HIV Glasgow 2014 Meeting

Hiv Drug Therapy - Glasgow 2014Data: 2 - 6 novembre 2014
Autore: NAM - Traduzione italiana a cura di LILA Onlus

LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, in collaborazione con NAM, è lieta di fornirti la copertura scientifica ufficiale on-line dell'HIV Drug Therapy Glasgow Meeting (HIV Glasgow), che si terrà a Glasgow, in Scozia, dal 2 al 6 novembre 2014. NAM sarà presente e riferirà sui temi chiave della Conferenza inviando un bollettino riassuntivo (in italiano, grazie alla collaborazione con LILA Onlus) via email.

Sarà possibile richiedere il bollettino semplicemente inviando una mail all'indirizzo This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it..

 

BOLLETTINO RIASSUNTIVO

 


Regno Unito, i generici potrebbero dimezzare i costi della ART
Se tutti i pazienti in terapia antiretrovirale del Regno Unito passassero alle versioni generiche (se disponibili) dei farmaci che assumono, tra il 2015 e il 2019 si potrebbero risparmiare circa 1,25 miliardi di sterline: sono i risultati di un'analisi finanziaria presentata durante la conferenza su HIV e farmacoterapia di Glasgow.
I generici sono farmaci equivalenti a quelli di marca (i cosiddetti 'branded') che possono essere prodotti una volta scaduto il periodo di validità del brevetto, ossia dopo 20 anni di monopolio sul mercato da parte dell'azienda produttrice. Nel Regno Unito sono già disponibili in versione generica la lamivudina, l'efavirenz, la nevirapina e la zidovudina. Nel 2016 scadranno i brevetti per abacavir e lopinavir/ritonavir, mentre tra il 2017 e il 2018 sarà possibile produrre generici anche per tenofovir, darunavir/ritonavir e atazanavir/ritonavir.
Nel Regno Unito i costi delle terapie antiretrovirali gravano quasi esclusivamente sul Servizio Sanitario Nazionale (NHS), e con il numero di pazienti da trattare in continuo aumento, il sistema sanitario è sottoposto a una crescente pressione finanziaria. Per i farmaci in coformulazioni 'branded', l'NHS spende attualmente tra le 4500 e le 7400 sterline all'anno per paziente, mentre i generici costano di norma l'80% in meno degli antiretrovirali brevettati.
Un gruppo di ricercatori ha dunque elaborato una stima del potenziale risparmio che il passaggio ai generici, una volta disponibili, rappresenterebbe per il sistema sanitario britannico.
Nel quinquennio 2015-2019, i costi totali a carico dell'NHS dei regimi con farmaci co-formulati brevettati ammonterebbero a 2,41 miliardi di sterline: passare ai generici non appena divengono disponibili consentirebbe praticamente di dimezzare tali costi, con una spesa prevista di 1,16 miliardi di sterline.
Un possibile svantaggio dei regimi con i generici consiste nel fatto che il numero di farmaci da assumere in media aumenterebbe da 2,3 a 3,5. Secondo alcuni medici, con i regimi monocompressa i pazienti tendono più facilmente a iniziare il trattamento e vi aderiscono meglio. Tuttavia, una meta-analisi di studi clinici che confrontavano l'efficacia terapeutica dei regimi combinati con quella dei trattamenti con agenti singoli ha concluso che lo switch non comprometteva l'efficacia virologica.


Il nuovo NNRTI doravirina efficace quanto l'efavirenz, con meno effetti collaterali

La doravirina, un nuovo non nucleosidico a monosomministrazione giornaliera (MK-1439), ha mostrato una capacità di soppressione virale simile a quella dell'efavirenz dopo 48 settimane di somministrazione, è stato annunciato alla Conferenza.
Il dosaggio individuato come quello da sviluppare ulteriormente è inoltre risultato associato a una minor insorgenza di effetti collaterali a carico del sistema nervoso centrale (SNC).
L'efavirenz (Sustiva o Stocrin, contenuto anche nel regime monocompressa Atripla) è un inibitore non nucleosidico della trascrittasi inversa (NNRTI) generalmente sicuro ed efficace; tuttavia alcuni dei pazienti trattati con esso lamentano effetti collaterali a carico del SNC come insonnia, sogni anomali e vertigini.
Questo farmaco sperimentale è attualmente oggetto di uno studio randomizzato di fase 2b che lo mette a confronto con l'efavirenz in pazienti che iniziano per la prima volta il trattamento antiretrovirale. L'NRTI di backbone impiegato è il tenofovir/emtricitabina (i principi contenuti nel Truvada).
Sulla base dei dati ottenuti dopo le prime 24 settimane di somministrazione, il dosaggio selezionato per questa seconda fase dello studio è stato quello a 100 mg. Alla 48° settimana, era riuscito ad abbattere la carica virale a livelli non rilevabili il 76% dei pazienti che assumevano doravirina a questo dosaggio, contro il 71% di quelli che ricevevano 600 mg di efavirenz. Gli aumenti dei CD4 sono risultati simili, e l'insorgenza di farmacoresistenze rara.
All'ottava settimana, nel braccio della doravirina lamentavano almeno un effetto collaterale a carico del SNC il 22% dei pazienti, contro il 44% del braccio dell'efavirenz: la differenza è significativa. Gli effetti collaterali più frequenti sono risultati i sogni anomali e le vertigini.
La Merck, casa farmaceutica produttrice della doravirina, ha annunciato uno studio di fase 3 in cui le prestazioni del farmaco saranno confrontate con quelle del darunavir potenziato con ritronavir (Prezista) sempre in pazienti mai precedentemente trattati.


