La vicenda del religioso arrestato a Prato per droga e truffa, porta alla ribalta un cliché giudiziario e mediatico stigmatizzante nei confronti delle persone con HIV e delle persone LGBTQ+.
Premesso che non è assolutamente nostra intenzione entrare nel merito della vicenda giudiziaria, dobbiamo evidenziare come, ancora una volta, la positività all’HIV venga trattata alla stregua di un reato aggravante, un segno di certa colpevolezza o una conferma di indegnità morale, soprattutto se non viene “confessata”. Stessa cosa può dirsi del sesso di gruppo, costume sociale che riguarda milioni di italiani e italiane di ogni orientamento sessuale e che non costituisce, di certo, un reato. Tuttavia, quando la cronaca giudiziaria deve raccontare il sesso di gruppo tra persone omo-trans-bisex, viene, puntualmente, riesumato lo stereotipo del “festino gay”, termine che evoca stili di vita irresponsabili e moralmente inaccettabili associandoli, quasi sempre alla diffusione dell’HIV. Questo tipo di comunicazione alimenta lo stigma verso tutte le persone con HIV, le offende profondamente e rischia di creare danni incalcolabili alla salute pubblica perché induce chi si ritiene sieronegativo/a ad adottare le regole del sesso sicuro, solo se “avvertito” da eventuali partner con HIV. Si tratta di un messaggio irresponsabile e molto pericoloso: la persona con cui facciamo sesso, che sia stabile o occasionale, potrebbe, infatti, non sapere di essere positiva al virus. Non a caso, la trasmissione tra persone non consapevoli del proprio stato è oggi la prima di causa d’infezione.
Ancora una volta, inoltre, si parla di HIV ignorandone completante il contesto scientifico. Si riferisce, infatti, un’ipotesi di reato per lesioni gravissime senza mai chiedersi se l’uomo in questione seguisse con successo le terapie antiretrovirali. Tale condizione clinica rende, infatti, il virus non trasmissibile e riguarda la quasi totalità delle persone con HIV in Italia, quelle cioè consapevoli del proprio stato sierologico e che si curano regolarmente. Per gli investigatori dovrebbe essere molto facile verificare questo elemento, un criterio fondamentale per sorreggere l’accusa di lesioni e per un corretto resoconto dei fatti. Si è invece scelta la strada della drammatizzazione mediatica secondo lo schema “untore consapevole - vittime ignare”. Allo stesso modo, del resto, non sappiamo se le altre persone coinvolte nei presunti appuntamenti di gruppo si proteggessero usando il condom o la PrEP, la profilassi Pre-Esposizione o se fossero persone con HIV in terapia. In tali casi, dove sarebbe il rischio? O perché evocarlo senza nemmeno ipotizzare queste possibilità?
Occorre ribadire con chiarezza che le persone con HIV non hanno l’obbligo di dichiarare il proprio stato sierologico a nessuno e nemmeno ai/alle partner sessuali se sono in terapia costante o se adottano le regole del sesso sicuro. La prevenzione, inoltre, non è un compito che spetta solo alle persone con HIV, ma deve essere una responsabilità e un diritto di ciascuno e ciascuna di noi.
Per riassumere, non sappiamo se la persona al centro di questo fatto di cronaca avesse una carica virale soppressa o se abbia, deliberatamente, deciso di esporre al rischio i propri partner, non sappiamo se le persone coinvolte si proteggessero o meno, non sappiamo chi abbia trasmesso il virus a chi e, se questo sia realmente avvenuto. Nonostante ciò, il verdetto di media e opinione pubblica sembra già essere stato espresso secondo i soliti schemi: chi ha l’HIV è colpevole.
Ciò che invece ben sanno tutte le realtà che operano per i diritti delle persone con HIV e per la prevenzione è che, riferire vicende simili senza tenere conto di tutti i risvolti indicati, o farlo in modo scandalistico e sensazionalistico, senza alcuna rispetto per le persone e per le evidenze scientifiche, rinforza la sensazione di impotenza che in tanti e tante provano rispetto a questo virus. Far sentire le persone in balia della cattiveria di “untori” vendicativi o irresponsabili alimenta lo stigma verso le persone con l’HIV e, nello specifico, anche verso le persone LGBT, pregiudicando la responsabilità collettiva della prevenzione. La verità è, invece, che da questo virus ci si può proteggere con il condom o con la PrEP e che le persone con HIV in terapia non trasmettono il virus se la loro carica virale è soppressa e questo anche se non si usa il preservativo.
Se la carica virale non è rilevabile, il virus non è trasmissibile. Lo dice la scienza, con il principio U=U, ossia Undetectable equals Untrasmittable. Tale condizione si verifica, lo ribadiamo, per la quasi totalità di chi assume antiretrovirali.
Esprimiamo, dunque, tutto il nostro sdegno per i toni e i contenuti con cui la notizia è stata diffusa e trattata da diversi organi di stampa, senza alcun rispetto per la correttezza dei fatti, le evidenze scientifiche e le indicazioni deontologiche. Tutto ciò, anche ai danni della buona informazione, che esiste e che farà più fatica a far sentire la propria voce rispetto al preponderante potere (anche economico) dei toni scandalistici, dei click e dell’audience. Troviamo inaccettabile che dagli ambienti investigativi siano trapelate informazioni sullo stato di salute di una persona detenuta e che siano poi state divulgate, in violazione di tutte le norme e le indicazioni deontologiche relative alla privacy. Se la necessità fosse stata quella di “avvertire” eventuali partner degli indagati, ci permettiamo di suggerire che esistono ben altre e sperimentate modalità per farlo, meno scandaliste, che non creano panico e, soprattutto, più efficaci dal punto della tutela della salute.
Chiediamo, infine, chiarimenti sulla natura e sul contenuto di un appello diffuso da un seguito programma Rai (Chi l’ha visto? Del 22/09/2021) con l’autorizzazione (così è stato riferito dalla cronista) della Procura di Prato. Tale appello evocava un rischio sanitario legato alla “sieropositività” del religioso invitando chiunque avesse avuto “contatti” con il parroco a sottoporsi a non meglio specificati controlli e a contattare le autorità. Si tratta di un messaggio gravissimo, destinato a gettare nel panico persone che non hanno corso alcun rischio e rilevatore di una profonda ignoranza sulle vie di trasmissione del virus, che non comprendono, di certo, nessun tipo di “contatto” quotidiano tra le persone.