Intervista ad Adriana Ammassari infettivologa dell'ospedale Lazzaro Spallanzani
Ben 1600 tra le circa 5500 persone con infezione da Hiv seguite dall'Istituto Nazionale Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani di Roma hanno anche l'Epatite C e un terzo di queste presentano un’infezione con virus attivo. Ad oggi, poco più di un centinaio tra questi hanno avuto accesso alle nuove terapie antivirali ad azione diretta capaci di sconfiggere il virus. Adriana Ammassari, infettivologa dell'ospedale che dal 1980 è uno dei principali centri italiani per la cura e la ricerca sull’Aids evidenzia come la maggior parte delle persone con coinfezione oggi escluse dall'accesso alle nuove terapie sono Msm (Maschi che fanno Sesso con Maschi) con infezione relativamente recente: “Per loro c'è da considerare un rischio rilevante di infezione e re-infezione, anche dopo la cura, e spesso il virus viene trasmesso anche attraverso strumenti contaminati usati per assumere sostanze per via inalatoria. C’è quindi un rischio anche se i rapporti sessuali sono protetti”.
Qual'è l'entità della coinfezione Hiv-Hcv allo Spallanzani?
Dei circa 5500 pazienti con Hiv che seguiamo, circa il 30% è coinfetto con Epatite C. Ma non tutte queste 1600 persone hanno una malattia epatica replicante, ovvero alcuni sono guariti dall’infezione spontaneamente oppure con le terapie disponibili fino ad ora e non hanno bisogno di essere trattati. Al momento stimiamo che circa il 10% di soggetti necessitino di un trattamento con i nuovi farmaci antivirali diretti.
In quanti hanno iniziato i nuovi trattamenti?
Al day service da fine febbraio scorso sono state avviate al trattamento circa 110 persone con coinfezione Hiv-Hcv e tra quelle ammesse da Aifa ai trattamenti sono state trattate circa un terzo dei soggetti con indicazione alla terapia. Abbiamo iniziato con i cirrotici più gravi, ovvero quelli con fibrosi del fegato F4, poi ora stiamo trattando quelli subito meno gravi (F3). Si tratta spesso di pazienti difficilissimi visto l’elevato numero di co-morbilità cardiologica, pneumologica e psichiatrica, ma grazie al fatto che i pazienti avevano già una forte relazione terapeutica con il personale medico-infermieristico dell'ospedale, i risultati sono stati eccellenti. Infatti, abbiamo osservato solo l’9% di fallimenti.
Quali sono stati i risultati?
Per noi medici e infermieri è straordinario poter usare questi farmaci, davvero emozionante. La cirrosi è una vera via crucis: lenta, disarmante e piena di ricoveri. Aver trovato una terapia efficace e ben tollerata – quasi una "bacchetta magica” - per guarire questa infezione di fronte alla quale siamo stati per anni così impotenti, è incredibile. Anche se ancora non sappiamo in quante di queste persone, a cui abbiamo guarito l’infezione da Hcv, si è fermerà la malattia del fegato e quindi saranno preservate dal tumore di fegato in futuro. L’evoluzione clinica della malattia di fegato nei soggetti guariti dall’infezione, è una storia tutta da scrivere.
Qual'è l'impatto dell'esclusione di molti dalle nuove cure?
A Roma vediamo che quasi tutte le infezioni da Hcv acute e nuove vengono diagnosticate tra giovani omosessuali maschi. Sono principalmente loro le persone con coinfezione Hiv/Hcv e fibrosi del fegato meno pronunciata (F2) oggi escluse dalle cure secondo i criteri Aifa. Generalmente, dopo aver metabolizzato la diagnosi di infezione da Hiv, queste persone sono particolarmente scosse dall'aver acquisito anche l'epatite C, un'altra patologia molto impegnativa che non si aspettavano e che li riporta al concetto di non essere stati capaci di proteggersi. Dobbiamo comunque considerare che questa popolazione ha generalmente uno stile di vita più a rischio, dovuto all'elevato numero di partner sessuali e all'uso sostanze per via inalatoria durante gli incontri: è infatti anche questo un modo con cui viene trasmesso il virus se il rapporti sessuali sono stati protetti.