Nuovi dati sul dolutegravir

Il trattamento di prima linea con una combinazione di antiretrovirali contenente l'inibitore dell'integrasi dolutegravir (Tivicay) si è dimostrato superiore a quello con l'inibitore della proteasi darunavir potenziato con ritronavir (Prezista) alla 96° settimana di follow-up, si è appreso alla Conferenza. Sono dati che vanno a confermare i risultati a 48 settimane, già precedentemente pubblicati.
Alla 96° settimana, la percentuale dei pazienti con carica virale inferiore alle 50 copie/ml si è attestata all'80% nel braccio del dolutegravir, contro il 68% di quello del darunavir potenziato. La differenza è risultata più marcata nei pazienti con alti livelli di carica virale al baseline (oltre 100.000 copie/ml) e in quelli trattati con tenofovir/emtricitabina (anziché con abacavir/lamivudina).


Treatment cascade, in Australia i migliori risultati

L'Australia e i Paesi dell'Europa settentrionale stanno ottenendo risultati di gran lunga migliori dei paesi nordamericani in termini di ritenzione in cura dei pazienti HIV-positivi e di raggiungimento della soppressione virale: è quanto emerge da un'indagine su vasta scala presentata alla Conferenza di Glasgow che ha raffrontato le cosiddette 'treatment cascade' nei Paesi ad alto reddito.
La 'treatment cascade' è un concetto reso per lo più visivamente attraverso un grafico a barre che mostra la quota di persone HIV-positive che vengono diagnosticate, accanto a quella delle persone che vengono prese in carico dai centri sanitari, di quelle che restano in cura, di quelle che iniziano la terapia antiretrovirale, di quelle che riescono ad aderire al trattamento e in ultimo di quelle che raggiungono il successo terapeutico abbattendo la carica virale a livelli non rilevabili (soppressione virale). I dislivelli tra le barre denunciano eventuali falle nel continuum di cure, a cui occorre porre rimedio perché la terapia antiretrovirale possa realizzare appieno il suo beneficio in termini di salute individuale e pubblica.
Nello studio sono stati raffrontati i dati relativi a sette Paesi ad alto reddito e la migliore performance complessiva è risultata quella dell'Australia, dove l'86% del numero stimato di persone HIV-positive era diagnosticato, il 78% era stato preso in carico o comunque agganciato al sistema sanitario, il 76% restava in cura, il 66% aveva iniziato la ART e il 62% aveva raggiunto il successo terapeutico.
Nei quattro paesi europei considerati – Danimarca, Regno Unito, Paesi Bassi e Francia – a raggiungere l'abbattimento della carica virale risultava una percentuale di persone compresa tra il 50 e il 60%.
Decisamente peggiori i dati provenienti dagli Stati Uniti, dove appena il 25% delle persone HIV positive raggiunge una soppressione virologica ottimale. Si tratta di una percentuale inferiore addirittura a quella dell'Africa sub-sahariana (29%).
L'indagine ha inoltre individuato dei punti di debolezza specifici per ogni Paese. Per esempio, nel Regno Unito è la mancata diagnosi a impedire che i tassi finali di soppressione virale siano più elevati, mentre negli Stati Uniti la maggior debolezza si è riscontrata nella ritenzione in cura.
Anche nei paesi più virtuosi, tuttavia, i tassi di soppressione virale sono ancora inferiori a quelli recentemente stabiliti da UNAIDS come obiettivo a cui aspirare, ossia la diagnosi del 90% delle infezioni, il trattamento del 90% delle persone diagnosticate e il raggiungimento del successo terapeutico per il 90% delle persone trattate, il che equivarrebbe ad un 73% dell'intera popolazione HIV-positiva con una carica virale non rilevabile.


