Nessuna svolta antiproibizionista, nessuna rottura con il trentennio funesto della “war on drugs” ma cresce lo schieramento dei paesi propenso a voltare pagina nella gestione delle politiche sulle droghe: è la sintesi di quanto emerso nei due appuntamenti ONU svoltisi a Vienna nel Marzo scorso.
Nella capitale austriaca da lunedì 18 a venerdì 22 marzo si è tenuta la 62ma sessione della Commissione ONU sulle droghe (CND) che seguiva il segmento ministeriale della settimana precedente. Oltre 100 i ministri e i capi di governo che hanno partecipato. Obiettivo: valutare gli esiti delle convenzioni emerse dai precedenti, analoghi, appuntamenti e riscrivere, eventualmente, le strategie globali relative alla produzione, al traffico e al consumo delle sostanze stupefacenti.
Il risultato è stato deludente: nulla cambia nell’impianto sostanzialmente proibizionista basato sul contrasto alla produzione delle sostanze e sulla compressione/repressione del consumo, mentre il documento finale di UNGASS 2016, l’ultima speciale sessione sulle droghe dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, non è stato ricompreso nella mozione finale. Quello di UNGASS 2016, che conteneva importanti passi in avanti in materia di diritti, salute, coinvolgimento dei consumatori e della società civile, è indicato come uno dei documenti di riferimento dell’ONU ma non è stato riconosciuto, in sostanza, come una delle tappe da cui ripartire. La spaccatura tra fronti contrapposti si è fatta, tuttavia, molto più evidente rispetto al passato. A guidare il fronte iper -proibizionista Cina e Russia, seguiti da molti paesi africani e asiatici; sul fronte opposto, decisi nel denunciare il fallimento delle politiche repressive, Canada, diversi paesi dell’America Latina e i paesi europei, fautori di una riforma delle politiche globali che includa il principio di moderazione delle pene, la Riduzione del Danno, un approccio al problema di carattere socio-sanitario più che securitario fino ad interventi di depenalizzazione e legalizzazione.
Il documento finale dell’assise risente di questo scontro. L’impianto di base, come detto, non muta rispetto alle convenzioni precedenti ma nel testo si fa riferimento all’Agenda ONU 2030 che prescrive di basare le politiche concernenti le droghe sul rispetto dei diritti umani e sullo sviluppo sostenibile. Accolto, inoltre, il principio della flessibilità delle convenzioni che permette agli Stati Membri di adottare politiche innovative senza vincolarli all’impianto repressivo delle stesse. Di contro, nel documento finale, manca un’esplicita condanna della pena di morte per reati di droga, prevista, tuttora, in una trentina di paesi. Secondo un recente rapporto di Harm Reduction International il numero totale di esecuzioni nel mondo per reati di droga, negli ultimi dieci anni, è stato di oltre 4.300, numeri da bollelttino di guerra che, peraltro, non comprende le esecuzioni avvenute in Cina.
“Vittima” del perdurante impianto proibizionista, anche la recente presa di posizione dell’OMS sulle proprietà terapeutiche della Cannabis: la questione non è stata posta all’ordine del giorno e, forse, se ne riparlerà il prossimo anno. Si tratta di un segnale delle diverse sensibilità esistenti anche tra gli organismi ONU; La risoluzione finale, non a caso, appare piuttosto tiepida rispetto ad un maggior coordinamento con OMS e UNAIDS, tradizionalmente, portatori di un’impostazione più attenta al rispetto dei diritti umani, a partire da quello alla salute.
Negli interventi le varie posizioni si sono apertamente fronteggiate. Per il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov: “la tirannia delle droghe è una delle forme peggiori di oppressione umana e va aspramente combattuta” mentre, sul fronte opposto, il presidente boliviano Evo Morales ha bocciato senza appello la cosiddetta guerra alle droghe: “Il fallimento di quella politica –ha detto- è sotto gli occhi di tutti”. Il rappresentante dell’Uruguay ha illustrato i risultati positivi della legalizzazione della cannabis operata dal paese: decine di migliaia di consumatori usciti dall’illegalità e un deciso colpo agli affari delle criminalità. Altrettanto hanno fatto altri paesi protagonisti di svolte anti-proibizioniste come Canada, Portogallo e Svizzera, il cui rappresentante ha ribadito la necesità di superare le tre convenzioni alla base di trent’anni di politiche repressive. L’Unione Europea, rappresentata dal commissario per le questioni interne e la giustizia, Dimitris Avramopoulos, è riuscita a mantenere una posizione unitaria basata sul rispetto dei diritti umani, attenta alle esigenze di salute pubblica, al coinvolgimento della società civile e nettamente contraria alla pena di morte. Pur senza rinnegare apertamente le convenzioni anti-proibizioniste, il rappresentante Ue ha comunque richiamato il documento finale di UNGASS.
