LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, in collaborazione con NAM, è lieta di fornirti la copertura scientifica ufficiale on-line della VIII Conferenza su Patogenesi, Trattamento e Prevenzione dell'HIV organizzata dall'International AIDS Society (IAS 2015), che si terrà a Vancouver, in Canada, dal 19 all 22 luglio 2015.
SECONDO BOLLETTINO
La PrEP non giornaliera può essere praticabile
Uno degli argomenti di primo piano di IAS 2015 è la profilassi pre-esposizione (PrEP): come assumerla, a chi è opportuno prescriverla, quando sarà disponibile.
Tre studi presentati alla Conferenza lunedì mostrano che, per determinati individui e in determinati contesti, i cosiddetti regimi programmaticamente intermittenti (che prevedono l'assunzione della PrEP non giornaliera, bensì programmata in base all'attività sessuale) sono un'opzione praticabile, che risulta in un alto numero di rapporti protetti dai farmaci. Si aprirebbero dunque nuove strade per chi desidera assumere, o prescrivere, la PrEP – con la possibilità di scegliere la modalità di assunzione che meglio si adatta alle esigenze del singolo.
Sono stati condotti studi clinici autonomi, con disegno simile, uno su MSM a Bangkok, uno sempre su MSM ad Harlem, New York, e infine uno su donne a Cape Town.
Gli autori prevedevano che le diverse caratteristiche sociali, culturali e demografiche delle popolazioni studiate sarebbero state determinanti per individuare il regime di PrEP più efficace – l'assunzione una volta al giorno, due volte a settimana (e una dose extra dopo eventuali rapporti), oppure solo prima e dopo il rapporto.
Sia i regimi ad assunzione giornaliera che quelli intermittenti si sono rivelati efficaci per i partecipanti allo studio di Bangkok, che erano per la maggior parte istruiti e con un impiego. Negli altri due studi, condotti in aree dove le condizioni sociali erano più difficili, è risultato che i partecipanti riuscivano ad aderire meglio ai regimi giornalieri che a quelli intermittenti.
Da questi risultati emerge che può esserci un margine di flessibilità nelle modalità di prescrizione della PrEP. Si tratta tuttavia di piccoli studi che dimostrano la praticabilità ma non l'efficacia. I dati più affidabili per valutare il livello di protezione dall'infezione garantito dalla PrEP restano quelli provenienti dagli studi sull'assunzione giornaliera.
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Dallo studio START evidenze definitive dei benefici del trattamento precoce
Chi inizia la terapia antiretrovirale (ART) subito dopo aver ricevuto la diagnosi di HIV, quando i livelli di CD4 sono ancora elevati, anziché aspettare che scendano sotto le 350 cellule/mm3, è significativamente meno a rischio di malattia e decesso: è quanto emerge dagli attesissimi risultati dello studio START. I risultati definitivi sono stati presentati alla Conferenza IAS e pubblicati contemporaneamente in un'edizione online anticipata del New England Journal of Medicine.
Per lo studio sono stati arruolati 4685 adulti HIV-positivi di 35 paesi di tutto il mondo, dei quali poco più della metà erano paesi a basso e medio reddito.
I partecipanti presentavano una conta dei CD4 superiore a 500 all'inizio della sperimentazione e sono stati randomizzati per iniziare immediatamente il trattamento o per attendere finché la loro conta dei CD4 non fosse scesa sotto le 350 cellule/mm3 o avessero sviluppato sintomi AIDS-correlati.
Il prof. Jens Lundgren dell'Università di Copenaghen ha riferito che solo nell'1,8% dei pazienti che hanno iniziato subito il trattamento si è avuto un endpoint combinato di gravi eventi AIDS-correlati, gravi eventi non AIDS-correlati o morte, contro il 4,2% dei pazienti con trattamento dilazionato: una differenza del 57%. Gli eventi avversi più frequenti in entrambi i bracci sono stati tubercolosi e cancro.
Questi risultati fanno pensare che il virus dell'HIV causi danni persistenti al sistema immunitario subito dopo l'infezione e "indicano chiaramente che è opportuno far entrare i trattamento tutti i pazienti a prescindere dalla loro conta dei CD4", ha dichiarato Lundgren ad aidsmap.com.
