IAS 2013 - Terzo Bollettino - Mercoledì 3 Luglio 2013

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IAS 2013LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, in collaborazione con NAM, è lieta di fornirti la copertura scientifica ufficiale on-line della 7° Conferenza su Patogenesi, Trattamento e Prevenzione dell'HIV - IAS 2013, in corso a Kuala Lumpur, Malesia, dal 30 giugno al 3 luglio 2013.

 

LE NOTIZIE DEL TERZO BOLLETTINO - 3 Luglio 2013


Quando iniziare il trattamento anti-HIV
Iniziando il trattamento anti-HIV quando la conta dei CD4 è ancora sulle 500 cellule per mm3 potrebbero esserci maggiori possibilità di arrivare a un controllo a lungo termine del virus senza bisogno di antiretrovirali: è quanto emerge da alcuni studi presentati alla Conferenza IAS.
I ricercatori hanno riscontrato che, quando il trattamento viene iniziato con una conta dei CD4 superiore a 500, i serbatoi di cellule infette – i cosiddetti 'reservoir' – sono di dimensioni inferiori.
Sono dati che danno un significativo contributo a due filoni importanti del dibattito in materia di HIV: l'individuazione del momento più idoneo per iniziare la terapia antiretrovirale e la ricerca di una cura.

La comunità scientifica è sempre più concorde sul fatto che il trattamento vada iniziato prima che la conta dei CD4 scenda a livelli inferiori a 500. Il trattamento precoce può infatti dare migliori risultati in termini di efficacia e abbassare il rischio di trasmissione del virus.
Secondo gli autori, i pazienti che cominciano la terapia antiretrovirale con conte dei CD4 più elevate sono ottimi candidati per studi volti a verificare se è possibile mantenere un controllo a lungo termine dell'HIV anche smettendo di assumere i farmaci.

Il trattamento è in grado di ridurre efficacemente la quantità di HIV nel sangue – la carca virale – fino a livelli 'non rilevabili' (al di sotto dei quali gli strumenti diagnostici non riescono più a rilevare la presenza del virus). Questo non significa però che l'HIV sia stato eradicato dall'organismo: i reservoir di materiale genetico del virus (HIV DNA) ancora presenti nelle cellule del sistema immunitario in forma 'quiescente', ossia latente, possono far sì che l'HIV riprenda a replicarsi rapidamente non appena si interrompe la terapia.

In uno studio condotto da un'équipe francese sono stati monitorati i reservoir virali di 309 pazienti sieropositivi che iniziavano il trattamento, ampliando il campo d'indagine anche ai loro profili immunologici complessivi.
È risultato che i pazienti che all'inizio presentavano più 500 cellule CD4 per mm3 di sangue avevano più probabilità di giungere a una normalizzazione sia dei valori dei CD4 stessi sia degli altri parametri immunologici.
Inoltre, i loro reservoir virali risultavano di dimensioni più ridotte. Questi dati fanno pensare che, iniziando il trattamento con conte dei CD4 più elevate, si possa arrivare a tenere sotto controllo il virus nel tempo anche sospendendo la terapia antiretrovirale.
Per il professor Rob Murphy, co-chair della sessione, si tratta di prove "molto convincenti" a supporto dell'inizio del trattamento con conte dei CD4 più elevate.

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Descritto un nuovo caso di "cura funzionale"

Un'équipe di ricercatori tedeschi ha descritto un altro caso di 'cura funzionale' di un paziente sieropositivo.
All'inizio di quest'anno, i ricercatori dello studio francese VISCONTI avevano riferito che 14 pazienti che avevano iniziato ad assumere la terapia antiretrovirale in fase di infezione primaria (i primi mesi dopo l'infezione), proseguendo poi il trattamento per diversi anni, erano infine riusciti a controllare il virus anche dopo aver smesso di prendere farmaci. Tale risultato viene detto anche cura 'funzionale' o 'remissione'.

L'ultimo caso segnalato è quello di un uomo di 67 anni che ha iniziato anch'egli il trattamento in fase di infezione primaria nel 1999, ottenendo rapidamente una carica virale non rilevabile e un soddisfacente aumento dei CD4. Dopo cinque anni, la terapia è stata interrotta.
L'uomo mantiene la carica virale sotto la soglia di rilevabilità senza l'aiuto dei farmaci da ormai nove anni, e non presenta tracce di HIV DNA né nelle cellule mononucleari del sangue periferico (PBMC), appartenenti al sistema immunitario, né nel liquor cerebrospinale.
Inoltre, il suo profilo immunologico ha caratteristiche simili a quello delle persone sieronegative e dei cosiddetti elite controllers – pazienti in grado di mantenere bassa la carica virale o alta la conta dei CD4 spontaneamente, in assenza di terapia.