L’Italia non si è differenziata, come si temeva, dal fronte europeo e non ha inviato nessun rappresentante alla CND. “Alla fine -ha fatto notare Fuoriluogo- non è stata una cattiva notizia visti i precedenti del 2009, quando il governo Berlusconi ruppe il fronte riformista europeo e viste le recenti affermazioni del vicepremier Salvini che cavalca la linea iper-proibizionista del ministro alla Famiglia con delega alle Droghe, Lorenzo Fontana”. Ad intervenire a nome del nostro paese è stata Maria Assunta Accili, Rappresentante Permanente dell’Italia presso le Organizzazioni Internazionali a Vienna. L’Ambasciatrice ha pienamente appoggiato la linea europea indicando il documento finale di UNGASS 2016 come una “pietra miliare nella politica internazionale sulle droghe”, ha ribadito come l’Italia consideri “il trattamento per la tossicodipendenza come un diritto di ciascun individuo”, auspicato il coinvolgimento della società tutta, incluse le organizzazioni non-governative e ha sostenuto la promozione di risposte proporzionate ai reati di droga condannando fermamente la pena di morte.
A riprova delle divergenze esistenti in materia, anche all’interno delle agenzie delle Nazioni Unite, va, infine segnalato l’appello pubblico lanciato da UNAIDS affinché sia ovunque decriminalizzato il consumo personale di sostanze proibite. UNAIDS ha inoltre segnalato come meno del 15% delle persone che si iniettano droghe viva in paesi con misure di riduzione del danno efficaci.
Proprio in concomitanza con gli appuntamenti di Vienna, lo scorso 14 marzo, UNAIDS, OMS e UNDP hanno, inoltre, presentato nella capitale austriaca “Le linee guida internazionali sui diritti umani e le politiche in materia di droghe”, sviluppate assieme ad una coalizione di Stati membri delle Nazioni Unite e ad esperti di politiche sociali in cui si afferma come il problema mondiale della droga debba essere affrontato nel pieno rispetto di tutti i diritti umani, delle libertà fondamentali delle persone e in linea con gli obiettivi dell’Agenda Onu 2030.
Il 15 marzo, sempre a Vienna, è stata la volta della società civile: oltre 100 ONG di tutto il mondo, con l'appoggio di personalità internazionali di alto livello, tra le quali Noam Chomsky, hanno presentato “la Dichiarazione di Berlino per un modello umano delle politiche sulle droghe", nata da un'iniziativa dello IEPES e dello Knowmad Institut. Tra gli aderenti l'Associazione Luca Coscioni, la Drug Policy Alliance, Stop the Drug War, Release, MAPS, FAAT, IDPC, ENCOD e ICEERS oltre ad associazioni e reti Africane e latino-americane
“La guerra alla droga ha generato una spirale di violenza sempre più distruttiva –si scrive nel documento- i principi del proibizionismo hanno fallito totalmente il loro intento. Il tentativo di perseguire un mondo senza droghe attraverso la riduzione dell’offerta e la repressione sui consumatori, mediante la violenza di stato, non è in accordo con la realtà dei popoli e dei paesi, poiché fomenta strutture antidemocratiche, repressive e autoritarie che rafforzano l’influenza economica del crimine organizzato. La guerra globale contro le droghe –prosegue la dichiarazione- porta a violazioni sistematiche dei diritti umani, corruzione, aumento incontrollato dei detenuti e dei procedimenti giudiziari, oltre ad aumentare significativamente i rischi per la società civile e la salute dei consumatori di droghe illegali”.
La Dichiarazione di Berlino chiede, inoltre, il finanziamento di campagne internazionali che includano formazione sulle politiche sulla droga internazionali e locali, percorsi di educazione e prevenzione basati sulle evidenze scientifiche, il riconoscimento dell’autodeterminazione e della libertà dei consumatori di droghe.