I primi risultati ricavati dallo studio erano già stati forniti al panel dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) impegnato nell'aggiornamento delle linee guida globali per il trattamento antiretrovirale. L'OMS ha annunciato questa settimana che nelle linee guida aggiornate verrà raccomandato il trattamento per tutti, a prescindere dalla conta dei CD4. Nelle linee guida vigenti negli Stati Uniti il "trattamento per tutti" è raccomandato già dal 2013, e anche la British HIV Association ha assunto questa posizione nella nuova bozza delle sue linee guida, divulgata in giugno dopo la pubblicazione dei risultati preliminari di START.
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Articolo sul New England Journal of Medicine
Nessuna trasmissione HIV da parte di partner in soppressione totale nel follow-up a lungo termine di uno storico studio sulla TasP
Il follow-up finale dello studio HPTN 052 sulla TasP (Terapia come Prevenzione) non ha rilevato eventi di trasmissione al partner dell'HIV da parte di individui con carica virale completamente soppressa, a quattro anni di distanza da quando i primi risultati di questo studio avevano dimostrato che il trattamento precoce era in grado di abbattere il rischio di trasmissione dell'HIV del 96%: lo ha annunciato il professor Myron Cohen lunedì alla Conferenza.
I ricercatori hanno continuato a seguire i partecipanti dopo l'apertura del cieco dello studio nel 2011 fino al 2015, fornendo la terapia antiretrovirale agli appartenenti al braccio del trattamento dilazionato e continuando l'osservazione su due terzi delle coppie originali per tutto il periodo del follow-up; e hanno concluso che l'inizio precoce della terapia aveva ridotto il rischio di trasmissione dell'HIV nelle coppie sierodiscordanti di almeno il 93%.
Tutte le infezioni verificatesi nella fase di follow-up e geneticamente riconducibili al partner in trattamento risalivano al periodo precedente all'inizio della ART, oppure alle settimane immediatamente successive, quando la viremia non era ancora completamente soppressa; altrimenti, si trattava di casi di fallimento terapeutico. Non si è verificato alcun evento di trasmissione dell'HIV al partner da parte di individui in soppressione virologica completa durante tutto il corso dello studio HPTN 052.
"La terapia antiretrovirale è un durevole strumento di prevenzione della trasmissione HIV nelle coppie eterosessuali", ha dichiarato il professor Cohen durante una conferenza stampa, aggiungendo poi in Conferenza che "non vediamo ragione perché non debba essere efficace" anche per gli MSM. Cohen ha inoltre ricordato ai presenti che si attendono i risultati del follow-up a lungo termine dello studio PARTNER, che già in un'analisi ad interim pubblicata nel 2014 non ha rilevato eventi di trasmissione in coppie di uomini in cui il partner HIV-positivo era in soppressione virologica completa.
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L'aggancio alle cure e al trattamento per l'HIV
Con uno sforzo sistematico per promuovere il ricorso al test HIV, l'aggancio alle cure di chi risulta positivo e la circoncisione di uomini risultati negativi è possibile aumentare il tasso di diagnosi, di persone prese in carico dal sistema sanitario e di soppressione virologica nelle comunità rurali: è quanto emerge da uno studio randomizzato sulla prevenzione combinata dell'HIV condotto in Sudafrica e Uganda.
Lo studio Linkages ha riscontrato che, affidando a operatori informali attivi sul territorio il follow-up e l'accompagnamento alle visite delle persone HIV-positive, si ottenevano risultati significativamente migliori in termini di aggancio alle cure e presa in carico da parte del sistema sanitario rispetto alle pratiche standard di invio.
Per gli uomini risultati negativi al test sono state elaborate due innovative strategie di promozione della circoncisione che hanno portato a un aumento di circa il 70% del ricorso all'intervento rispetto alle pratiche standard, con un impatto maggiore nei primi tre mesi successivi al test.
Linkages è uno dei primi studi a dimostrare che le iniziative con base territoriale per aumentare il ricorso al test possono rappresentare un utile piattaforma anche per migliorare la presa in cura di chi risulta HIV-positivo e l'aggancio ai servizi di prevenzione per gli uomini che invece risultano negativi.
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Dodici anni senza farmaci: quando l'HIV è 'in remissione'
Alla Conferenza si è discusso lunedì del caso di una ragazza che ha contratto l'HIV alla nascita e ha ricevuto molto precocemente la terapia antiretrovirale (ART). Sono dodici anni ormai che fa a meno dei farmaci (da quando ne aveva sei), e la sua carica virale resta notevolmente inferiore alla soglia di rilevabilità dei test standard. I pazienti che si trovano in questa insolita situazione (i cosiddetti post-treatment controllers, o PTC) sono dei modelli per quella 'cura funzionale' che rappresenta attualmente uno degli obiettivi degli studi sul trattamento.
