HIV, per non dimenticare i pazienti con virus multi-resistente: intervista alla Professoressa Castagna

Castagna04In diversi paesi del mondo –secondo dai dell’OMS- la popolazione con HIV che presenta fenomeni di farmacoresistenza, ha raggiunto livelli preoccupanti. In Italia la situazione è, fortunatamente, ben diversa ma questo non può e non deve indurre a dimenticare le particolari esigenze di salute della popolazione con HIV aventi ridotte opzioni di trattamenti ART. La professoressa Antonella Castagna, responsabile malattie infettive del San Raffaele di Milano, che si occupa da tempo della ricerca su questi aspetti, nonché della cura e dell’assistenza a questa fascia di popolazione, ha fatto il punto della situazione durante i lavori di ICAR, sia nelle sessioni scientifiche, sia in occasione del simposio di Nadir . “Are italian multi-class resistent patients becoming a neglected population?”, ossia: “I pazienti italiani multi-resistenti rischiano di essere un gruppo di popolazione dimenticato?” Questo il titolo della sua relazione ma anche una domanda alla quale già si possono dare delle importanti risposte.

 

Professoressa Castagna. Intanto può tracciare per noi un quadro del fenomeno farmacoresistenze ai trattamenti ART in Italia e nel resto del mondo?

L’OMS ha lanciato dati preoccupanti: in alcune zone del mondo il fenomeno della farmacoresistenza ai farmaci NRTI e NNRTIs (Inibitori nucleosidici e non nucleosidici della trascriptasi inversa) è arrivato a coinvolgere il 10% della popolazione con HIV. In Italia, grazie agli alti livelli di gestione terapeutica raggiunti, la situazione, invece, è molto diversa ed è tutt’altro che allarmante. Nel nostro paese la percentuale di persone che, a un anno dall’inizio della ART, raggiunge il successo terapeutico, ossia un livello di carica virale non rilevabile, è arrivata al 95% e solo un numero molto limitato di pazienti , circa il 5 %, ha una resistenza documentata a tre classi di farmaci , un dato che sembra mantenersi stabile a partire dal 2011. Esiste poi una piccolissima quota di pazienti il cui virus è resistente a quattro classi di farmaci, inclusi gli inibitori dell’integrasi. Non ne conosciamo oggi con esattezza il numero ma queste persone rappresentano sicuramente una popolazione da proteggere.

Come sono seguite questi pazienti?

Abbiamo creato un registro per i pazienti resistenti alle quattro classi di farmaci, il registro “Prestigio”, che, ad oggi, include oltre 300 persone sul territorio nazionale, un terzo dei quali in fallimento terapeutico. L’obiettivo generale è quello di ottimizzare la pratica clinica nella gestione di questi pazienti. Il progetto è coordinato dal San Raffaele di Milano, in collaborazione con i virologi di Siena e di Roma; l’aspetto forse più importante è che contiamo di avere entro fine anno l’adesione di diversi centri in tutte le regioni italiane, in modo che in ogni regione possa esservi un punto di riferimento reale per questi pazienti. A questo proposito stiamo costruendo un sito web dedicato (www.registroprestigio.com) che sarà attivo da settembre.

Come si proteggono questi pazienti? Si tratta di mettere in atto strategie di salvaguardia in attesa di nuovi farmaci e di nuovi sviluppi della ricerca?

Gli obiettivi sono fondamentalmente due. Il primo è prevenire il fallimento virologico in chi oggi è in soppressione virologica ma sta facendo una terapia complessa di salvataggio e dunque sta prendendo un certo numero di farmaci al giorno. La priorità è che questi pazienti continuino a rimanere in soppressione virologica rinforzando l’aderenza alle terapie, tenendo sotto controllo le possibili interazioni di farmaci, agendo, insomma, con un approccio integrato. Il secondo obiettivo è quello di costruire una rete in cui i pazienti che hanno risorse terapeutiche limitate possano essere gestiti nel modo più accurato secondo i principi dell’evidence-based medicine, quindi dobbiamo anche produrre dati ed evidenze scientifiche per capire come gestire al meglio queste persone, sia nelle situazioni in cui sia già disponibile un farmaco innovativo, sia nelle situazioni in si debba attendere l’arrivo di nuovi farmaci. Dovremo attendere infatti il 2019 o, più probabilmente il 2020, per avere in Italia nuove opzioni terapeutiche per i pazienti con virus multi resistente.

