Il professor Adriano Lazzarin, primario della Divisione di Malattie Infettive dell’Istituto San Raffaele di Milano, quest’anno presiede l’VIII conferenza italiana su Aids e Retrovirus (Icar 2016). Denuncia un forte problema di casi di Hiv mai registrati: "Abbiamo stimato che il 25 % di persone che hanno il virus non sanno di averlo”. C'è anche una preoccupante caduta di attenzione dei pazienti sulla terapia come prevenzione: fenomeni che si accompagnano a una generale perdita del “tessuto di solidarietà” di privati e istituzioni verso questa patologia. E sull'eventualità che una percentuale di nuovi casi di Hiv non venga effettivamente mai registrata osserva: “Tra i sistemi di notifica delle malattie infettive solo quello della Tbc raggiunge quasi il 100% delle diagnosi, perché implica un’osservazione attiva da parte delle Asl”.
Come funziona il sistema della sorveglianza Hiv al San Raffaele?
Spesso riscontriamo casi di Hiv in modo occasionale perché essendo un grande ospedale facciamo il test anche a persone ricoverate per diversi motivi. Altri vengono da noi dopo aver fatto il test in laboratori esterni. Infine abbiamo un desk dove tutti i giorni è possibile venire a fare l’esame. La segnalazione avviene nelle modalità tradizionali: i casi di Aids e Hiv vengono denunciati alle autorità regionali competenti, che a loro volta le inoltreranno all’Istituto Superiore di Sanità (Iss). Ogni volta che c’è una nuova diagnosi la registriamo in un sistema informatico e compiliamo un modulo, che firmo io, che mandiamo in regione.
La dott.ssa Barbara Suligoi, direttrice del Centro Operativo Aids dell'Iss afferma, in un’intervista che ci ha rilasciato per questa inchiesta, che la sovrapposizione di due analoghi sistemi di sorveglianza istituiti da due leggi diverse possono portare a una perdita stimabile fino al 10% delle nuove diagnosi. Ritiene opportuno unificare registro Aids e sistema sorveglianza Hiv?
Certo. Sono d’accordo sul fatto che ci debba essere un unico terminale cui segnalare il caso. Non ha senso fare un doppio lavoro. Rispetto alle sottonotifiche delle nuove diagnosi, concordo che l’attuale meccanismo di trasmissione non è tempestivo: sono anni che lo diciamo. Comunque la perdita del 10% dei dati è una percentuale accettabile: la registrazione delle malattie infettive non raggiunge il 100% delle diagnosi in quasi nessuna patologia. Morbillo, rosolia e varicella hanno indicatori percentuali di denuncia molto più bassi. Forse solo la notifica dei casi di tubercolosi si avvicina al 100% del totale. Perché il sistema di registrazione della Tbc richiede un’osservazione e una segnalazione dei casi e un intervento attivo da parte delle Asl.
Quale pensa potrebbe essere un intervento utile per migliorare il livello di sorveglianza?
I 4000 nuovi casi di Hiv in Italia sono un dato di fatto stabile. Non ritengo ci sia un problema relativo alla quantità delle nuove diagnosi, ma piuttosto alla loro qualità: molte persone con Hiv si presentano molto tempo dopo aver contratto l’infezione. Questo non è un fenomeno legato alla burocrazia ma alle abitudini della popolazione con Hiv e dei gruppi vulnerabili. Il problema riguarda la mancanza di interventi di prevenzione. Non mi sembra che la sorveglianza sia un nervo scoperto nell'intervento di salute pubblica in Italia. Poi se l’Iss non è allineato con le regioni è certamente un problema da risolvere, ma questo non cambia di tanto la storia naturale dell’epidemia.
Abbiamo, quattromila nuove infezioni l’anno da circa 5 anni.
Il problema del sommerso, che non è solo italiano, è il vero problema: ci sono soggetti che hanno contratto l’infezione e non pensano di averla, non si sottopongono al test, non vengono cercati per fare il test e non interiorizzano le modalità di prevenzione necessarie per evitare l’infezione. Il problema vero è l’intercettazione della malattia per evitare la diffusione dell’epidemia. Abbiamo stimato che il 25 % di persone che hanno il virus non sanno di averlo.
Proprio per affrontare questo problema non è importante avere una corretta sorveglianza?
Se fossi informato che a Sassari ci sono 55 nuovi casi di Hiv invece che 50, il mio intervento non cambierebbe molto. Una più efficiente sorveglianza non comporterebbe una svolta nell'andamento dell’epidemia. Semplicemente la dimensione del fenomeno sarebbe definita più correttamente. E’ una priorità ma non un fatto imprescindibile per cambiare radicalmente le cose. In commissione nazionale questo argomento è stato affrontato più volte. Probabilmente è un problema di risorse, di sistemi, di incapacità di interloquire tra regioni e stato. La sottonotifica non mi sembra la questione principale in questo momento. I late presenters costituiscono una questione importante in termini di salute pubblica così come anche il sommerso. Comunque il problema della sorveglianza si potrebbe risolvere facilmente: qualcuno potrebbe imporre a qualcun altro di dare i dati in modo tempestivo e qualcuno potrebbe imporre a qualcun altro di andarseli a cercare tempestivamente nelle zone in cui vengono raccolti. Basterebbe un bottone. E’ la volontà politica che manca.
Secondo i dati dell’Iss sono in ripresa casi di Hiv pediatrico. Perché?
Un’altra nuvola minacciosa in questo tipo di patologia è l’abbassamento della guardia nei confronti della terapia. Noi siamo un centro molto attento che segue i pazienti accuratamente: hanno lo stesso medico, gli vengono fatte telefonate a casa, distribuiamo i farmaci. Eppure anche noi abbiamo molti casi di persone che vengono ricoverate perché hanno abbandonato la cura. I bambini nascono ancora con Hiv per la stessa ragione. Bisogna tornare in modo ossessivo sull'importanza della terapia. Anche il sommerso incide sui nuovi nati con Hiv perché la madre non sapeva di esserlo. Il sommerso non è tanto diverso da 10 anni fa: oggi più che altro temo che ci sia una caduta di attenzione nei confronti della terapia come prevenzione.
Lei presiede Icar quest’anno, quale sarà la priorità dell’ottava conferenza italiana sull’Aids e i retrovirus?
Quella di sempre: discutere i risultati della ricerca italiana. Quasi tutti gli attori della ricerca in campo Hiv, virus epatitici e malattie virali si ritroveranno a Milano. Quest’anno ci sarà un focus sul contrasto allo stigma e il miglioramento della qualità della vita - oltre che della salute - delle persone con Hiv o Epatite. Cerchiamo di ricostruire un tessuto di solidarietà nei confronti di questa patologia: all’inizio per l’Aids c’è stato ed è stato fantastico ma oggi comincia a mancare, sia da parte dello Stato sia da parte dei filantropi e di tutta la struttura assistenziale.