Cari amici e care amiche, con il primo dicembre alle spalle, e dopo un anno intenso, caratterizzato dalle tante iniziative con cui abbiamo voluto ricordare il trentennale della LILA, crediamo sia giusto tracciare un quadro delle urgenze che dovremo tornare ad affrontare dai prossimi mesi. La prima, quella che ricomprende quasi tutte le altre, riguarda il rispetto, da parte dell’Italia, dei parametri richiesti dall’ONU per essere in linea con l’obiettivo della sconfitta dell’AIDS entro il 2030. Già entro il 2020, dunque entro soli tre anni, il nostro paese dovrebbe centrare il target “90-90-90” e conseguire un rilevante abbattimento delle nuove infezioni. Ebbene, senza un radicale cambio di passo, credo che difficilmente si riuscirà a centrare quest’obiettivo, non senza conseguenze per il diritto alla salute di tutti e tutte.
Alla base di tale ritardo ci sono le molte criticità che rendono il nostro sistema di prevenzione e cura non adeguato al rispetto degli standard richiesti dall’ONU. Tra queste la debolezza del sistema di sorveglianza nazionale, che non riesce a dare una giusta rappresentazione dell’andamento dell’infezione, l’insufficienza delle risorse stanziate, le strategie di prevenzione e comunicazione che non tengono conto delle nuove conoscenze scientifiche. In particolare, non c’è ancora un riconoscimento dell’efficacia della “TasP” (Treatment as Prevention), grazie alla quale le terapie antiretrovirali assumono anche un alto valore di prevenzione rispetto alla popolazione generale, in quanto possono rendere non infettive le persone con HIV, così come manca qualsiasi intervento di promozione della PrEP, la profilassi Pre-Esposizione, riconosciuta invece dai servizi sanitari di molti altri paesi europei. Determinanti sono, inoltre, alcuni fattori di carattere culturale: dalla mancanza di interventi strutturati di educazione all’affettività e alla salute sessuale nelle scuole, fino una forte persistenza di stigma e omofobia.
La debolezza del sistema di sorveglianza
Si tratta di un problema che denunciamo da tempo ma che quest’anno, ci sembra, abbia rivelato incongruenze ancora maggiori del passato. UNAIDS ha fortemente richiamato in questi giorni la necessità di prestare grande attenzione alla raccolta e all’analisi dei dati epidemiologici ma nel nostro paese il sistema di sorveglianza resta fortemente lacunoso e la fotografia che emerge del fenomeno HIV è, di conseguenza, confusa, parziale, incompleta. In primo luogo non sono stati ancora unificati i due sistemi di sorveglianza nazionali presenti -quello delle segnalazioni per AIDS attivo dal 1986 e quello per i casi di HIV introdotto nel 2008- e questo impedisce una chiara lettura del fenomeno perché i due database non sono comunicanti. Nel bollettino ISS non vengono inoltre più riportati i decessi per AIDS, nonostante lo stesso istituto li stimi in più di 1.000 l’anno.
Continua a mancare, inoltre, un dato fondamentale: ossia quanti test HIV siano effettuati ogni anno in Italia, elemento indispensabile per valutare con correttezza l’andamento dell’infezione. Il dato annuale sulle nuove diagnosi non può che risultare parziale se non viene posto in rapporto con l’andamento dei test effettuati, soprattutto alla luce del persistente e ampio fenomeno del sommerso, riferibile a persone con HIV che non sono consapevoli del proprio stato sierologico.
Il quadro che emergere dai rapporti governativi annuali italiani è dunque molto rassicurante ma poco aderente alla realtà. Quest’anno, ad esempio, si è posto l’accento sull’elevata percentuale di stranieri che ricevono la diagnosi di HIV, facendo chiari riferimenti alla drammatica situazione migratoria che investe il nostro paese. Si omette, però, di dire che i migranti, soprattutto quelli introdotti nei circuiti d‘accoglienza, sono invitati a sottoporsi al test (o sono sottoposti al Test) molto più dei cittadini italiani, il che potrebbe spiegare l’impennata di nuove diagnosi in questi gruppi di popolazione. La conseguenza è quella di accrescere lo stigma verso gruppi di persone già fortemente penalizzate dal punto di vista dei diritti e delle tutele.
Allo stesso modo, si segnala l’importante riduzione delle diagnosi in persone che usano sostanze per via iniettiva: peccato che la Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle Tossicodipendenze in Italia del 2017, segnali che solo il 34% delle persone in carico ai servizi per le dipendenze sia stato testato.
Le strategie di prevenzione dell’HIV
In Italia è mancato per moltissimi anni un programma strategico di contrasto all’HIV, non è un caso che si dibatta ancora sull’opportunità di mostrare un profilattico in una classe durante gli interventi di prevenzione e informazione ai giovani. Leggendo bene i dati, si apprende poi che tra i più colpiti ci sono proprio i ragazzi e le ragazze: nella fascia tra i quindici e i ventiquattro anni si è registrato un incremento del 2,4% rispetto all’anno precedente mentre la fascia d’età 25-29 anni (13,6% delle nuove diagnosi di infezione da HIV nel 2017) riporta l’incidenza più alta, 14,8 nuovi casi per 100.000 residenti.
