Nei cinquantatré stati dell’ampia regione Europea definita dall’OMS, l'Organizzazione mondiale della Sanità (WHO) vivono 920 milioni di persone, circa un settimo della popolazione mondiale. Tra queste, solo il 10%, dunque una su dieci (92 milioni circa), è migrante o rifugiata, una percentuale che rappresenta il 35% di tutta la popolazione migrante del mondo, stimata in 258 milioni di persone.
La presenza di migranti e rifugiati varia molto, ovviamente, da paese a paese, si va dal 50% di Andorra e del principato di Monaco a poco meno del 2% per Albania, Bosnia-Erzegovina, Polonia e Romania. Le varie legislazioni nazionali sulle migrazioni riflettono queste differenze e i diversi orientamenti politici sul tema ma, nel complesso, si può dire che tutti i paesi dell’area siano ormai interessati dal fenomeno a diverso titolo: come paesi d’origine dell’immigrazione, come luoghi di transito o come paesi di destinazione. Per questo l’OMS lo scorso gennaio ha presentato a Ginevra il primo rapporto sulla salute dei migranti in Europa. “Questo studio, il primo del suo genere, ci fornisce una fotografia dello stato di salute dei rifugiati e dei migranti nell’area, in un momento in cui il fenomeno migratorio si sta espandendo in tutto il mondo” ha spiegato Zsuzsanna Jakab, direttora per la regione Europa dell’OMS. Gli obiettivi principali del rapporto sono i seguenti:
- Conoscere e monitorare i bisogni di salute della popolazione migrante nella regione.
- Evidenziare le lacune e i progressi della risposta fornita a questo fenomeno dagli stati membri.
- Stimolare gli stessi Stati membri ad assicurare a tutti il diritto alla salute, un diritto umano basilare, sancito da tutte le convenzioni internazionali.
Il Rapporto sfata molti pregiudizi legati al tema Immigrazione e immigrazione/salute.
In primo luogo i cittadini europei pensano che i migranti presenti nei nostri territori siano un numero superiore di tre o quattro volte rispetto a quello reale. Come si è detto, la percentuale media è, invece, piuttosto bassa trattandosi di una persona migrante/rifugiata su dieci.
In generale, rifugiati, rifugiate e migranti, prima del loro arrivo, sembrano essere meno colpiti/e rispetto alle popolazioni ospitanti, da molte malattie non trasmissibili come le patologie cardiovascolari, l’ictus o il cancro; Tale condizione, tuttavia, peggiora rapidamente se nei paesi d’arrivo siano costretti a vivere a lungo in condizioni di povertà o marginalità, fattori che li rendono più inclini anche a malattie croniche, oncologiche o cardiovascolari. Altri fattori di rischio sono legati ai lunghi, e spesso drammatici, viaggi che le persone migranti devono intraprendere prima di approdare in Europa e che le espongono, soprattutto, a malattie infettive.
Il discorso è diverso per quanto riguarda le infezioni che, nel senso comune, suscitano più allarme sociale. Ad esempio, la proporzione di migranti e rifugiati affetti da tubercolosi segue, di norma, la prevalenza già esistente nel paese ospitante mentre un’alta percentuale di migranti con HIV ha acquisito il virus dopo l’arrivo in Europa. Il rischio che le popolazioni migranti possano trasmettere malattie infettive alla popolazione ospitante isulta essere, inoltre, molto basso, altro elemento che contraddice la percezione comune.
I migranti divengono, dunque, più vulnerabili a malattie trasmissibili e non trasmissibili solo dopo il loro arrivo in Europa o durante gli spostamenti: “Per questo è necessario che ricevano al loro arrivo un accesso tempestivo a servizi sanitari di qualità –ha detto ancora Jakab- questo è il modo migliore per salvare vite umane, ridurre i costi di trattamento e proteggere la salute dei cittadini residenti”. La maggiore vulnerabilità a malattie come la tubercolosi è, come in tutto il mondo, associata soprattutto alla povertà, all’esclusione sociale, alle difficoltà di accesso ai servizi sanitari, alla malnutrizione. I dati resi disponibili dai paesi dell’Unione Europea nel 2017 dimostrano, ad esempio, che tra le persone nate fuori dai confini dell’Unione ed ora presenti nei nostri paesi, oltre il 40% è a rischio esclusione sociale contro il 21,7% dei residenti originari.
Le condizioni di marginalità rendono le migranti e i migranti più esposti all’esito infausto di alcune patologie, anche laddove ne siano statisticamente meno colpiti. Gran parte dei rifugiati delle rifugiate e dei migranti hanno, ad esempio, un basso rischio di esposizione verso tutte le forme di cancro ad eccezione di quello cervicale. Tuttavia, la possibilità che le patologie oncologie siano loro diagnosticate con forte ritardo rende l’esito delle relative terapie, generalmente, molto meno efficace. Più alta rispetto alla popolazione generale è l’esposizione al diabete, soprattutto tra le donne migranti, con tassi di mortalità più elevati rispetto alla popolazione ospite. Significativo anche il tasso di infortuni sul lavoro tra i migranti di sesso maschile, più alto rispetto ai lavoratori non migranti e quello relativo ad ansia e depressione che colpiscono in misura maggiore chi arriva da altri paesi rispetto ai residenti. Per quanto riguarda le rifugiate e le migranti si riscontra una tendenza generale al peggioramento degli indicatori legati alla gravidanza. Nelle fasi di transito rifugiate e migranti possono essere soggette a violenze sessuali, il che le espone, tra l’altro, a infezioni sessualmente trasmissibili. Tra i migranti e le migranti è possibile, inoltre,che manchino le conoscenze-base relative a salute sessuale, pianificazione familiare, servizi sanitari disponibili. Tuttavia le donne possono essere protette dagli effetti avversi sulla loro salute psicologica, sessuale e perinatale dal sostegno socio-economico e informativo offerto dal paese ospitante e da una solida politica d’integrazione.