L’elevata diffusione dell'infezione in questi gruppi a rischio c'è e va affrontata, possibilmente estendendo i criteri per l’accesso alla cura eradicante. Ma se viene offerto il trattamento e dopo ci si reinfetta, si pone un altro problema serio cui fare fronte. Abbiamo curato una persona investendo molti soldi, senza essere riusciti a trasmettere le informazioni necessarie per la prevenzione dell’infezione. La cura da sola senza programmi di prevenzione e educazione alla salute non sarà mai un intervento sufficiente per l’eradicazione dell’infezione da Hcv.
Quali sono le prospettive della cura?
Dopo aver trattato i più gravi – quelli con fibrosi F3 e F4 come previsto dall'Aifa - credo che non si possa rifiutare alle altre persone un trattamento risolutivo del loro problema. Noi oggi ci troviamo in difficoltà perché i pazienti ci dicono: “Io vado in India o Egitto”, dove è possibile acquistare farmaci anti Hcv generici a prezzi davvero competitivi.
Come vi comportate quando le persone dicono di volersi curare con farmaci generici?
Ci troviamo in difficoltà: la prescrizione di questi farmaci è vietata perché non essendo testati secondo le norme vigenti in Europa non sono inseriti nel prontuario nazionale, e d’altro canto è capitato che il paziente abbia dichiarato di assumere già i farmaci di propria iniziativa. In questi casi informiamo il paziente dei rischi a cui si espone, che includono l’inefficacia del prodotto e il rischio effetti collaterali eventualmente anche severe, ma non possiamo rifiutarci di assistere queste persone. Comprensibilmente i pazienti cercano la cura, ma la sicurezza e tollerabilità dei trattamenti è ancor più importante considerato che si tratta di soggetti con fibrosi epatica meno avanzata. I farmaci acquistati in Egitto presentano confezioni con scritte incomprensibili esclusivamente in arabo e anche laddove il prodotto è descritto in inglese bisogna temere che le pillole non contengano il principio attivo nella qualità necessaria o alle concentrazioni sufficienti.
Ci sono stati casi di effetti collaterali tra le persone che prendono i generici di Egitto o India?
Io seguo solo un paio di persone. I trattamenti sono in corso e sembrano andare bene.
Non ci sono direttive su come trattare le persone che assumono questi farmaci?
Non ci sono state date indicazioni aggiuntive a quelle vigenti. Stando alle regole, il Servizio Sanitario Nazionale non prevede l’impiego di questi prodotti. Ma la cosa che rimane incomprensibile è la differenza di prezzo tra i farmaci acquistati nell’ambito del SSN e quelli generici.
In che modo questi pazienti riescono a scegliere la combinazione di farmaci giusti?
Anche all'estero, da quanto ne so io, per poter acquistare i farmaci anti Hcv è necessaria una prescrizione medica. Questo collega prima di prescrivere la terapia valuta gli esami portati in visione dal paziente.
Come si gestisce a livello amministrativo la somministrazione di questi farmaci?
Nella mia esperienza purtroppo l’Aifa e la Regione Lazio non si sono coordinati particolarmente comportando un enorme sovraccarico lavorativo nei medici prescrittori. Per iniziare è necessario compilare per ogni paziente candidato una scheda sul portale Aifa con molti dati clinici e virologici. Se i dati corrispondono ai criteri di eleggibilità Aifa, compare l'autorizzazione a prescrivere il trattamento. Poi, le stesse informazioni devono essere inserite nella scheda della Regione, su un altro portale. Con la scheda della Regione la farmacia di riferimento può erogare il trattamento che deve essere rinnovato mensilmente. Mi chiedo perchè l'Aifa non abbia predisposto un sistema coordinato con le regioni risparmiandoci questo doppio lavoro che ci ha davvero messo a dura prova considerato il lavoro routinario con le persone Hiv-positive e il fatto che i pazienti con Hiv- Hcv erano tutti già ai "blocchi di partenza". Comunque, nessuno di noi si è risparmiato visto che erano molti anni che sognavamo di avere una opportunità come questa per i nostri pazienti.