Da anni non vengono inoltre svolte campagne di prevenzione rivolte alle popolazioni più vulnerabili, così come, in gran parte delle Regioni, sono stati smantellati gli interventi di Riduzione del Danno e non è neanche possibile fornire condom e siringhe pulite alle persone detenute. A impedire questo tipo di azioni c’è il persistere di assurdi regolamenti penitenziari e di un approccio ipocrita al nodo carcere-diritti. Secondo tale punto di vista, lo Stato non può permettersi di “legittimare” con interventi di riduzione del danno, il fatto che all’interno dei penitenziari, luoghi pubblici e istituzionali, si continuino a consumare sostanze o che i detenuti/e possano avere una loro vita sessuale, con buona pace di tutte le indicazioni internazionali e dei diritti delle persone detenute.
In questo quadro desolante, a parlare di PrEP e TasP (Treatment as Prevention) in Italia sono solo le associazioni di lotta all’AIDS e la comunità scientifica, non certo le istituzioni, nonostante tali strategie siano fortemente raccomandate da tutte le agenzie internazionali. Grandi speranze erano state suscitate un anno fa dal nuovo Piano nazionale AIDS che prevede questo tipo di interventi ma qui si innesta l’altro tema critico: quello delle risorse.
Il problema risorse e il Piano Nazionale AIDS
Le e associazioni e la comunità scientifica continuano ormai da tempo a sollevare la questione delle risorse disponibili ma questo aspetto resta lettera morta, nonostante il nostro governo abbia sottoscritto nel settembre del 2016 l’Action Plan della Regione Europea OMS in cui si chiede ai governi di sostenere economicamente le azioni di contrasto all’HIV e si individui come elemento determinante proprio la questione finanziamenti. Lo sforzo compiuto nel 2016 per dotare l’Italia di un Piano Nazionale Aids (PNAIDS) basato sulle evidenze scientifiche, che includesse una serie di nuove strategie, rischia di diventare un puro esercizio di stile e questo è l’elemento più preoccupante.
Sarà quasi impossibile, ad esempio, applicare le indicazioni dello stesso PNAIDS su una questione cruciale come l’emersione del sommerso, ossia la necessità di rendere consapevoli del proprio stato sierologico il maggior numero possibile di persone con HIV. Per raggiungere questo obiettivo sarebbe necessario promuovere e migliorare l’offerta attiva del test da parte dei servizi pubblici ma anche implementare l’offerta di test in ambito non ospedalizzato (Community Based Voluntary Counseling and Testing), test cioè effettuati da associazioni o community che prevedono anche l’offerta di counselling. Nel nostro paese questa strategia, raccomandata da tutte le agenzie internazionali, è stata sperimentata con successo da una trentina di ONG, tra cui la LILA, che si sono, dunque, rese protagoniste di una grande azione di salute pubblica. Tra le oltre 1600 persone che hanno avuto accesso ai test rapidi offerti gratuitamente dalle sedi LILA tra il 1 ottobre 2016 ed il 30 settembre 2017, circa la metà ha eseguito il test per la prima volta nella vita, segno di quanto questo intervento sia in grado di incoraggiare chi non si rivolgerebbe ai servizi tradizionali. Le associazioni che svolgono questo tipo di servizio, sono però costrette a sobbarcarsi per intero il costo dei kit e degli interventi di testing, senza ricevere, salvo rare eccezioni, alcun contributo da parte delle istituzioni che stentano a comprendere il valore di questo tipo d’intervento. Senza risorse adeguate non sarà possibile nemmeno aumentare l’attività di testing rivolta ai consumatori di sostanze per via iniettiva (a oggi, come si diceva, solo il 34% delle persone in carico ai servizi risulta aver fatto il test), cosi come non sarà possibile riattivare azioni nazionali coordinate di Riduzione del Danno. Altrettanto difficile sarà avviare interventi pubblici sulla PrEP, una strategia di prevenzione di cui policy maker e, purtroppo, anche parte della comunità scientifica, stentano a riconoscere il valore, nonostante le inoppugnabili evidenze scientifiche e nonostante l’OMS ne raccomandi, da anni, l’implementazione.
Se non si trovano risorse sarà impossibile, infine, avere campagne di contrasto allo stigma basate su un giusto riconoscimento del carattere preventivo della TasP che può scardinare dall’immaginario collettivo la paura profonda delle persone con HIV, alla base di stigma e discriminazioni.
In particolare sul concetto di TasP, o UequalsU che dir si voglia, tutto fa prevedere che nel nostro paese la strada sarà ancora molto lunga. L’auspicio è che gli endorsement del CDC e del Governo degli Stati Uniti possano cambiare la situazione e renderne possibile il riconoscimento strategico.
