“Droga e carcere al tempo del Coronavirus” è il titolo dell’undicesima edizione del “libro bianco sulle droghe”, annuale rapporto indipendente promosso da un ampio cartello di associazioni impegnate sul tema. Lo studio, volto a valutare gli effetti sociali, giudiziari, sanitari, economici e culturali della (pessima) legislazione anti-droga presente in Italia, è a cura de: La Società della Ragione, Forum Droghe, Antigone, Cgil, Cnca, Associazione Luca Coscioni, Arci, LILA, Legacoopsociali con l’adesione di A Buon Diritto, Comunità di San Benedetto al Porto, Funzione Pubblica Cgil, Gruppo Abele, Itardd e ItaNPUD.
L’edizione 2020, relativa ai dati 2019 è stata presentata alla Camera in occasione del 26 giugno, giornata annuale a supporto della campagna internazionale di mobilitazione “Support don’t punish”. Nel rapporto dati, riflessioni e approfondimenti sul sistema dei servizi per le droghe in Italia, sulla riduzione del danno, sulle prospettive di riforma legislative, sugli orientamenti internazionali; quest’anno, vista la portata dell’emergenza, è presente anche un focus sulle conseguenze dell’emergenza Covid su carcere e consumi.
A fronte di una conferenza nazionale nazionale sulle droghe che non viene convocata da ben dieci anni, “Anche quest’anno il compito istituzionale di elaborare dati, studiare pratiche e fonti, lo assolvono le ONG” ha detto Marco Perduca, associazione Luca Coscioni, sottolineando la latitanza delle istituzioni in materia e ribadendo le conseguenze nefaste della svolta proibizionista intervenuta trent’anni fa, con il testo unico Jervolino-Vassalli sulle sostanze stupefacenti. “Ormai non possiamo più parlare di effetti collaterali delle due pessime leggi che hanno regolato in questi tre decenni le politiche sulle droghe ma dobbiamo parlare di effetti voluti” ha incalzato Leonardo Fiorentini, Direttore di Fuoriluogo, cui è spettato il compito di illustrare dati e numeri del fenomeno. “La legge sulle droghe –ha spiegato Fiorentini- continua a essere il principale veicolo d’ingresso nel sistema della Giustizia italiana”. Sotto accusa, ancora e soprattutto, l’ormai famigerato articolo 73 della 309/90, quello che punisce la detenzione e il piccolo spaccio di stupefacenti, dunque, soprattutto i consumatori e, soprattutto, i giovani, non certo il grande narcotraffico che continua a lucrare indisturbato introiti miliardari. Basti pensare, sostiene il rapporto, che, senza i detenuti per l’articolo 73 o senza persone tossicodipendenti, il fenomeno del sovraffollamento nelle carceri non ci sarebbe.
Anche lo scorso anno, ben il 30% degli ingressi in carcere è stato causato da violazioni dell’articolo 73 per un totale di 13.677 persone a fine anno su un totale di 46.200. Sul complesso della popolazione carceraria, pari a 60mila persone al 31 dicembre 2019, ben 14.475, oltre il 35% del totale, si trova nei penitenziari per violazione del solo articolo 73; altri 5.709 lo erano anche per il più grave articolo 74 e solo 963, l’1,58%, esclusivamente per l’articolo 74. La presenza di persone con dipendenza da droghe resta per il quarto anno consecutivo ai massimi storici: si tratta del 28% circa dei detenuti e, addirittura del 36,4% degli ingressi totali in carcere, un andamento in costante crescita che ha visto superare il picco raggiunto nel 2007 con la Fini - Giovanardi, quando i detenuti con dipendenze da droghe raggiunsero il 27,5% del totale.
L’impatto di una legislazione così repressiva sul sistema giudiziario e di sicurezza è enorme. I fascicoli aperti nei tribunali sono oltre 200mila, 175mila dei quali per violazione dell’articolo 73, in linea con i picchi della Fini - Giovanardi. La vocazione alla condanna per reati di droga è molto alta rispetto ad altri reati: un procedimento su due termina con una condanna, proporzione che, nel caso dei ben più gravi reati contro la persona o contro il patrimonio diventa uno su dieci. Ancora in aumento le misure alternative al carcere che si traducono però spesso anche in una forte limitazione della libertà personale per un numero crescente di persone.
In costante aumento la pressione sui consumatori. Dal 1990 il sistema repressivo del consumo ha visto la segnalazione per possesso di sostanze stupefacenti ad uso personale di ben 1.312.180 persone, di queste quasi un milione, il 73,2% , per derivati della cannabis, secondo un processo di criminalizzazione di massa dalle proporzioni inaccettabili per uno stato democratico.