Le bambine e i bambini migranti e rifugiati/e possono essere più soggetti/e a problemi di salute legati all’alimentazione (malnutrizione, obesità) ma anche a disturbi di ordine psicologico e mentale.
In Europa progressi ma occorre fare di più
Nel 2016 il Comitato regionale per l’Europa dell’OMS ha adottato un piano d’azione per la salute dei rifugiati e dei migranti, volto a fornire strategie e indirizzi sugli aspetti sanitari legati ai movimenti delle popolazioni. Lo stesso ufficio ha garantito il massimo dell’assistenza a tutti i paesi membri dell’area europea, affinché questo piano sia attuato. Non mancano progressi, tuttavia, sostiene l’OMS, è necessario fare di più per progredire verso sistemi sanitari inclusivi. Il rapporto ricorda, infatti, come le persone migranti contribuiscano in modo determinante, in tutto il mondo, alla produttività dei paesi che li ospitano. Generalmente tendono a contribuire al welfare dei paesi ospitanti, con tasse e contributi, in misura maggiore rispetto ai benefici che ne ricevono. Le rimesse inviate alle proprie comunità nei paesi d’origine vengono spesso utilizzate per la salute, il sostentamento e l’istruzione delle famiglie, costituendo, pertanto, nei paesi di provenienza, un importante fattore di stabilizzazione sociale. Garantire un’assistenza sanitaria tempestiva a queste popolazioni contribuisce a salvare vite umane e a ridurre i costi di trattamento evitando costose e dannose emergenze. Non c'è salute pubblica -sostiene l'OMS- se non si cura anche la salute di rifugiati/e e migranti.
Queste, dunque, le principali raccomandazioni dell’OMS, basate sulle convenzioni internazionali in materia:
- Gli Stati membri delle Nazioni Unite devono fornire una copertura sanitaria accessibile e di qualità e la necessaria protezione sociale a tutti i rifugiati e i migranti, indipendentemente dal loro status giuridico.
- I sistemi sanitari devono essere preparati sia dal punto di vista culturale che linguistico ad eliminare le barriere che ostacolano l’accesso ai servizi e la comunicazione con utenti stranieri/i.
- Occorre garantire che gli operatori sanitari siano ben preparati e ben attrezzati alla gestione delle più comuni malattie, infettive e non infettive
- Occorre un'adeguata valutazione della situazione vaccinale che può essere mancante o essere stata interrotta
- Vanno potenziate verso rifugiati, rifugiate e migranti, approcci di tipo multidisciplinare e multisettoriale.
- Occorre infine migliorare la raccolta sistematica di dati comparabili sulla salute dei rifugiati e dei migranti.
Convenzioni internazionali sul diritto alla salute e sulla protezione di migranti rifugiati e rifugiate
Il diritto alla salute è un diritto fondamentale garantito in primis dalla Dichiarazione Universale dei diritti Umani del 1948, cui hanno fatto seguito decine di diversi documenti.Tra questi la Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale del 1963 e il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966. Nel 2009, la Commissione per i diritti economici, sociali e culturali nel commento generale ha dichiarato: "I diritti del Patto del 1966 si applicano a tutti, compresi i non cittadini, rifugiati, richiedenti asilo, apolidi, lavoratori migranti e vittime della tratta internazionale, indipendentemente da stato giuridico e documentazione". Nel 1990 è stata sottoscritta la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, nel 2000 il Protocollo per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare donne e bambini.
Nel 2016 la Dichiarazione di New York per rifugiati e migranti ha delineato un "patto globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare" e un "patto globale sui rifugiati" che impegnano gli stati membri, Italia compresa, a:
- proteggere la sicurezza, la dignità, i diritti di tutti i migranti indipendentemente dallo status migratorio;
- sostenere i paesi che salvano, ricevono e ospitano un gran numero di rifugiati e migranti;
- integrare i migranti e le comunità d’accoglienza nella pianificazione degli intervento umanitari;
- combattere la xenofobia, il razzismo e la discriminazione;
- rafforzare la governance globale della migrazione e del partenariato attraverso lo sviluppo e la ratifica di un accordo globale su questi aspetti entro la fine del 2018.
Tale accordo, meglio noto come “global compact sull’immigrazione", siglato a Marrakech lo scorso dicembre 2018 da 164 paesi, non è stato sottoscritto per ora dall’Italia per scelta del governo in carica. Nella successiva ratifica da parte dell’Assemblea generale dell’Onu a New York. Il nostro paese si è astenuto.
Nel suo incipit la Dichiarazione di New York recita: “Sin dai tempi più antichi, l’umanità è in movimento. Alcune persone si spostano per cercare nuove opportunità e prospettive economiche, altre per scappare a conflitti armati, povertà, mancanza di cibo, persecuzioni, terrorismo o violazioni e abusi dei diritti umani. Altre ancora lo fanno in risposta agli effetti dei cambiamenti climatici, disastri naturali (alcuni dei quali possono essere collegati ai cambiamenti climatici) o altri fattori ambientali. Molti si spostano per una combinazione di queste ragioni. I larghi movimenti di rifugiati e migranti – si legge ancora nelle premesse - hanno ramificazioni politiche, economiche, sociali, di sviluppo, umanitarie e di diritti umani che oltrepassano ogni confine. Questi sono fenomeni globali che richiedono approcci e soluzioni globali. Nessuno Stato può gestire da solo questi movimenti, serve una più grande cooperazione internazionale”.
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