In Italia ci sono oltre 94mila persone che vivono con l'Hiv e hanno ricevuto una diagnosi (ISS). A queste vanno aggiunte quelle che hanno il virus ma non lo sanno, per un totale stimato di 100/150mila persone sieropositive. La stima delle persone inconsapevoli in Italia va dal 13 al 40 per cento. Un dato in linea con altri Paesi, anche se qui la percentuale è fra le più alte in Europa occidentale. Perciò la Lila aderisce alla European Hiv Testing Week 2013, che va dal 22 al 29 novembre, con test rapidi nelle sue sedi di Trento, Milano e Catania.
Da venerdì 22 a venerdì 29 novembre si svolgerà la European Testing Week, lanciata da Hiv in Europe con la collaborazione delle agenzie internazionali e la richiesta di adesione e sostegno da parte di enti e associazioni locali. Il tema della Settimana Europea del Test è: Talk Hiv. Test Hiv
L'azione europea prevede di incentivare la proposta del test anche in contesti non convenzionali e di sensibilizzare i policy maker sulla necessità di abbassare la soglia di accesso, soprattutto per chi già è oggetto di stigma e discriminazione (uomini che fanno sesso con uomini, migranti, persone che consumano sostanze).
In Italia il test Hiv dovrebbe essere garantito come anonimo, gratuito, e accompagnato da un counseling, ovvero da un colloquio con personale esperto, che sia di sostegno alla persona che si sottopone al test e informativo sui comportamenti a rischio. L’esecuzione del test è possibile solo con il consenso della persona interessata. Tale principio, oltre a rispondere al dettato costituzionale e ai principi deontologici, è espressamente sancito della Legge n. 135 del 1990.
Una indagine sul territorio nazionale pubblicata nel 2011 (“Progetto di ricerca per l’individuazione e la sperimentazione di modelli di intervento atti a migliorare l’adesione al test di screening HIV”, finanziato dal Ministero della Salute, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e realizzato con il contributo delle Associazioni della Consulta di Lotta contro l’Aids) ha mostrato che purtroppo non sempre è così, rilevando una situazione "a macchia di leopardo". Nello specifico, l’analisi dei dati delle 391 interviste condotte nei Centri Diagnostico-clinici ha evidenziato che nel 77,0% di questi il test HIV viene fatto in modo gratuito, nel 38,4% è assicurato l’anonimato (completa assenza di dati della persona che effettua il test), il colloquio di counselling pre test è eseguito nel 48,1% dei casi e quello post test nel 44,7%.
A questa indagine è seguita, con la volontà di uniformare e meglio regolamentare la situazione italiana, la pubblicazione da parte del ministero della Salute di un Documento di consenso sulle politiche di offerta e le modalità di esecuzione del test Hiv in Italia. A tale Documento, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 191 del 18 agosto 2011, è seguito un aggiornamento, frutto di una Consensus Conference che si è tenuta nel 2012. Il documento elaborato nella Conferenza di Consenso è attualmente in calendario per essere esaminato e approvato in sede di Conferenza Stato Regioni.
Una Linea progettuale per il test Hiv è stata inserita a fine 2012 anche negli Obiettivi di piano predisposti dal ministero della Salute per il Fondo sanitario nazionale, finanziando con 15 milioni di euro 16 progetti regionali. Ma non tutto va come dovrebbe, come denunciato dalla Lila con Cittadinanzattiva.
Il test Hiv va fatto ogni volta che si sia verificato un comportamento a rischio, principalmente rapporti sessuali non protetti e scambio di siringhe fra consumatori di droghe.
Oggi esistono dei test rapidi, sia su sangue che su fluido orale, il cui esito viene comunicato nel giro di poche decine di minuti, a fronte dei giorni necessari a ricevere l'esito di un test ematico. In caso di esito preliminarmente positivo ai test rapidi la persona deve eseguire un test convenzionale di conferma presso un centro clinico.
Il test Hiv, è bene ricordarlo, non è un'attività di prevenzione, com'è invece dare informazioni e condom. Il test infatti può solo accertare un'infezione già avvenuta.
Uno screening generale della popolazione non è considerato efficace. Una considerazione che deriva da analisi epidemiologiche e da un'ampia letteratura nazionale e internazionale. Il Documento di Consenso italiano infatti lo esclude, prevedendo e auspicando invece l'offerta attiva del test a popolazioni vulnerabili, a persone che presentino particolari condizioni di salute (malattie a trasmissione sessuale per esempio, o patologie Aids correlate), a donne in gravidanza (e possibilmente ai futuri papà). L'analisi in gravidanza appare particolarmente importante, eppure ancora oggi in Italia non sempre viene correttamente fatta, e purtroppo ancora oggi si verificano casi di Hiv in neonati.
