Dura da oltre trent’anni, ha provocato danni devastanti, infinite tragedie personali e collettive, risultati fallimentari ma non è ancora finita: la guerra alla droga in Italia non sembra conoscere tregua. Mentre in tutto il mondo civile si assiste a cambiamenti radicali o, almeno, all’avvio di serie analisi sulle politiche di contrasto alla droga fin qui globalmente adottate, l’Italia sembra avviarsi verso un ulteriore arretramento nelle retrovie del proibizionismo, della repressione, della criminalizzazione del consumo. E’ il quadro che emerge dal decimo libro bianco sulle droghe presentato a Roma lo scorso 26 giugno.
Intitolato, per l’appunto, “la guerra dei trent’anni”, il dossier è stato presentato nell’ambito della campagna internazionale “Support don’t punish” , a difesa dei diritti di chi usa sostanze e che, anche quest’anno, toccherà oltre 200 città in 94 paesi. A promuoverlo La Società della Ragione insieme a Forum Droghe, Antigone, CGIL, CNCA e Associazione Luca Coscioni e con l’adesione di: A Buon Diritto, Arci, Comunità di San Benedetto al Porto, Funzione Pubblica CGIL, Gruppo Abele, ITARDD, LegaCoopSociali, LILA.
Mancando da ben nove anni la convocazione della conferenza nazionale sulle droghe, che per legge dovrebbe tenersi ogni tre, il libro bianco promosso dalla società civile costituisce l’unica occasione italiana di riflessione e analisi documentata sull’impatto sociale della legislazione vigente. L’edizione di quest’anno è particolarmente attenta a una ricostruzione “storica” dei risultati prodotti dal testo unico sulle sostanze stupefacenti Jervolino - Vassalli (poi legge 309/90) elaborato proprio trent’anni fa per volere di Bettino Craxi, un omaggio dell’allora leader del PSI alla politica della “tolleranza zero” contro le droghe inaugurata dagli Stati Uniti e imposta a tutto il mondo. Era l’inizio della “War on drug” che, in Italia, conobbe nel 2006 un altro inasprimento con la legge Fini - Giovanardi: tutte le sostanze, leggere e pesanti, furono equiparate rendendone punibile il consumo con pene tra i sei e i vent’anni di carcere. Nonostante la strenua opposizione del cartello “educare non punire” capitanato da Don Ciotti, l’Italia scelse così la strada della criminalizzazione di massa provocando una vera e propria esplosione della popolazione carceraria: da una media, negli anni ’80, di circa 35mila detenuti si passò, di colpo, a una popolazione carceraria di 60mila, in massima parte si è trattato, e si tratta, di persone con problemi di dipendenze. Da queste poco invidiabili vette si è scesi solo per qualche anno, a seguito della sentenza 2012 della Corte Costituzionale che smantellò gli aspetti più duri della legge. Il numero degli ingressi in carcere è però poi tornato a salire. “Il bilancio di questi trent’anni è terribile –ha detto Franco Corleone, uno dei curatori del rapporto- l’effetto sul carcere della legge è stato imponente portando ad un raddoppio delle presenze medie carcerarie. Più del 50% dei detenuti ha a che fare con il piccolo spaccio o è consumatore di sostanze proibite. Dal punto di vista del clima politico –ha proseguito Corleone- la situazione è tornata a farsi preoccupante, come dimostra il dibattito surreale sulla Canapa Light”. Per questo il cartello promotore ha annunciato l’intenzione di autoconvocare una conferenza nazionale sulle droghe.
I dati, curati da Stefano Anastasia, sono impietosi. La legge 309/90 continua a essere il principale veicolo d’ingresso nel sistema giudiziario e carcerario. Nel 2018 si è registrato un picco di accessi, il 30% circa, legati all’articolo 73 della legge, quello che punisce i “reati” più lievi come la detenzione, la cessione e il piccolo spaccio. Più nel dettaglio si tratta di circa 14mila dei 47mila ingressi totali. Passando alle presenze, sui quasi 60mila detenuti/e presenti nelle carceri italiane nel 2018, oltre 14.500 lo erano per il solo articolo 73; ad altre 5488 persone è stato contestato sia l’articolo 73 che il più pesante articolo 74 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti) mentre sono stati 940 coloro a cui è stato contestato il solo articolo 74, in sostanza i trafficanti “puri”. Quest’ultima classe di detenuti non solo non aumenta ma diminuisce, invece, di alcune decine di unità.