Sono dunque in arrivo nuovi farmaci? Di che tipo di trattamenti si tratta?

I farmaci che dovrebbero arrivare per primi, anche se ancora devono superare alcune procedure e registrazioni europee, sono due. Il primo (Fostemsavir) è un inibitore dell’attachment virale che ha già dimostrato sicurezza e efficacia misurabile negli studi di fase terza e che ora sta completando il suo percorso di registrazione presso la FDA americana e l’ EMA europeo. L’altro farmaco (Ibalizumab) è un anticorpo monoclonale che si lega al recettore CD4 delle cellule e ostacola l’ingresso del virus . Viene somministrato per via endovenosa due volte la settimana. Questo farmaco, molto costoso, e dedicato perciò proprio a chi ha opzioni terapeutiche molto limitate, ha già ottenuto l’approvazione dell’FDA ed è disponibile in USA (Trogarzo). In Europa sono in corso le procedure di sottomissione all’EMA

Le farmacoresistenza possono essere trasmesse? In tal caso, potrebbero esserci contraccolpi di ordine più generale?

La prima cosa da dire è che il problema della multiresistenza non va troppo enfatizzato perche in Italia è un problema limitato a pochi pazienti. Uno degli obiettivi che ci poniamo come comunità scientifica, con l’aiuto delle community, è, certamente, quello di ridurre al minimo la possibilità di trasmettere un virus resistente. Secondo alcuni studi questo tipo di virus è caratterizzato da una minore capacità replicativa quindi, in teoria, dovrebbe essere trasmesso meno efficacemente. Vi sono però altri lavori recenti che, invece, sembrano contraddire questa affermazione

Quali possono essere le conseguenze di una re-infezione “resistente” ?

L’acquisizione di un virus multi-resistente comporta il fatto che la persona debba iniziare il trattamento con una terapia generalmente complessa. E’ chiaro che l’avvio di terapie con una singola pillola al giorno, ben tollerata, uno standard oggi possibile per la stragrande maggioranza dei pazienti, in presenza di una nuova infezione con virus multi-resistente non possa più essere applicata. Tuttavia, ripeto, è importante evitare allarmismi perché questa popolazione è molto piccola. L’obiettivo è farla diminuire nel tempo, anche facendo in modo che un numero sempre maggiore di pazienti in terapia di salvataggio possa mantenere stabilmente la soppressione virologica.

Lei, nella sua relazione, ha parlato dell’alto successo terapeutico italiano, ben il 95% delle persone in ART, come di un patrimonio da salvaguardare. Ha timori per il futuro?

No timori no. Anzi, abbiamo sempre nuove possibilità terapeutiche e sempre più efficaci e ben tollerate. E’ chiaro che mantenere nel tempo il successo virologico è una questione anche di responsabilità, in una relazione condivisa tra medico e paziente, che permetta di impostare i migliori percorsi e le migliori strategie di semplificazione. Raggiungere il successo virologico è un obiettivo sicuramente possibile e molto frequente ma non è scontato che una persona che abbia raggiunto il successo virologico poi lo mantenga per anni. Ci vogliono risorse e impegno nella gestione del paziente.

C’è anche un piano di politiche sanitarie. Le associazioni, con la protesta dei giorni scorsi, hanno denunciato il rischio di tagli ai servizi e di un abbassamento complessivo degli standard di cura.

Siamo in una fase politica delicata e vedremo anche quali saranno le scelte del ministero della Salute nel futuro. Vi sono però alcune evidenze che forse possiamo utilizzare: abbiamo un Piano Nazionale Aids che dovrà essere implementato al livello regionale. Una base teorica cui poterci riferire per gestire iniziative e strategie dunque c’è. Sono molto ottimista sulla possibilità che i pazienti che hanno raggiunto il successo virologico lo mantengano stabilmente nel tempo. E’ inoltre il momento di dedicare energie e risorse, con interventi articolati che includano anche la PREP, al lavoro sulla prevenzione, per ridurre significativamente il numero di nuove infezioni da HIV in Italia.

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