Il primo ministro di Ottawa, Justin Trudeau, ha mantenuto uno degli impegni più caratterizzanti della sua campagna elettorale facendo del Canada il primo paese del G7 a legalizzare la marijuana per uso ricreativo e il secondo paese al mondo dopo l’Uruguay.
Grazie alla nuova legge, in vigore dallo scorso 17 ottobre, i canadesi maggiorenni potranno comprare piante, oli o semi fino a un massimo di 30 grammi e coltivare in proprio fino a quattro piantine. Di contro, diverranno più severe, fino a quattordici anni di carcere, le pene per chi acquista illegalmente il prodotto o per chi lo vende ai minorenni. La rete di vendita legale, secondo il governo, dovrebbe attivarsi entro 8-12 settimane con modalità che saranno decise da regione a regione. Davanti ai pochi negozi già aperti si registrano da giorni lunghe, ordinate e festanti file. Il timore è che la domanda, molto superiore all’offerta, possa continuare ad alimentare, almeno per i prossimi mesi, il mercato illegale. Per ovviare a questa eventualità alcune province hanno autorizzato la possibilità di acquistare la marijuana anche online.
Principali obiettivi del Federal Cannabis Act, approvato in via definitiva dal Senato di Ottawa, su proposta del giovane premier liberale, sono quelli di sottrarre alla criminalità il fiorente mercato della cannabis,tassare il prodotto, dal quale lo Stato conta di ricavare almeno 400 milioni di dollari canadesi l’anno, combattere la microcriminalità di strada, alleggerire il lavoro di uffici giudiziari e forze dell’ordine: un vero programma anti-proibizionista adottato, per la prima volta, da uno dei “grandi della terra”. “Ho fiducia che riconquisteremo una buona parte del mercato che ora è quasi tutto nelle mani del crimine organizzato“, ha detto Trudeau.
Il premier canadese si pone così, idealmente, alla guida di un movimento mondiale sempre più propenso a rompere con l’era devastante della “War on drug” che, dalla fine degli anni 70 al primo decennio del nuovo millennio, ha segnato le politiche antidroga di mezzo mondo con risultati drammatici: narcomafie sempre più forti, criminalizzazione sfrenata, approccio punitivo e non educativo rispetto al consumo, immenso spreco di risorse pubbliche per sostenere gli apparati repressivi e giudiziari, effetti disastrosi per la salute pubblica e personale dei consumatori, aumento della criminalità e microcriminalità di strada. All’esperimento Canadese guardano per questo con attenzione diversi paesi al mondo. Oltre a Uruguay e Canada anche nove stati americani, tra i quali la California, hanno legalizzato negli ultimi anni il consumo di cannabis, pur in assenza di una legge federale USA, mentre in Olanda e Portogallo il consumo è da tempo depenalizzato. Anche l’ONU, del resto, da diversi anni ha ufficialmente dichiarato fallita la guerra globale alle droghe, cui, invece, sembra rimasto saldamente legato il nostro paese.
Nonostante il succedersi di governi di orientamenti diversi, l’approccio punitivo e proibizionista resta, in Italia, assolutamente dominante e, anzi, le prime dichiarazioni del Ministro per la Famiglia Fontana, cui è andata la delega alle politiche antidroga, ne fanno presagire un netto inasprimento. “In un paese ossessionato dal dibattito sulla sicurezza –dice Massimo Oldrini, presidente Nazionale LILA- è folle riproporre e rilanciare strategie fallimentari che sono servite solo ad ingrassare la criminalità organizzata e che hanno riempito le carceri e le aule giudiziarie di giovani e persone vulnerabili. Speriamo che la scelta Canadese possa riuscire a segnare una svolta internazionale tale da travolgere anche il nostro paese. In questo momento di difficoltà economica -ha proseguito Oldrini- l’Italia dovrebbe davvero ragionare anche sui vantaggi di un possibile aumento delle entrate derivanti dalle tasse sulla cannabis e della diminuzione dei costi sociali e sanitari imposti dal proibizionismo”.