Nel complesso le presenze in carcere hanno fatto registrare un aumento netto del 6,5% rispetto allo scorso anno. Si tratta di circa duemila detenuti in più, 1300 dei quali per violazioni della legge sulla droga. La popolazione carceraria detenuta per questi reati ha raggiunto il 35,2% del totale. Aumentano sia per ingressi sia per presenza anche le persone con problemi di dipendenza raggiungendo la cifra record di 16.669, il numero più alto mai registrato dall’entrata in vigore della Fini - Giovanardi. Secondo i curatori del libro bianco è ragionevole pensare che, tra chi ha violato la legge sulle droghe e le persone tossicodipendenti, oltre il 50% dei detenuti e delle detenute italiane abbia una relazione con la realtà determinata dall’attuale legge sulle droghe.
Fa notare “Il libro bianco” che, in assenza dei detenuti per art.73 o tossicodipendenti, non esisterebbe il problema del sovraffollamento carcerario.
Al di là del carcere, l’attuale legge provoca conseguenze molto pesanti su tutto il sistema giudiziario e amministrativo. Nel 2018 le persone coinvolte in procedimenti penali sono state oltre 178mila per l’articolo 73, quasi il 3% in più rispetto all’anno precedente; per l’articolo 74 le persone coinvolte sono state invece oltre 43mila con un aumento del 2,7%.
Le segnalazioni alle prefetture per il solo uso di sostanze proibite continuano ad aumentare arrivando nel 2018 a oltre 39mila con un boom per quanto riguarda i minorenni: più 394,4% in tre anni. Per l’80% le segnalazioni hanno riguardato il consumo di cannabinoidi. Irrilevante la presunta vocazione terapeutica di tali misure: solo per ottantadue persone su quasi 40mila è scattato un qualche tipo di percorso socio-sanitario. Si conferma così la natura meramente repressiva delle segnalazioni ai prefetti che, dal 1990 hanno colpito un numero spropositato di persone: 1.267.183 il 73% delle quali per derivati della cannabis. Si tratta e si è trattato perlopiù di giovani e giovanissimi destinatari di un provvedimento stigmatizzante che può privarli, o averli privati, del passaporto, della patente, di opportunità lavorative. “E’ evidente –ha commentato Stefano Anastasia- come l’apparato repressivo si abbatta soprattutto sui consumatori di cannabis”.
A giustificare un tale impegno repressivo non basta nemmeno la tanto invocata pericolosità per la guida in strada. I dati forniti da Polizia Stradale, Istat e DPA mostrano come solo l’1,4% dei conducenti coinvolti in incidenti stradali siano stati accusati di violazioni dell’articolo 187 del Codice della Strada, quello che punisce la guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti. La sperimentazione dello screening su strada sembra confermare questo quadro: solo l’1% dei conducenti fermati sono risultati positivi ai test e, tra questi, oltre il 20% è stato “scagionato” dai test di laboratorio.
Oltre alla mancata convocazione, da anni, delle conferenze triennali sulle droghe, è clamorosa la lista di inadempienze segnalate da tutti i promotori: mancata attivazione dei previsti centri d’accoglienza residenziale e diurna da parte delle regioni, tabelle sulle sostanze vecchie di trent’anni mentre nessuno conosce le nuove sostanze, nessun coinvolgimento attivo dei consumatori. Soprattutto, nessun seguito ha avuto fino ad ora l’importantissima introduzione della Riduzione del Danno nei LEA, un passo in avanti fondamentale che potrebbe cambiare il volto delle politiche socio-assistenziali, al momento, totalmente disatteso.
Nel frattempo nel mondo si sperimentano nuove strade con risultati molto incoraggianti: in Uruguay, Canada e in dieci Stati americani è stato legalizzato il consumo di cannabis sia a scopo terapeutico che ricreativo: le conseguenze sono milioni di dollari sottratti alla criminalità organizzata, una diminuzione della spesa pubblica, visti i costi enormi che la guerra alla droga riversa sugli apparti di sicurezza e di giustizia, un maggior afflusso di entrate fiscali e, soprattutto, più garanzie per il diritto alla salute e alla sicurezza dei cittadini. In Italia invece, senza alcuna base scientifica, si minaccia la chiusura dei negozi che vendono prodotti della canapa e si propalano fake-news come quella sull’esistenza di una super-cannabis che non risulta essere mai stata sequestrata in nessuna operazione di polizia.
La decima edizione del libro bianco la trovi su "Fuoriluogo"