UNAIDS ha deciso di dedicare il prossimo primo dicembre, giornata mondiale per la lotta contro l’AIDS, (World AIDS Day) al ruolo cruciale svolto dalle community nella risposta all’AIDS e nella difesa dei diritti delle persone che convivono con il virus. “Communities make the difference” è lo slogan scelto quest’anno dal programma ONU per la lotta all’AIDS.
“Le community fanno la differenza”, è dunque il messaggio, intendendo per community quelle organizzazioni e associazioni della società civile, internazionali, nazionali e locali, che includono operatori alla pari, reti di persone con HIV o vicine alle persone con HIV, gay e uomini che fanno sesso con altri uomini (MSM), donne, giovani, persone che si iniettano droghe, prostitute, sex workers, organizzazioni di detenuti/e, fornitori di servizi in strada, associazioni, attivisti di base.
Nel documento che motiva il tema della WAD 2019, UNAIDS spiega come in tutto il mondo, le organizzazioni guidate dalle persone che vivono con l’HIV stiano difendendo i diritti umani, fornendo servizi per la prevenzione, trattamenti, cure e supporto per i propri pari. Le community hanno contribuito ad assicurare che nel mondo il numero di persone in terapia sia salito a ventitré milioni (dati 2018) e stanno aiutando le persone a reclamare i loro diritti, compreso il diritto ad avere accesso a servizi sanitari e sociali liberi dallo stigma. Sono essenziali nel fornire servizi alle popolazioni più vulnerabili e alle Key population (gay, MSM, sex workers, persone che si iniettano droghe, persone transgender, persone detenute) offrono protezione sociale, sicurezza, solidarietà e supporto, sono insostituibili per poter raggiungere altre persone con HIV e hanno la loro fiducia. Le Community fanno la differenza perché trattano i loro pari con rispetto e dignità, agiscono per cambiare le leggi discriminatorie, per garantire un pieno accesso ai servizi per HIV e Tubercolosi e una copertura sanitaria universale.
Il documento, tuttavia, non si ferma ai soli riconoscimenti. Al secondo punto, UNAIDS reclama per le Community risorse e sostegno adeguati. “Le community –si legge- hanno bisogno di sostenibilità finanziaria, di riconoscimenti ufficiali del loro lavoro, di essere pienamente coinvolte nei programmi loro rivolti perché possono aumentarne l’efficienza e massimizzarne l’impatto; sostenere le Community è un investimento” afferma UNAIDS ricordando i principi di Denver: “Niente su di noi senza di noi”. Le risorse internazionali destinate alla società civile, al contrario si stanno riducendo progressivamente e i meccanismi nazionali di finanziamento si rilevano sempre più inadeguati. Di qui il richiamo di UNAIDS ai paesi firmatari della Dichiarazione Politica delle Nazioni Unite 2016 per la fine dell’AIDS: “con quella dichiarazioni gli Stati Membri si sono impegnati a garantire che, entro il 2030, almeno il 30% di tutta la fornitura di servizi sia guidato dalle comunità e che almeno il 6% delle risorse vada ad attività sociali e servizi svolti dalle community come, ad esempio, la fornitura di condom, i test rapidi, i programmi per la difesa dei diritti umani, la mobilitazione per riformare leggi e pratiche discriminatorie, le campagne contro lo stigma, le azioni di advocacy”.
Le Community sono la chiave per il rispetto degli obiettivi ONU di sviluppo sostenibile –si scrive, infine al terzo punto- in un mondo di crescenti disuguaglianze, fragilità, discriminazioni, loro assicurano che nessuno sia lasciato indietro. Le community sono parte di un moderno sistema sanitario e svolgono un ruolo unico nel fornire servizi alle persone che ne hanno maggiormente bisogno. Sono portatrici di diritti umani e “possono rilevare e prevenire qualsiasi attacco agli stessi diritti umani. Le Community sono i cani da guardia della risposta all’AIDS”.
“Da UNAIDS è giunto un riconoscimento importante che deve suonare come un forte richiamo anche per i responsabili politici italiani. Le risorse per la risposta all’HIV sono ai minimi, per non parlare del sostegno ad associazioni e community” commenta Massimo Oldrini, Presidente Nazionale della LILA.
Da oltre trent’anni la LILA, poi seguita nel tempo da altre associazioni, sostiene con le sole proprie forze iniziative di prevenzione e supporto nelle scuole, nei luoghi di incontro giovanili e in quelli del sesso, nelle strade con i e le sex workers, nelle carceri, nei luoghi di lavoro, nei luoghi del consumo di sostanze. “A fronte di una latitanza delle istituzioni pressoché totale –spiega Oldrini- da decenni informiamo, facciamo empowerment, distribuiamo profilattici e materiali informativi, forniamo servizi di counselling di alto livello, sosteniamo gruppi di auto-aiuto tra pari, assicuriamo servizi di testing per HIV e HCV, assistenza legale e previdenziale, supportiamo l’accesso delle persone ai servizi per l’HIV e il loro mantenimento in cura, siamo costantemente impegnati in campagne e azioni di advocacy contro stigma e discriminazioni”.
Gran parte di queste iniziative è assicurata dalla raccolta fondi tra privati e da pochi progetti perlopiù di ambito europeo. Nessuna risorsa aggiuntiva è stata stanziata dai Ministeri della Salute dei vari governi che si sono succeduti per sostenere l’innovativo Piano Nazionale AIDS varato nel 2016 e approvato nel 2017, poche le regioni che si stanno attivando per attuarlo; impegno irrilevante anche da parte dei comuni. Basti pensare che solo due amministrazioni in Italia, Milano e Bergamo, hanno aderito alla rete delle città Fast-track, nata con la dichiarazione di Parigi e volta a segnare un maggiore impegno delle città del mondo per il raggiungimento degli obiettivi ONU 2030 sulla fine dell’AIDS. Firenze ha appena aderito proprio in occasione del prossimo primo dicembre. Tuttavia, da parte delle amministrazioni aderenti non risultano impegnate le risorse necessarie, come invece richiesto dall’organismo promotore. “Non è più pensabile –ha concluso Oldrini- che queste fondamentali azioni di salute pubblica e di difesa dei diritti umani restino affidate all’autofinanziamento e al buon cuore di volontari e donatori. L’HIV si può battere e la recente presa di posizione della comunità scientifica italiana sul principio U=U lo dimostra. Se davvero il nostro paese vuole essere coerente con gli obiettivi che si è impegnato a perseguire in sede ONU è necessario un radicale cambio di rotta sul piano della programmazione e delle risorse e una diversa attenzione al ruolo di associazioni e community. Investire sulla salute delle persone vuol dire rispettarne i diritti umani ma anche ridurre i costi sociali e sanitari dell’HIV".