Efavirenz interferisce con impianto contraccettivo ormonale

Stando ai risultati di uno studio condotto in Uganda, l'efavirenz, un inibitore non nucleosidico della trascrittasi inversa (NNRTI) comunemente impiegato nei regimi antiretrovirali, ha mostrato di indurre una significativa riduzione dei livelli del contraccettivo ormonale levonorgestrel, principio attivo contenuto in un impianto contraccettivo di progesterone molto diffuso nei paesi in via di sviluppo.
Gli anticoncezionali di questo tipo sono molto sicuri, considerevolmente più affidabili e pratici dei preservativi, e hanno anche il vantaggio di non richiedere visite regolari dal ginecologo. Una contraccezione efficace contribuisce a ridurre morbilità e mortalità sia dei bambini che delle madri, oltre a diminuire il ricorso all'aborto, con tutti i pericoli che possono derivarne.
Tuttavia, il contraccettivo levonorgestrel e alcuni NNRTI inducono entrambi il metabolismo del CYP3A4; sia l'efavirenz che la nevirapina hanno mostrato di ridurre i livelli di levonorgestrel. Un recente studio di coorte sulle gravidanze indesiderate condotto nello Swaziland su donne HIV-positive che facevano uso di impianti contraccettivi ha riscontrato un'associazione tra efavirenz e gravidanze indesiderate.
È ora in corso uno studio prospettico sui livelli di levonorgestrel in donne HIV-positive che fanno uso di impianti contraccettivi in Uganda. Vi partecipano donne trattate o con un regime a base di efavirenz, o con uno a base di nevirapina, con un gruppo di controllo costituito da donne che non assumono il trattamento. Nel corso delle prime 24 settimane di follow-up, si sono rilevati livelli di levonorgestrel fino al 39% superiori nel gruppo della nevirapina e fino al 54% inferiori, invece, in quello dell'efavirenz; in tre delle partecipanti i livelli sono scesi addirittura al di sotto di quelli raccomandati per l'efficacia contraccettiva.
La conclusione degli autori è che la contraccezione con levonorgestrel vada assunta con un regime a base di nevirapina.


Alti i tassi di TB multifarmacoresistente e cure sub-ottimali in Europa dell'Est

Circa un terzo delle persone HIV-positive in Europa dell'Est affette da tubercolosi (TBC) presentano un ceppo multifarmacoresistente, stando ai risultati di un'indagine globale che ha preso in considerazione i dati di 1413 persone con coinfezione HIV/TBC in 19 Paesi di Europa e America latina.
Se nei Paesi dell'Europa occidentale e meridionale la percentuale dei pazienti con TBC multifarmacoresistente non superava il 3%, nell'Europa dell'Est arrivava invece a toccare il 34%. L'assistenza sanitaria per questi pazienti è peraltro risultata tutt'altro che ottimale: soltanto i due terzi di loro, infatti, ricevevano almeno tre farmaci attivi contro la tubercolosi, contro oltre il 90% in altre regioni. Inoltre, appena il 17% di tutti i pazienti coinfetti con HIV/TBC nell'Europa dell'Est assumevano la terapia antiretrovirale al momento della diagnosi di tubercolosi, e solo una minoranza aveva ricevuto una diagnosi certa della tubercolosi (diagnosi colturale o molecolare positiva al Mycobacterium Tuberculosis).
Gli autori sottolineano dunque l'urgenza di interventi atti a migliorare la gestione clinica delle persone con coinfezione HIV/TBC in Europa dell'Est.


Monoterapia con inibitori della proteasi darunavir/ritonavir

È stata proposta la monoterapia con un inibitore della proteasi potenziato come terapia di mantenimento in pazienti che ottenevano la soppressione della carica virale allo scopo di ridurre tossicità e costi del trattamento e allo stesso tempo tenere aperte altre opzioni terapeutiche in caso di rebound virologico.
Alla Conferenza sono stati presentati i risultati dello studio PROTEA, in cui 273 pazienti sottoposti a un regime antiretrovirale stabile con livelli di carica virale non rilevabile sono stati randomizzati per ricevere o la monoterapia con darunavir/ritonavir o darunavir/ritonavir associato a due inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa (NRTI). I partecipanti assumevano il trattamento da circa cinque anni e presentavano una conta dei CD4 in media di circa 600 cellule/mm3.
Alla 48° settimana, avevano abbattuto la carica virale a livelli inferiori a 50 copie/ml l'86% dei pazienti del braccio della monoterapia con darunavir, contro il 95% di quelli nel braccio della triplice terapia. Nei pazienti a regime monoterapico, i tassi meno elevati di soppressione virale si sono riscontrati in quelli la cui carica virale era arrivata al di sotto delle 200 cellule/mm3 (il 66% nei pazienti trattati con la monoterapia contro il 97% di quelli trattati con la triplice). Nei pazienti che invece non erano mai scesi a meno di 200 cellule/mm3, la monoterapia è risultata altrettanto efficace della triplice.
Alla Conferenza è stata anche presentata una meta-analisi e revisione di dieci studi sulla monoterapia con inibitori della proteasi che ha riscontrato tassi meno elevati di soppressione virale (76% contro 82%) nei pazienti a regime monoterapico, ma nessun aumento del rischio di farmacoresistenze.