Si tratta di un numero altissimo di cittadini stigmatizzati a vita, fortemente limitati nei loro diritti basilari sul lavoro, nella vita sociale, negli spostamenti. E La tendenza è deciso aumento. Nel 2019 le persone segnalate ai prefetti sono state 41.744, in aumento di quasi il 7% rispetto all’anno precedente. Tra loro ben 4mila minorenni. L’intento “curativo” di questo strumento dimostra tutta la sua insussistenza se si guarda al numero dei programmi terapeutici richiesti: appena duecento mentre nel 2007 erano circa tremila. In lieve calo invece le sanzioni che riguardano un terzo dei casi segnalati. A essere colpiti sono soprattutto i consumatori di cannabis, pari al 78%, seguono i consumatori di cocaina, 15,6%, di eroina 4,6% e percentuali molto basse di consumatori di altre sostanze.
Al centro dell’attività antidroga delle forze dell’ordine sembra esserci dunque proprio la cannabis. Un’analisi dei dati della Direzione Centrale per i servizi antidroga mostra come gran parte delle operazioni, delle segnalazioni, dei sequestri riguardino proprio questa sostanza.
Labile sembra essere, infine, il legame tra consumo di droghe e incidenti stradali. Un esame, non semplice, dei dati, ci mostra come quasi il 93% degli incidenti sia risultato non collegato al consumo di droghe. I test notturni effettuati dai Carabinieri durante i controlli del week end mostrano inoltre solo uno 0,27% di positivi.
Diverse ricerche collegate al libro bianco hanno posto l’attenzione su quanto accaduto in fatto di consumi e carcere durante l’emergenza Covid. Una prima notazione riguarda la capacità di controllo e gestione dei propri consumi durante il lockdown da parte delle persone che usano droghe: “tutti gli indicatori ci dicono come, nonostante il periodo difficile, i consumatori abbiano saputo regolare e adattare i propri usi e limitare i rischi –ha spiegato Stefano Vecchio di Forum droghe- Un ritratto davvero diverso da quello di un consumatore inconsapevole che va alla disperata ricerca di qualsiasi cosa possa alterarlo. Non è stato così, impariamo la lezione”. Flessibilità e adattabilità l’ha mostrata durante il lockdown anche il mercato illegale che ha trovato nuove modalità di azione senza mai interrompersi mentre i servizi di riduzione del danno e i servizi pubblici per le dipendenze si sono adeguati solo a macchia di leopardo, spesso “dimenticando” le necessità dei propri assistiti.
L’emergenza Covid ha reso, inoltre, evidente in tutta la sua gravità, l’emergenza carceri, popolate ormai, come abbiamo visto, per quasi il 36% da persone con problemi di dipendenza. Le misure di contenimento della pandemia ne hanno aggravato le sofferenze come dimostrano le rivolte, esplose all’inizio del lockdown senza che si aprisse alcun dibattito pubblico: “Sui tredici morti di quei giorni vige un silenzio inquietante –ha detto Franco Corleone -non se ne sa più nulla”. Intanto all’orizzonte non s’intravede alcuna riforma del sistema carcerario: “anzi –ha accusato Corleone- abbiamo assistito ad una polemica assurda sulla detenzione domiciliare, montata sulla storia non vera dei 300 mafiosi scarcerati. Il carcere non è in grado di assicurare il diritto alla salute. In Italia è il carcere l’unica politica sulle droghe esistente. Si facciano le riforme necessarie”.
“Bisogna alleggerire il carcere da tutto ciò che è legato ad uso, consumo, abuso di sostanze. Non è con le politiche penali che si può affrontare questa questione” ha detto Patrizio Gonella di Antigone esprimendo preoccupazione per la proposta di legge depositata in parlamento dal leghista Molinari, che accentua il carattere repressivo delle norme vigenti. Sostegno, invece, a quella di segno opposto presentata da Riccardo Magi. A Testimoniare il loro impegno per una riforma antiproibizionista, basata sulle evidenze scientifiche, della legislazione antidroga, contro la proposta Molinari, sono state anche le parlamentari cinque stelle Doriana Sarli e Caterina Licatini.
“Questo libro bianco è un grido di rabbia e di dolore della società civile ma anche un’azione volta a riaffermare il principio della libertà personale e il rispetto del diritto alla salute di tutti e tutte” ha concluso Massimo Oldrini, Presidente della LILA, ricordando quanto il proibizionismo e lo stigma abbiano favorito la diffusione dell’HIV. Oldrini ha poi ricordato gli ostacoli che ancora si frappongono alle persone che necessitano di utilizzare la cannabis a scopi terapeutici scontrandosi ogni giorno con l’ostracismo delle istituzioni e dei servizi.
Il consumo di cannabis e hashish riguarda, secondo dati della relazione parlamentare sulle droghe, almeno 6/7 milioni di persone in Italia, cittadini e cittadine che rischiano una repressione senza senso per un reato inesistente: “Non c’è più tempo -l’appello di Oldrini- la politica riprenda in mano la questione droghe e cancelli questa legge”.
https://www.fuoriluogo.it/pubblicazioni/libro-bianco-droghe/droghe-e-carcere-al-tempo-del-coronavirus/#.XwwfeW0zbIU