Per poter dare il proprio consenso informato al test è necessario essere maggiorenni: significa che i ragazzi e le ragazze che hanno meno di 18 anni (ma che hanno una vita sessuale attiva) non potrebbero farlo senza il consenso dei genitori. In realtà in alcuni laboratori ci sono medici che procedono ugualmente, a tutela della persona, e anche il legislatore italiano si sta muovendo per una modifica della norma che abbassi l'età del consenso per il test Hiv a 16 anni, che però prevede un iter complesso, ci vorrà tempo.
Periodicamente giungono alla Lila segnalazioni da parte di persone alle quali viene richiesto il test Hiv in sede di lavoro o di ammissione allo stesso. La Lila ha sempre dato seguito alle segnalazioni, sollevando pubblicamente il problema e interpellando al proposito le istituzioni. Così è avvenuto per esempio quando ha saputo della richiesta del test a aspiranti steward e hostess da parte di Lufthansa Italia, e quando segnala che il test viene richiesto a chiunque partecipi a un qualsiasi bando del ministero della Difesa. In merito a quest'ultimo caso la Lila ha inoltre recentemente sottoposto al medesimo ministero una questione sollevata da diverse persone che già indossano la divisa: che succede al lavoratore in caso di positività al test? Si attende risposta.
La richiesta del test è espressamente proibita dalla legge 135/90 (Art.6 Divieti per i datori di lavoro) oltre che dalla legislazione internazionale, per esempio dell'agenzia Onu International Labour Organization . In seguito a una sentenza della Corte Costituzionale (n.218 del 1994) due articoli della Legge sono stati cassati, ma il divieto è rimasto. La sentenza della Corte ha sollevato la questione della necessità di tutelare terzi, ma non è mai stata indicato da alcun organo istituzionale per quali mansioni il test dovrebbe essere previsto.
Nel corso di quest'anno il ministero della salute ha prodotto un documento che vorrebbe normare l'esecuzione del test nell'ambito del lavoro: “Tutela della salute nei luoghi di lavoro: sorveglianza sanitaria - accertamenti pre-assuntivi e periodici sieropositività Hiv - condizione esclusione divieto effettuazione". Ma anche in questo caso non viene specificato per quali specifiche mansioni potrebbe essere richiesto, mentre in maniera piuttosto fumosa si argomenta di legittimazione della richiesta del test "nella sussistenza di una effettiva condizione di rischio che dall'esercizio dell'attività lavorativa vi sia per i terzi un concreto e reale rischio di contagio", demandando la decisione al medico competente qualora il test vada fatto "a tutela della salute del lavoratore", e ribadendo che "non trova nessuna valida motivazione l'esecuzione del test per accertare una condizione di sieronegatività, dal momento che in ogni caso un accertamento di sieropositività non può costituire motivo di discriminazione nell'accesso al lavoro".
Un'altra situazione in cui un test Hiv può essere richiesto è quella in cui una persona abbia la volontà o la necessità di viaggiare. Purtroppo infatti sono ancora molti i Paesi che hanno una normativa che limita o impedisce l'entrata, il transito e la permanenza di persone straniere con l'Hiv, è il caso per esempio della Russia, o degli Emirati Arabi (negli Stati Uniti tali limitazioni sono decadute nel 2010). Significa limitare arbitrariamente il diritto a viaggiare per turismo, ma anche per lavoro (una persona con Hiv che lavori in una multinazionale, per esempio, potrebbe dover spiegare perché non può fare un viaggio per conto dell'azienda).
Alcune di queste situazioni sono europee, altre sono esclusivamente italiane. Ma il problema delle persone che non fanno, anche se dovrebbero, un test Hiv è diffuso globalmente. Per motivi diversi, uno dei quali è il rischio di dover affrontare, in caso di positività, anche stigma e discriminazioni. Laddove si discriminano e criminalizzano le persone con Hiv, o anche semplicemente le popolazioni vulnerabili, quali omosessuali, sexworker, consumatori di sostanze, obbligandole alla clandestinità, il test si fa di meno.
I risultati della European HIV Testing Week per le associazioni italiane che vi hanno preso parte, sono stati presentati in occasione di ICAR 2014 - VI Italian Conference on AIDS and Retroviruses, tenutasi a Roma dal 25 al 27 maggio 2014, e sono disponibili a questo indirizzo.