Emtricitabina e lamivudina a confronto

Dai Paesi Bassi arrivano dati osservazionali secondo cui un trattamento di prima linea con emtricitabina (FTC, Emtriva) avrebbe un'efficacia virologica superiore rispetto ai regimi con lamivudina (3TC, Epivir).
Questi due inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa (NRTI) sono entrambi farmaci cardine per il trattamento di prima linea dell'HIV, e nelle linee guida sono generalmente considerati interscambiabili. Oggi, però, in molti Paesi sono disponibili equivalenti generici della lamivudina, e pertanto utilizzarla elettivamente al posto dell'emtricitabina consentirebbe un notevole risparmio sui costi del trattamento.
I ricercatori olandesi, pur avendo confermata l'equivalenza in termini di tempi necessari a raggiungere la soppressione virale, hanno riscontrato però che i pazienti trattati con lamivudina sia alla 48° che alla 240° settimana presentavano tassi di fallimento virologico più elevati rispetto ai pazienti trattati con emtricitabina. Tutti i pazienti assumevano emtricitabina o lamivudina insieme a tenofovir e a un inibitore non nucleosidico della trascrittasi inversa (NNRTI).
Si tratta comunque di uno studio non randomizzato. Le differenze al baseline tra i pazienti che hanno assunto i due farmaci potrebbero aver inciso sui risultati, nonostante gli sforzi dei ricercatori di controllare tali fattori.


Francia, ripristino immunitario per la maggioranza delle persone HIV+
Uno studio condotto su quasi 14.000 francesi HIV-positivi ha mostrato che la stragrande maggioranza di coloro che intraprendono la terapia antiretrovirale riescono a riportare la conta dei CD4 a livelli nella norma entro qualche anno.
A cinque anni dall'inizio del trattamento, erano riusciti a tornare a livelli superiori alle 500 cellule/mm3 l'85% dei pazienti con una conta dei CD4 al baseline compresa tra le 200 e le 350 cellule/mm3, e ben il 95% di quelli con una conta al baseline superiore alle 350 cellule/mm3. I tempi di recupero sono stati tuttavia più lunghi in coloro che all'inizio del trattamento presentavano livelli di CD4 più bassi (al di sotto delle 200 cellule/mm3): soltanto metà di loro riusciva a riportare la conta dei CD4 a livelli superiori a 500 dopo cinque anni di trattamento.
Ciò nonostante, la percentuale dei pazienti che riuscivano a ripristinare la funzione immunitaria è aumentata in modo costante di anno in anno per tutti i sette anni del follow-up, a prescindere dai livelli di CD4 al baseline.


USA, aumentano le prescrizioni di PrEP agli uomini

Da un'analisi delle prescrizioni di Truvada per l'impiego nella profilassi pre-esposizione (PrEP) emerge che il numero di persone che ricorrono alla PrEP negli Stati Uniti è in aumento, pur partendo da un basso livello iniziale. I dati provengono da circa la metà delle farmacie al dettaglio dove sono disponibili farmaci antiretrovirali, quindi il quadro che forniscono è necessariamente parziale. Degno di nota è però che dall'analisi sono escluse le persone che hanno ricevuto la PrEP attraverso Medicaid (il programma sanitario federale che negli Stati Uniti fornisce aiuti alle persone con basso reddito), oppure nell'ambito di sperimentazioni cliniche o progetti dimostrativi.
Nel primo trimestre del 2014, sono 472 le persone che hanno ricevuto farmaci per la profilassi pre-esposizione presso queste farmacie, ed è probabile che saranno aumentate dopo l'estate, dopo l'aumento della copertura mediatica e delle campagne di sensibilizzazione soprattutto mirate alla popolazione omosessuale maschile. La quota di prescrizioni fatte alle donne è invece diminuita nel tempo, da oltre metà agli inizi del 2012 a solo un quarto agli inizi del 2014. A prescrivere la PrEP sono stati medici con specializzazioni diverse e non necessariamente infettivologi.


Allegato: Glasgow 2014 - Bollettino Riassuntivo

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