada (tenofovir/emtricitabina) per la prevenzione dell’HIV a luglio 2012, ed è stato esteso agli adolescenti a maggio. Da allora, il suo utilizzo è aumentato in modo costante, ma è stato difficile determinare il numero totale di persone che usano la PrEP perché i dati non sono raccolti in modo centralizzato. Gilead Sciences ha raccolto i dati di circa l’80% delle farmacie negli Stati Uniti per monitorare l’impiego della PrEP. Lo studio ha constatato che poco più di 177.000 persone hanno iniziato a utilizzare la PrEP tra il 2012 e la fine del 2017.
Nel 2017, poco meno del 17% dei consumatori di PrEP erano sotto i 25 anni e il 3.9% erano sotto i 18. Sebbene le donne rappresentino complessivamente circa il 18% dei consumatori di PrEP, più dell’80% dei consumatori più giovani erano ragazze e giovani donne.
Gli adolescenti ricevono la PrEP soprattutto dai pediatri (il 38%), seguiti dal pronto soccorso e dal medico generico.
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Innovazioni digitali promuovono il test e la prevenzione per l’HIV agli MSM
Alla Conferenza AIDS 2018 sono stati messi in risalto alcuni interventi innovativi di promozione della salute che coinvolgono i maschi che fanno sesso con maschi (MSM), nel Sud-est asiatico, attraverso i social media, app, marketing in rete, strumenti video e servizi telefonici.
Gli interventi includevano:

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Ist e PrEP
Si sono registrati significativi aumenti delle infezioni batteriche sessualmente trasmesse (Ist) negli uomini omosessuali e bisessuali che sono stati reclutati per lo studio dimostrativo PrEPX sulla profilassi pre-esposizione (PrEP) condotto a Victoria, in Australia, ma le infezioni si sono concentrate in un sottoinsieme di consumatori della PrEP. Il 25% dei partecipanti ha avuto due o più infezioni, che rappresentano il 76% dei casi di infezioni; il 13% dei partecipanti ha riscontrato tre o più infezioni, che hanno rappresentatoil 53% dei casi.
Inoltre, un aumento nell’offerta dei test per Ist del 48% ha attenuato l’incremento complessivo dell’incidenza di Ist. Una volta presa in considerazione dagli statistici dello studio, si è potuto osservare che l’incidenza delle Ist è cresciuta del 21% negli uomini che prendevano la PrEP per la prima volta.
I principali fattori comportamentali associati con le malattie sessualmente trasmesse sono stati: avere diversi partner sessuali e fare sesso di gruppo più frequentemente. Il fatto di usare il preservativo più o meno regolarmente non faceva alcuna differenza per il tasso di Ist. Ciò suggerisce che gli interventi volti a ridurre la diffusione delle Ist nei consumatori della PrEP dovrebbero concentrarsi maggiormente sul numero dei partner e sul sesso di gruppo piuttosto che sull’uso del preservativo.
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Nuovi farmaci e nuovi dosaggi
Una dose giornaliera ridotta dell’inibitore della protesi darunavir potenziato con ritonavir (400/100 mg) si è dimostrato ugualmente efficace rispetto al trattamento con lopinavir/ritonavir nei pazienti che effettuano lo switch terapeutico dopo aver raggiunto la soppressione della carica virale, secondo una ricerca sud-africana presentata alla Conferenza.
La dose di darunavir è stata dimezzata senza alcuna perdita dal punto di vista dell’efficacia virologica. Gli studiosi suggeriscono che i benefici di questa dose ridotta possono includere meno effetti collaterali e costi più bassi. Ciò è particolarmente rilevante in un paese come l’Africa Sub-Sahariana, in cui darunavir/ritonavir è scarsamente utilizzato in parte a causa del suo costo.
I partecipanti a questo studio di switch erano già in trattamento con lopinavir/ritonavir e avevano una carica virale inferiore alle 50 copie/ml. Dopo 48 settimane, il 95% dei pazienti in trattamento con darunavir/ritonavir e il 93% di coloro che assumevano lopinavir/ritonavir avevano carica virale non rilevabile.
Doravirina è un inibitore non nucleosidico della trascrittasi di nuova generazione (NNRTI) in fase sperimentale, sviluppato da Merck. Il farmaco è attivo contro i virus più comunemente trasmessi resistenti agli NNRTI. Lo studio di fase III DRIVE-FORWARD, presentato alla Conferenza AIDS 2018, ha mostrato che doravirina era più efficace di darunavir/ritonavir per i pazienti che iniziano il trattamento per la prima volta.
Dopo 96 settimane, il 73% delle persone trattate con doravirina aveva una carica virale soppressa inferiore alle 50 copie/ml rispetto al 66% dei pazienti trattati con darunavir/ritonavir. Altre caratteristiche del NNRTI sperimentale sono, secondo i ricercatori, un tasso molto basso di resistenza, la buona sicurezza e il profilo lipidico.
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Resoconto sulla doravirina su aidsmap.com 


