ART e polypharmacy in età geriatrica: facciamo il punto con il dott Antonio Di Biagio

Antonio Di Biagio 2Il trattamento farmacologico delle persone anziane costituisce un aspetto particolarmente delicato della medicina: il sovrapporsi di più patologie legate all’età e, quindi, di più trattamenti farmacologici richiede un’attenzione complessiva allo stato di salute dei/delle pazienti e un’armonizzazione dei trattamenti farmacologici in modo tale che non contrastino tra di loro e che non creino interazioni dannose. Questo è tanto più vero per le persone con HIV già interessate da terapie complesse come quella Antiretrovirale. Al momento le indicazioni-guida sono di limitare le prescrizioni ai soli farmaci davvero essenziali e di favorire terapie antiretrovirali con il minor impatto possibile su reni, densità ossea, sistema cardiovascolare. Si vanno inoltre sviluppando studi e ricerche sull’interattività dei farmaci più frequentemente somministrati in età geriatrica con la ART.  Il Dottor Antonio Di Biagio, infettivologo dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova, è tra i medici più esperti in materia di gestione farmacologia dei pazienti in HIV ed ha curato, nel recente convegno di Roma, la relazione “Taf vs Tenofovir –sparing” . Ecco la nostra intervista

Dottor Di Biagio, grazie all’efficacia delle terapie ART, le persone con HIV, almeno nei paesi a welfare avanzato, hanno guadagnato molti anni di vita e ora si va componendo rapidamente la prima generazione anziana di persone con infezione da HIV.  Si può già tracciare un quadro delle condizioni di salute con cui le PLHIV arrivano all’età geriatrica e dell’impatto di tanti anni di terapie?

Negli anni passati il capitolo invecchiamento era un argomento poco importante, la battaglia si concentrava nelle retrovie, ossia nel garantire la vita; Oggi possiamo invece permetterci di affrontare argomenti fino a poco tempo fa ostici come le prospettive d’invecchiamento. Le stime di sopravvivenza di cui disponevamo, ottenute da modelli matematici spesso complicati, si basavano fino al recente passato su un’età d’infezione attorno ai venti anni. Certo, erano già incoraggianti ma, come spesso accade, abbiamo dovuto aspettare la prova sul campo. Oggi vivere con l’HIV fino a tarda età è possibile. Ecco due grafici, con i relativi dati, a sostegno di quanto detto. Il primo ci offre uno spaccato sulla situazione negli Stati Uniti:

dati usa

CDC, Web Site: aging and HIV

Abbiamo però anche dei dati Italiani: questo grafico, ad esempio, riguarda la Clinica di Malattie Infettive, Ospedale Policlinico San Martino di Genova, ed è diviso tra maschi e femmine.

dati italia

www.ReteLigureHIV.it

Come sempre i numeri ci dicono molto; ci dicono, ad esempio, come la situazione negli USA e in Italia sia molto simile. Tra pochi anni ci sarà uno spostamento delle colonnine dell’età verso 55-59 e verso 60+. La vera domanda è: quanto siamo preparati a questo fenomeno che diventerà la regola per tutti i centri? Sappiamo inoltre che le persone con infezione da HIV in età avanzata raggiungono molto frequentemente un HIV-RNA <50 copie/ml (una carica virale inferiore alle cinquanta copie), ossia un’aderenza alla terapia maggiore, anche se la risposta delle cellule CD4+ molto spesso non è ottimale. La foto genovese ci dice infine che il soggetto di sesso maschile sarà quello che ci costringerà a fare gli straordinari essendo il gruppo più numeroso.

La maggiore e precoce insorgenza di patologie geriatriche nelle persone in HIV sono documentate. A quali fattori è dovuto questo fenomeno? C’è una correlazione con i trattamenti assunti nel corso della vita per il controllo dell’infezione? Se sì, quali differenze si rilevano tra l’impatto di certi farmaci rispetto ad altri, ad esempio in termini di tossicità? 

