La regione europea dell’OMS è vicina al raggiungimento dell’obiettivo UNAIDS “90-90-90” che, entro il 2020, punta a diagnosticare il 90% di tutti i casi di HIV, ad assicurare almeno al 90% di tutte le persone diagnosticate l’accesso alle terapie ART e a far sì che il 90% di loro raggiunga la soppressione della carica virale. Tale obiettivo è giudicato necessario per conseguire la sconfitta dell’AIDS entro il 2030. Tuttavia, tra i 55 stati in esame si registrano livelli di diagnosi e continuità delle cure molto variabili, motivo per cui gran parte dei paesi della macro-regione sono a sforzi aggiuntivi per centrare il target.
Lo sostiene una ricerca condotta da un gruppo di ricercatori europei, pubblicata sul Journal of Acquired Deficiency Syndromes e svolta sulla base dei dati del questionario ECDC del 2016, monitoraggio biennale previsto dalla dichiarazione di Dublino.
Lo studio, stando ai agli ultimi dati europei disponibili, stima che nell’area considerata, comprensiva di cinque paesi dell’Asia centrale, vivano circa 2,5 milioni di persone con HIV, il 6,8% del totale mondiale (circa 37 milioni di persone). Le nuove infezioni diagnosticate sono state l’8,5% del totale mondiale: 170.000 su due milioni globali. Rispetto al target UNAIDS, i dati esaminati dai ricercatori mostrano come nel 2016, in tutta l’area di riferimento, la percentuale di persone con HIV che ha ricevuto una diagnosi, è stata dell’81%. Le persone in terapia ART erano l’84% di cui l’88% con soppressione virale. Si tratta, come si diceva, di livelli vicini a quelli indicati da UNAIDS ma che nascondo, in realtà, differenze allarmanti. Difatti, a fronte di una stabilizzazione o di una diminuzione di nuove diagnosi nei paesi dell’Europa occidentale, e tra questi l’Italia, in quelli asiatici e dell’est europeo si registra un drammatico incremento. Nel 2015/16 il tasso di persone con nuova diagnosi di HIV ha toccato quota 17.6 per 100.000 abitanti, con un aumento del 7% rispetto all'anno precedente. La stragrande maggioranza, ben il 79%, si trovava nella subregione orientale comprendente i 15 ex paesi dell'Unione Sovietica, inclusa la Russia.
Rispetto al target “90-90-90” la situazione nelle tre sottoregioni europee è la seguente:
- 84-88-90 in Europa occidentale
- 84-69-62 in Europa centrale
- 57-45-57 in Europa orientale.
Rispetto a tutta la popolazione con HIV, includendo, dunque, anche le persone non diagnosticate, i tassi di soppressione virale stimati sono i seguenti:
- 66% nell'Europa occidentale
- 36% nell'Europa centrale
- 14% nell'Europa orientale.
Ricordiamo che l’obiettivo 2020 di soppressione virale per tutta la popolazione con Hiv, anche non diagnosticata, è del 73%. Lo studio stima che la mancata diagnosi sia responsabile, nell’intera area, del 47% del totale di persone con HIV che non sono in soppressione virale. Perfino nella subregione occidentale, dove l’84% di persone con HIV ha ricevuto una diagnosi, il numero delle persone non diagnostiche rappresenta il 48% di quelle prive di soppressione virologica. Anche un esame target per target, ossia per ciascun “90” evidenzia divari significativi tra paese e paese.
Il tasso di diagnosi (primo “90”) varia da un minimo del 38% in Tagikistan al 98% della Romania mentre l’accesso alle terapie (secondo “90”) varia tra il 27% della Lettonia al 96% di Malta e del Regno Unito. In tutto, otto paesi hanno raggiunto, su questo punto, l'obiettivo del 90% di UNAIDS.
Per quanto riguarda il terzo obiettivo Unaids (90% di persone trattate con carica virale soppressa) sono undici i paesi che dichiarano di averlo raggiunto. Molto ampio il divario anche per questo target: la percentuale di persone con una carica virale non rilevabile varia dal 32% dell’Albania e del Tagikistan al 97% della Svizzera.
Svezia e Danimarca, infine, hanno riferito di aver raggiunto tutti e tre i target indicati da Unaids e il Regno Unito indica invece di aver raggiunto l'obiettivo UNAIDS del 73% di persone con HIV in soppressione virale, grazie anche al 98% di persone diagnostiche, come indicato in precedenza.
“Lo studio –concludono i ricercatori- dimostra dunque come sia necessario fare molto di più migliorare i tassi di diagnosi dell'HIV e la copertura della ART”.
Ma gli autori hanno evidenziato anche un altro nodo: quello della raccolta dei dati di sorveglianza. Nonostante la collaborazione fornita da 48 stati su 55 nell'invio di un qualche tipo di dati, lo studio ha rilevato non poche criticità nei metodi, nella continuità, nella completezza, nell’aggiornamento dei vari sistemi di raccolta e questo, principalmente, per tre motivi:
- Assenza di un'unica fonte per tutte le fasi del continuum assistenziale
- Carenza di esperienza
- Mancanza di risorse finanziarie e umane.
L’estremo più critico è rappresentato dalla Russia che, nonostante manifesti una veloce e preoccupante diffusione dell’epidemia, figura tra gli undici paesi che non trasmettono i dati del questionario di monitoraggio della Dichiarazione di Dublino. Visto che il tasso nella subregione orientale è dominato, per ovvie ragioni demografiche, proprio dalla Russia, le stime formulate per la regione europea nel suo complesso, e per l’Europa orientale in particolare sono quasi certamente “ultra –ottimistiche”. L’avvertimento è degli stessi ricercatori che segnalano un nesso strettissimo tra efficacia degli interventi di contrasto all’HIV e buon funzionamento dei sistemi di sorveglianza: “È difficile immaginare che un paese possa raggiungere il target 90-90-90 se non si è in grado di produrre una stima accurata di questa misura – affermano gli autori dello studio-. Occorre dare priorità alle risorse che consentono ai paesi di affrontare la sfida di produrre solide stime e di tracciare i progressi verso il raggiungimento di tale obiettivo". Non a caso i paesi della subregione orientale che non forniscono dati continui, come ad esempio Russia e Bielorussia, mostrano i tassi più elevati di nuove diagnosi di HIV , più del doppio di quelli che riportavano dati solidi e continuativi.
Un’ultima notazione relativa all’Italia. Il paese si colloca tra i paesi occidentali e dunque, certamente, tra quelli più vicini al raggiungimento dei target UNAIDS. Tuttavia, i dati utilizzati in questo studio risultano risalente addirittura al 2012, i più vecchi tra quelli impiegati. Non sappiamo con esattezza da cosa questo sia dipeso ma, sappiamo, di certo, che il nostro paese necessita di una decisa e urgente riforma del sistema di sorveglianza, a partire dall’unificazione dei registri per HIV e AIDS.