Dolutegravir a fine gravidanza
Uno studio pilota sull’assunzione di dolutegravir a fine gravidanza, condotto in Uganda e Sud Africa, ha constatato che le donne che hanno iniziato la terapia antiretrovirale (ART) con dolutegravir al terzo trimestre di gravidanza hanno raggiunto la soppressione della carica virale più velocemente rispetto alle donne che hanno assunto efavirenz.
In Sud Africa, circa una donna con HIV incinta su cinque comincia la terapia antiretrovirale in ritardo. Iniziare il trattamento al terzo trimestre di gravidanza è associato al non raggiungimento della soppressione virale entro il momento del parto, che è decisivo per la prevenzione della trasmissione verticale del virus da madre a figlio.
In questo studio pilota randomizzato con 60 donne che hanno iniziato il trattamento per l’HIV nel terzo trimestre, la soppressione virologica post partum (< 50 copie/ml) con dolutegravir è stata significativamente più alta (il 69%) rispetto al trattamento con efavirenz (il 39%). Il periodo di tempo medio per l’abbattimento della carica virale era approssimativamente la metà nelle donne che assumevano dolutegravir.
Uno studio più ampio sta reclutando donne a fine gravidanza per valutare ulteriormente questi risultati.
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Contraccezione e gravidanza
La necessità di servizi per il concepimento sicuro e una più ampia scelta dei metodi contraccettivi per le donne che vivono con l’HIV, nell’Africa Sub-Sahariana, sono stati evidenziati la scorsa settimana alla Conferenza AIDS 2018.
Le recenti linee guida a livello nazionale e internazionale sull’impiego di dolutegravir associato a metodi contraccettivi efficaci - visto il rischio di difetti del tubo neurale nei neonati esposti al farmaco nelle prime settimane di gravidanza - ha richiamato l’attenzione sulle differenze nella disponibilità dei contraccettivi. Alla Conferenza sono stati riportati i risultati di una ricerca su 1985 donne che vivono con l’HIV in trattamento antiretrovirale (ART) provenienti da otto centri in Uganda, Zimbabwe, Malawi e Sud Africa. Secondo tale studio la metà delle donne ha dichiarato che la loro ultima gravidanza non era desiderata/intenzionale e l’altra metà non voleva altri figli. Poco meno dell’80% delle donne non incinta e sessualmente attive hanno affermato di usare metodi contraccettivi efficaci (iniettabile, orale, dispositivo anticoncezionale intrauterino, impianto o sterilizzazione tubarica). Tra le donne che non usano un metodo contraccettivo permanente, il 18.8% hanno dichiarato di usare dei contraccettivi reversibili a lunga azione come l’impianto o il dispositivo intrauterino.
I contraccettivi iniettabili a lunga azione costituiscono il metodo reversibile più efficace per lunghi periodi di tempo e possono rappresentare un’opzione appetibile da offrire attraverso i servizi che offrono anche il trattamento antiretrovirale a intervalli di tre o sei mesi. Tuttavia, lo studio ha appurato che per le donne disoccupate, in trattamento per l’HIV, e quelle con una carica virale superiore a 1000 copie/ml, le probabilità di utilizzare tali metodi contraccettivi erano decisamente inferiori.
Per le donne con l’HIV o con un partner positivo all’HIV, l’accesso a servizi di supporto sul concepimento sicuro rappresenta una richiesta in forte crescita. Un secondo studio ha indagato i risultati di un progetto dimostrativo condotto in Sud Africa per assistere le coppie nel concepimento sicuro. Il servizio offre il trattamento antiretrovirale (ART) ai partner positivi all’HIV, profilassi pre-esposizione (PrEP) ai partner negativi, consigli sul periodo migliore per il sesso non protetto nei giorni fertili (1-2 giorni al mese), autoinseminazione, tecnologie per la riproduzione assistita, trattamento per le infezioni sessualmente trasmesse e circoncisione maschile (se l’uomo è negativo).
I ricercatori hanno dichiarato che fornire servizi per concepimenti più sicuri prevede il mantenimento in cura dei pazienti per periodi prolungati: le donne con una media di 7.5 visite e gli uomini con una media di 3.8 visite.
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Mortalità a Londra

Un esame dei decessi delle persone con HIV condotto a Londra ha rilevato che più dei tre-quarti di questi decessi erano dovuti a condizioni non legate all’AIDS, la maggior parte dei quali ha colpito persone che seguivano il trattamento per l’HIV e avevano una carica virale non rilevabile al momento della morte. Quasi la metà di queste (il 44%) sono state considerate improvvise e il 36% inaspettate.
Tra coloro che hanno avuto un decesso inaspettato, le cause principali sono state incidenti e suicidi (il 18%), malattie cardiovascolari (il 16%), malattie associate all’AIDS (il 14%), tumori non collegati all’AIDS (il 14%), ictus (il 10%) e infezioni non associate all’AIDS (10%).
Tra il gruppo più vasto di decessi le cause, in qualche misura attese, erano: malattia epatica (il 29%), malattie associate all’AIDS (il 27%), malattie cardiovascolari (il 13%) e tumori non associati all’AIDS (il 10%). In molti casi, non vi erano prove di una pianificazione di cura terminale, con la maggior parte delle morti avvenute in ospedale piuttosto che a casa o in un istituto per malattie terminali
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