Il dott. Asier Sáez-Cirión dell'Institut Pasteur di Parigi, che ha presentato i suoi dati anche al simposio Towards an HIV Cure ('Verso una cura per l'HIV') il giorno precedente, ha dichiarato che si tratta del primo caso di remissione così prolungata in una persona con infezione perinatale che riesce a mantenere irrilevabile la carica virale anche senza farmaci. (C'è un precedente, quello della cosiddetta bambina del Mississippi, che però è tornata sopra la soglia di rilevabilità dopo due anni e tre mesi senza la terapia).
Secondo il dott. Sáez-Cirión, questo caso è un'ulteriore riprova del fatto che in determinati casi la somministrazione molto precoce della ART può far sì che l'organismo riesca a sviluppare una sorta di risposta immunitaria in grado di tenere a bada l'HIV senza bisogno di farmaci.
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Il simposio 'Towards an HIV Cure' e i numerosi approcci per la ricerca di una cura
Il simposio di due giorni Towards an HIV Cure ('Verso una cura per l'HIV') è ormai un appuntamento fisso prima delle Conferenze dell'International AIDS Society. Questa edizione ha però superato tutte le precedenti in termini di varietà degli approcci sperimentali presentati per trovare strategie per eliminare l'HIV dall'organismo.
Il dott. Daniel Kuritzkes della Harvard Medical School, nel suo discorso di apertura, ha osservato come la proliferazione di approcci diversi sia in certa misura riconducibile alle precedenti delusioni nell'ambito della ricerca di una cura per l'infezione. Attualmente è noto solo un caso di un paziente curato dall'HIV, Timothy Ray Brown, ma altri sei pazienti oncologici su cui era stato praticato lo stesso trapianto di staminali sono tutti deceduti – a ricordare che un intervento invasivo e debilitante come un trapianto di midollo non si potrà mai adottare come metodo di ampia scala.
Il principale approccio che i ricercatori stanno ancora esplorando è il cosiddetto 'shock and kill', vale a dire l'uso di immunostimolanti per "stanare" le cellule in cui l'HIV resta latente (le cosiddette 'cellule reservoir'): la speranza è che, una volta riattivate, il sistema immunitario riesca naturalmente a eliminarle, ma altrimenti si possono impiegare dei farmaci mirati alla loro morte selettiva. Se non vengono distrutti i reservoir, nell'organismo resterà sempre una quantità seppur piccola di cellule in grado di rilasciare nuove copie di virus: è infatti comprovato che l'HIV può ripresentarsi anche quando risulta irrilevabile anche per i test più sensibili, com'è accaduto nel caso della bambina del Mississippi.
Da quando la strategia 'shock and kill' ha iniziato a prendere piede ci sono state diverse delusioni: gli agenti sperimentali impiegati per indurre l'HIV a rompere la latenza hanno sicuramente stimolato la fuoriuscita del virus, ma senza determinare una riduzione delle proporzioni dei reservoir virali. Questo sembra dovuto al fatto che i farmaci utilizzati – inibitori dell'HDAC come il panobinostat o il romidepsin – hanno altri effetti imprevisti sul sistema immunitario, per esempio neutralizzano l'azione delle stesse cellule CD8 che sono fondamentali per la fase 'kill', la distruzione del virus.
Ciò nonostante, Kuritzkes sostiene che per il momento "l'inversione della latenza è un passo necessario, seppur non conclusivo, per ridurre i reservoir nelle cellule infettate dall'HIV".
Lo studioso ha dichiarato ad aidsmap.com: "Per quasi tutti gli interventi che possono eliminare le cellule infette è necessario che il virus sia visibile per il sistema immunitario. L'alternativa" – ossia sopprimere in modo permanente la produzione virale da parte delle cellule reservoir (come nello studio sull'inibitore della tat pubblicato la settimana scorsa) – "per il momento sembrerebbe comportare l'assunzione quotidiana di farmaci per l'inversione della latenza anziché degli antiretrovirali. Non è veramente una cura."
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Allegato: IAS 2015 - Secondo Bollettino