Per la prima volta dopo cinquant’anni, nel marzo scorso, la “Commission on Narcotic Drugs” , la Commissione stupefacenti delle Nazioni Unite (CND) ha riconosciuto la “Riduzione del Danno” come una strategia utile a contrastare la crisi da overdose che sta affliggendo alcuni paesi e, in particolare gli Stati Uniti.
Il riferimento esplicito alla Riduzione del Danno (RdD) è contenuto in una risoluzioneapprovata in plenaria dalla 67esima sessione della CND con 38 voti a favore e 2 contrari, quelli di Cina e Russia, da sempre strenui oppositori della RdD. Al centro del documento, presentato da 21 paesi, c’è il dramma delle morti da ovedose causate dagli oppioidi sintetici e, in particolare, dal Fentanyl: in dieci anni, i decessi correlati all’abuso di queste sostanze sono stati 650mila solamente negli USA. In particolare, la risoluzione: “Incoraggia gli Stati membri a esplorare approcci innovativi (..)per affrontare più efficacemente le minacce alla salute pubblica e individuale poste dall’uso non medico e non scientifico di droghe, in particolare l’overdose, coinvolgendo tutti i settori interessati. Il testo sostiene inoltre: “Le misure di riduzione del danno, volte a prevenire e ridurre al minimo le conseguenze negative, per la salute pubblica e la società, dell’uso non medico di droghe, anche al fine di prevenire e rispondere al problema overdose”. Duplice la novità di questa storico pronunciamento dell’organismo ONU: la prima, come si è detto, riguarda il merito della risoluzione e al riconoscimento della riduzione del danno; la seconda è rappresentata invece dalla decisione di andare al voto rompendo il metodo del “consensus", ossia la ricerca di unanimità su qualsiasi decisione, una prassi che ha finora ha bloccato ogni evoluzione delle politiche internazionali sulle droghe avallandone un’impostazione tutta proibizionista e punitiva. La logica della “War on Drug”, la guerra alla droga, che per quarant’anni ha colpito soprattutto i consumatori, senza intaccare gli introiti colossali del narcotraffico internazionale, segna così una significativa battuta d’arresto, anche se la strada da percorrere è ancora lunga. Alla svolta ha contribuito anche il nuovo atteggiamento di Washington che, con l’avvento dell’amministrazione Biden, ha abbandonato il fronte ultra-proibizionista, di cui è stata da sempre alla guida.
La CND è una delle commissioni del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) e, di fatto, governa le politiche ONU sulle droghe supervisionando l’attuazione delle convenzioni del 1961, 1971 e 1988. La commissione ha sede a Vienna, dove si riunisce una volta l’anno. Vi partecipano con diritto di voto cinquantatre paesi tra quelli aderenti alle convenzioni stesse, eletti a livello regionale. Tra questi anche l’Italia che era rappresentata a Vienna dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Il governo italiano ha votato a favore della risoluzione, rispettando l’orientamento comune dei paesi UE, anche se la politica che esprime resta di duro proibizionismo. “Ora che la riduzione del danno è ufficialmente entrata nel linguaggio della CND cadono tutti gli alibi –afferma in un comunicato stampa il segretario di Forum Droghe Leonardo Fiorentini- anche in Italia dove la crociata ideologica del sottosegretario Mantovano ha fatto rimuovere il termine dalla relazione sulle dipendenze del Governo Meloni”. Facendo riferimento al recente decreto governativo per la prevenzione da Fentanyl in Italia, Fiorentini aggiunge: “Non si risolve nulla creando allarme e inserendo nuove sostanze e precursori in tabella. Questa è solo propaganda; per salvare vite bisogna invece rendere disponibili dappertutto servizi di riduzione del danno”.
Nello stesso comunicato, anche la responsabile delle Ricerche di Forum Droghe, Susanna Ronconi, incalza: “Adesso c’è solo da riprendere il lavoro fatto nell’ultima conferenza sulle droghe di Genova e approvare il Piano d’Azione Nazionale sulle Dipendenze (PAND), bloccato per motivi puramente ideologici dal Governo Meloni. È tempo – conclude Ronconi – di definire, implementare e finanziare gli interventi di Riduzione del Danno che sono Livelli Essenziali d’Assistenza, inattuati, sin dal 2017 come ci ha richiamato a fare il Comitato per i Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite”.
La risoluzione della CND è stata salutata con grande favore anche da UNAIDS che parla di traguardo storico: ”La risoluzione rappresenta una pietra miliare nell’impegno per un riequilibrio delle politiche sulle droghe verso un approccio di salute pubblica –si legge nella nota di UNAIDS- Un simile cambiamento è fondamentale per raggiungere gli obiettivi della strategia globale contro l’AIDS 2021-2026”.
Citando la definizione dell’OMS, UNAIDS ricorda: “La riduzione del danno è un “pacchetto completo di interventi basati sull’evidenza, sulla salute pubblica e sui diritti umani, inclusi programmi di distribuzione di siringhe e aghi sterili (NSP), l’erogazione di terapie di mantenimento con agonisti (sostitutivi) degli oppioidi (OAMT) e naloxone per la gestione dell’overdose. La Riduzione del Danno si riferisce anche a politiche e strategie che mirano a prevenire gravi danni alla salute pubblica e individuale, tra cui l’HIV, l’epatite virale e l’overdose, senza necessariamente interrompere l’uso di droga”.
Riferisce UNAIDS come, dal 2018 solo cinque paesi abbiano raggiunto l’obiettivo di fornire 200 aghi e siringhe sterili a ciascuna persona che faccia uso di droghe per via endovenosa. Nello stesso arco di tempo solo tre paesi hanno riferito di aver raggiunto l’obiettivo della copertura del 50% della terapia di mantenimento con agonisti degli oppioidi tra quanti assumo droghe per via iniettiva.
“La criminalizzazione dell’uso e del possesso di droga per uso personale in almeno 145 paesi, insieme allo stigma, alla discriminazione e alla violenza, continua a limitare sia la fornitura che l’accesso ai servizi salvavita di riduzione del danno –denuncia UNAIDS- Il mancato investimento nei servizi di riduzione del danno o la mancata rimozione delle barriere che ne inibiscono l’accesso, comprese le barriere di genere, hanno causato tra le persone che si iniettano droghe una prevalenza dell’HIV superiore di sette volte rispetto a quella della popolazione generale, la più alta di tutte le altre popolazioni chiave o vulnerabili. Nei paesi che dispongono di dati, inoltre, la prevalenza media dell’HIV tra le donne che fanno uso di droghe è quasi il doppio di quella degli uomini che fanno uso di droghe”