I dati che si vanno accumulando dicono che le persone con infezione da HIV potrebbero andare incontro a manifestazioni cliniche legate all’invecchiamento prima dei loro coetanei. Edifficile attribuire alla sola infezione da HIV l’eventuale comparsa di questi fenomeni: l’invecchiamento precoce è invece una problematica multifattoriale. Come giustamente sottolineato nella domanda, sono molteplici i fattori di rischio, soprattutto legati allo stile di vita e ai precedenti trattamenti antiretrovirali più tossici. A mio avviso, alcune delle scelte attualmente possibili come l’inizio precoce della terapia, la continuità del trattamento senza interruzioni, l’ottimizzazione della terapia stessa sulla base delle caratteristiche del paziente e l’impiego di farmaci moderni potranno incidere notevolmente e in positivo su questo aspetto.

Gran parte delle persone che invecchiano va incontro ad una serie di patologie geriatriche e/o comorbidità che impongono loro più trattamenti farmaceutici. La gestione della polypharmacy diviene particolarmente complessa per chi è affetto da patologie croniche. Nel caso dell’infezione da HIV quali sono le principali criticità poste dalla gestione di più trattamenti farmaceutici?

Le questioni importanti da considerare quando parliamo di polypharmacy sono due. La prima considerazione da fare è sul numero delle compresse/pastiglie: assumerne una in più può non fare la differenza ma quando queste diventano tre o quattro, magari da dividere nella giornata, oppure da ripartire secondo un certo ritmo, ad esempio stomaco pieno/vuoto, possono ridurre la qualità della vita delle personeLa seconda considerazione è legata alle interazioni farmacologiche. In linea generale possiamo affermare che, fin da subito, medici e pazienti coinvolti nella cura dell’HIV hanno dovuto fare i conti con il metabolismo dei farmaci. Gli NNRTI (inibitori non nucleosidici) e gli IP (inibitori della proteasi) hanno condizionato la prescrizione di numerosi farmaci concomitanti, quindi su questo argomento siamo preparati. Attenzione però: la ricerca farmacologica prosegue e molto spesso vengono introdotti farmaci nuovi che per essere metabolizzati utilizzano le stesse vie degli antiretrovirali. Il controllo, quindi, deve essere continuo, senza sottovalutare alcuna possibile interazione. Infine sulla polypharmacy è bene iniziare a ragionare anche sui long acting, ossia farmaci iniettivi con somministrazione mensile o bimestrale. Nella popolazione che invecchia, sostituire una compressa al dì con un’iniezione, quando si devono comunque assumere quattro o cinque compresse per le comorbidità, ha un suo razionale? Oppure i long acting sono destinati ai più giovani? Tutto questo sarà materia di dibattito e studi futuri.

Nel recente convegno sull’HIV geriatrico che si è svolto a Roma, Lei ha tenuto una relazione su vantaggi di alcune combinazioni ART rispetto ad altre può descrivercene i punti chiave?

Nella mia relazione ho affrontato il tema delle tre principali novità intervenute nella terapia antiretrovirale, ossia: l’introduzione nella pratica clinica del TAF (Tenofovir alafenamide) Il ruolo oramai preponderante degli inibitori delle integrasi e le STR (Single Tablet Regimen, unica compressa giornaliera con tre principi attivi). 

Partiamo dal TAF: il profarmaco del TDF (tenofovir) è il nucleosidico che mancava. Per anni abbiamo “sopportato” TDF e ABC (Abacavir) perché non avevamo scelta. Ancora oggi però, è bene ricordarlo, la prima terapia antiretrovirale è basata sempre sulla coppia di nucleosidici, il cui ruolo è quindi sempre determinante. E’anche vero che gli effetti collaterali sul rene e sull’osso del TDF non erano così frequenti, certo si registravano alcuni casi di Sindrome di Fanconi (rarissime), danni al tubulo del rene (proteinuria) e osteopenia, più frequenti ma che avevamo imparato a gestire. Il dato rilevante, emerso già dai primi studi, è che TAF abbia risolto questo problema del tutto.  La seconda novità è rappresentata dagli inibitori dell’integrasi. Prima Raltegravir poi Elvitegravir e, infine, Dolutegravir hanno, di fatto, cambiato, per l’ennesima volta, la storia della terapia antiretrovirale. Il vero punto di forza degli inibitori dell'integrasi sta nell’efficacia terapeutica simile, o superiore, agli inibitori della proteasi, con la differenza importante di provocare meno effetti collaterali. Oggi l’integrasi è, in tutte le Linee Guida mondiali, il terzo farmaco di scelta.