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Possibili strategie di cura: stanare, distruggere e contenere l'HIV latente
Dal programma della Conferenza IAS emerge come la ricerca di una cura per l'HIV sia ormai l'obiettivo prioritario della ricerca.
In svariate sessioni si è parlato di come ottenere il controllo a lungo termine del virus senza bisogno di assumere farmaci antiretrovirali.
Fondamentale è il ruolo dei 'reservoir' virali annidati nell'organismo. Si è già visto come, nei pazienti che iniziano il trattamento con un'elevata conta dei CD4, questi serbatoi di HIV siano più contenuti, e come la funzionalità del sistema immunitario sia complessivamente migliore.

I ricercatori stanno ora elaborando strategie per stimolare i reservoir attivando l'HIV nelle cellule latentemente infette, in modo da poterlo poi eliminare con gli antiretrovirali.
Sono allo studio una serie di farmaci di vario tipo, tra cui gli inibitori dell'HADC e della beta catenina, che potrebbero essere in grado di riattivare il virus latente.
In un primo momento si sperava anche che il sistema immunitario riuscisse spontaneamente a eliminare i residui di virus presenti nei reservoir, ma questa speranza è stata delusa: saranno dunque necessarie terapie farmacologiche in grado di stanare ed eliminare le cellule latenti. Si sta già cercando di individuare farmaci candidabili per questo tipo di trattamenti.
È allo studio anche l'impiego di terapie immunologiche e vaccini terapeutici per impedire alle cellule riattivate di infettare altre cellule.
Si tratta, comunque, di un ambito di ricerca che sta ancora muovendo i primissimi passi.

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Controllo spontaneo dell'HIV dopo trapianto di staminali

Due pazienti sieropositivi sottoposti a trapianto di cellule staminali per la terapia del linfoma hanno dimostrato di controllare spontaneamente il virus nelle prime settimane successive all'interruzione della terapia.
Entrambi i pazienti erano da tempo in cura per l'HIV quando sono stati sottoposti a trapianto e chemioterapia. Nei mesi successivi (sei per l'uno e nove per l'altro), hanno ripreso la terapia antiretrovirale, e la loro quantità di HIV DNA nel sangue è drasticamente calata fino a scendere sotto la soglia di rilevabilità.
A quel punto, i medici hanno ventilato l'ipotesi di sospendere in via sperimentale gli antiretrovirali, e i due hanno accettato di fare un tentativo. Attualmente sono sotto stretto monitoraggio, con controlli dei livelli viremici e altri esami ematici una volta alla settimana. Nelle settimane successive all'interruzione della terapia (sette per l'uno e 15 per l'altro), sono stati condotti numerosi esami senza che si rilevassero tracce di replicazione virale o di attività immunologica specifica dell'HIV.

Secondo i medici, una spiegazione possibile è che le staminali del donatore siano riuscite a estirpare i reservoir di HIV. Il fatto che i pazienti assumevano antiretrovirali al momento del trapianto e nel periodo seguente, quando le nuove cellule si sono insediate nell'organismo, potrebbe aver impedito che l'HIV infettasse le cellule impiantate.
Anche se questi due casi presentano tratti in comune con quello del 'paziente di Berlino' (nel quale è stata ottenuta una 'cura funzionale' dell'HIV per mezzo di un aggressivo trattamento antileucemico), ci sono differenze rilevanti. Qui i medici non parlano di 'cura funzionale' dell'HIV, ma sono convinti che da questi casi si possano trarre importanti insegnamenti su come ottenere la remissione dall'infezione attiva.

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Impatto delle politiche antidroga su HIV, epatite e tubercolosi

Occorre che le politiche antidroga a livello mondiale abbandonino gli atteggiamenti proibizionistici e inizino a considerare il fenomeno come un problema di salute pubblica, è stato detto alla Conferenza. Le attuali politiche antidroga, hanno appreso i delegati, sono dannose tanto per la società quanto per i singoli individui.