Stigma, discriminazioni, diritti
Nonostante siano in trattamento e in buona salute nella stragrande maggioranza dei casi, le persone con HIV continuano a pagare duramente e quotidianamente la loro condizione. Troppo spesso si continua a richiedere il test in ambito lavorativo, pratica vietata dalla legge e senza nessun presupposto logico; numerose sono le segnalazioni di discriminazione anche in ambito sanitario mentre compagnie assicurative e banche continuano a negare loro la stipulazione di polizze e l’accesso al credito. In crescita anche il numero di persone che, dovendo recarsi all’estero per motivi di studio e lavoro, si scontrano con il persistere, in alcune decine di paesi, di gravi proibizioni all’ingresso delle persone HIV positive. Per superare le barriere d’ingresso doganali o per ottenere un visto, sempre più persone sono costrette a nascondere il proprio stato sierologico e a dover nascondere i farmaci con il rischio di incorrere, se scoperte, in gravi sanzioni. Non sono pochi i casi di persone che preferiscono sospendere le cure con il rischio di gravi conseguenze per la propria salute. Rifiutare un viaggio di lavoro potrebbe, d’altro canto, far rischiare il licenziamento. In merito abbiamo avviato un positivo confronto con il Ministero degli Esteri volto a monitorare il problema e a capire come poter assistere chi dovesse essere costretto/a a recarsi in uno di questi paesi.
Un ruolo chiave lo rivestono anche i media che s’interessano di HIV solo in prossimità della Giornata Mondiale o trattano questo tema solo in relazione ad eclatanti casi di cronaca invece di comunicare correttamente come la convivenza con le persone HIV positive non comporti rischio alcuno, soprattutto adesso, nell’era della TasP che rende gran parte delle persone in terapia antiretrovirale non infettive grazie alla soppressione della loro carica virale.
La mancanza di strategie e politiche di lungo respiro
Oltre alla disponibilità di finanziamenti adeguati, nel nostro paese servirebbe anche un deciso cambiamento culturale e di approccio al problema da parte delle istituzioni e dei policy maker. Oggi le uniche azioni condotte dalle Regioni sull’HIV sono finalizzate all’immediato contenimento della spesa sanitaria, prive dunque di prospettive di lunga durata. Investire sulla prevenzione potrebbe invece portare, nel medio-lungo termine, a consistenti risparmi per il nostro Sistema Sanitario. Altrettanto urgente è mantenere e innalzare il buon livello di cura e assistenza assicurato dal Sistema Sanitario Nazionale che consente a moltissime persone con HIV una buona qualità della vita, un valore questo da sottrarre alle logiche del contenimento della spesa e da difendere in nome del diritto alla salute di tutte le persone, con e senza HIV. Il problema HIV andrebbe affrontato dai decisori politici, non sulla base di visoni moralistiche e giudicanti, lontane dalle evidenze scientifiche, ma con un approccio pragmatico che lo inquadri come un problema centrale di salute pubblica. L’HIV può’essere efficacemente contrastato con azioni precise, confermate da tutte le agenzie internazionali, e partendo dal fatto che riguardi tutte le persone sessualmente attive a prescindere dall’età e dall’orientamento sessuale.
Per raggiungere l’obiettivo 90-90-90 sarebbe inoltre necessario un aggiornamento del quadro normativo. La legge 135 del 1990, ad esempio, pur essendo una buona legge, a ventisette anni dalla promulgazione, richiederebbe un aggiornamento che la renda più conforme alla situazione attuale. Serve rendere accessibile il test anche ai minorenni per i quali invece, tutt’oggi, è richiesta l’autorizzazione dei genitori o del giudice tutelare, così come sono urgenti interventi legislativi che includano nei percorsi scolastici programmi di educazione affettiva e sessuale. Occorre, infine, una nuova legge sul consumo di sostanze stupefacenti che abbandoni la fallimentare impostazione proibizionista e criminalizzante dell’ultimo trentennio, indicata dal Global Commision on Drug Policy del 2012, tra i fattori che più hanno favorito e favoriscono la diffusione dell’HIV tra i consumatori.
In conclusione: la strada verso il 2020 sarà molto in salita. La LILA resterà in campo per fare, come sempre, la sua parte continuando a fornire alle persone servizi di informazione, supporto e testing, a fare prevenzione nelle scuole e nei luoghi di incontro delle popolazioni più vulnerabili, nei centri d’accoglienza e nelle carceri. Ma soprattutto continueremo, assieme ad altri gruppi e associazioni, a premere sulle istituzioni affinché affrontino davvero il problema con tutte le risorse e le competenze necessarie e onorando tutti gli impegni sottoscritti in ambito internazionale.
Altri link: https://www.niaid.nih.gov/news-events/nih-statement-world-aids-day