Infine le STR: a breve anche gli inibitori della proteasi avranno il loro STR, quindi qualunque sia la scelta di terapia tra NNRTI, PI e INSTI (inibitori dell'integrasi), si potrà costruire tutto in “single pill”, ossia in compresse singole. Ma non finisce qui: a ruota sarà commercializzato il primo STR senza backbone nucleosidico (Dolutegravir/Rilpivirina) e, a seguire, una STR NRTI light (Dolutegravir/lamivudina). Insomma, ci saranno possibilità per quasi tutte le esigenze.

Quali prospettive offrono le terapie ART basate su due farmaci nella gestione dei pazienti anziani con HIV?

Le terapie basate su due farmaci, per molto tempo, non hanno trovato spazio nelle linee guide anglosassoni, a differenza di Italia e Spagna che invece avevano sdoganato da subito questa combinazione. A scanso di equivoci: la terapia a due farmaci, ad oggi, può essere solo una combinazione di seconda linea. Non abbiamo dati per proporre una terapia iniziale con due farmaci, anche se indicazioni importanti potrebbero arrivare dalla Conferenza mondiale sull’AIDS che si terrà la prossima estate ad Amsterdam. Le associazioni possibili PI/r +lLamivudina classiche sono state affiancate da altre combinazioni contenenti Dolutegravir (Rilpivirina e Lamivudina). Se prima queste combinazioni nascevano dal desiderio di rimuovere TDF in modo proattivo, oppure a seguito di effetto collaterale, oggi invece vivono di luce propria e il medico opta per questo tipo di strategia anche in assenza di un danno da TDF. Attenzione però: la scelta non è mai banale: servirebbe un test di resistenza, oppure una storia clinica e terapeutica molto dettagliata. Gli errori terapeutici possono generare fenomeni di resistenza con il rischio di penalizzare i due farmaci quindi: calma!

Le prospettive di un invecchiamento “difficile” preoccupano molte le persone con HIV. Ci sono aspetti rassicuranti che possiamo rilevare?

Tutte le mattine nel mio ambulatorio cerco di tranquillizzare le persone che seguo. Il tasto su cui batto è la prevenzione, con riferimento al rischio cardiovascolare, al fumo, allo stile di vita. Ai miei pazienti ricordo anche che fare gli esami due/ tre volte l’anno è un vantaggio importante rispetto ai loro coetanei non HIV. Possono sfruttarne i risultati per migliorare la loro salute mentre i loro amici e colleghi fanno raramente controlli, parlano poco con il loro dottore e quindi non sono consigliati in modo adeguato.

Stili di vita salutari e prevenzione possono rendere più facile e tollerabile la gestione farmacologica e polifarmacologica di una persona con HIV? Nel caso quali consigli dare? Fare attività fisica, adottare un’alimentazione sana, curare la socialità, controllare e/o curare il diabete, il colesterolo, l’ipertensione sono pratiche che possono davvero aiutare?

Questo è il punto chiave: stile di vita e prevenzione saranno sempre più i pilastri sui quali si regge lo stato di salute nelle persone che invecchiano. E questo è valido per tutta la popolazione generale. Non dimenticherei di inserire nel suo precedente elenco il fumo di sigaretta: un vero killer che spesso sottovalutiamo ma al quale dobbiamo prestare molta attenzione.

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