Kuala Lumpur è stata scelta come sede della Conferenza anche per i successi ottenuti dal governo malese nell'attuazione dei programmi di riduzione del danno, che hanno contribuito a contenere le nuove infezioni nei consumatori di sostanze iniettive.
La Malesia era precedentemente nota per il suo approccio di "tolleranza zero" verso il consumo di droga. Adesso, nonostante non siano ancora state abrogate le punitive leggi antidroga del paese, esistono programmi di scambio di siringhe, terapie sostitutive per la dipendenza da oppiacei e altre misure di riduzione del danno. La detenzione coatta dei consumatori è stata sostituita dal trattamento su base volontaria.

Alla Conferenza è stato sottolineato come la 'guerra alla droga' stia in realtà contribuendo alla diffusione dell'HIV, dell'epatite B, dell'epatite C (HCV) e della tubercolosi (TBC).
Anche dove sono disponibili servizi di riduzione del danno, la paura dell'arresto porta molti a evitarli. Nel mondo, ben il 20% dei consumatori di sostanze per via iniettiva è sieropositivo, e in alcune zone il 90% di loro è affetto da epatite C.
"È piuttosto chiaro che la guerra alla droga non si può vincere, e che non si può vincere neppure la devastante guerra ai consumatori di droga; attuando politiche basate sulle evidenze si può vincere invece la guerra all'HIV, HCV e TBC", ha commentato Chris Beyrer della Johns Hopkins University.

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Test HIV per i gruppi ad alto rischio
Alla Conferenza sono stati presentati studi su nuove strategie per incoraggiare le persone ad alto rischio di contrarre l'HIV a effettuare il test diagnostico.
Ci sono molte persone sieropositive a cui l'infezione non è stata diagnosticata e che per questo non accedono ai trattamenti salvavita né alle cure, senza contare che hanno maggiori probabilità di trasmettere il virus.
È dunque imperativo elaborare strategie per ridurre il tasso di infezioni non diagnosticate.

In uno studio condotto in Nigeria sono è stato arruolato un gruppo di uomini ad alto rischio, tra cui sex workers, frequentatori di sex workers e consumatori di droga.
Si tratta di individui gravemente stigmatizzati e a rischio di sanzioni legali.
Gli autori hanno riscontrato che, insegnando a questi uomini a informarsi tra di loro e incoraggiarsi a fare il test, si ottenevano in questo vulnerabile gruppo di popolazione notevoli risultati in termini di adesione al test.

In Kirghizistan, invece, è stato sperimentato un sistema basato sull'uso di voucher.
"Informalmente, si è osservato che le interazioni con i sanitari sono più amichevoli quando viene presentato il voucher", ha detto Djamila Alisheva presentando lo studio.
Di per sé, il voucher non ha alcun valore economico, ma per queste persone può essere un valido aiuto per superare le barriere amministrative all'accesso ai servizi. Chi avesse paura di recarsi da solo presso un centro sanitario, inoltre, può essere accompagnato da un operatore.
Un altro vantaggio del sistema dei voucher è che può rappresentare anche un prezioso strumento di monitoraggio e valutazione.
Un altro studio ha constatato che un numero maggiore di uomini con una compagna in gravidanza accetta di sottoporsi al test per l'HIV se lo può effettuare a domicilio .
Lo studio è stato condotto nella provincia di Nyanza, in Kenya, un'area con prevalenza di HIV particolarmente pronunciata.
Le donne che dovevano sottoporsi ai controlli prenatali sono state randomizzate in due gruppi. Nel primo, i partner venivano invitati per iscritto ad effettuare il test presso una struttura sanitaria; nel secondo, alle pazienti è stato chiesto se desiderassero, dopo la visita, che un operatore andasse a casa loro per effettuare il test al loro compagno. Il tasso di adesione al test è stato del 36% tra gli uomini del primo gruppo, contro l'85% di quelli del secondo.
Grazie ai test effettuati a domicilio è possibile dunque individuare infezioni che altrimenti sfuggirebbero a una diagnosi; i partecipanti allo studio hanno dichiarato inoltre che la qualità del loro rapporto era migliorata.

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Allegato: IAS 2013 - Terzo Bollettino

 

Hanno aderito al progetto la Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani (F.O.F.I.) e la Federazione Nazionale Associazioni Giovani Farmacisti (Fe.N.A.Gi.Far.).
La traduzione dei bollettini è curata da LILA Onlus con il sostegno di 3GM.

3GM FOFI