La pandemia da Covid 19 ha avuto un forte impatto sul mondo droghe investendone tutti gli aspetti: modalità di consumo, servizi pubblici e del terzo settore, mercato illegale, carcere; ma ha anche aperto scenari di riflessione e studio che mostrano quanto sia necessario ripensare a tutto il complesso delle politiche sulle droghe in Italia rimettendole al centro di una sanità pubblica di qualità e al servizio delle persone. Di questi temi si è discusso nel consueto appuntamento della Summer School organizzata da Forum Droghe e dal CNCA (coordinamento nazionale delle comunità d’accoglienza), svoltosi tra il 3 e il 5 settembre.
Formula inedita a causa del Covid, il seminario on-line ha visto la partecipazione attiva di un gran numero di operatori, associazioni, consumatori, responsabili di servizi pubblici e no-profit: oltre 240 sono state le persone impegnate nella preparazione dell’appuntamento che ha visto oltre 200 iscritti. “E’ un buon segnale –ha detto Stefano Vecchio di Forum Droghe- il nostro mondo è attivo e vuole partecipare a questa fase cruciale di elaborazione” .
Base del seminario, è stato l’alto numero di dati e ricerche fornite in tempo record dalle realtà attive sul campo, segno del ruolo fondamentale e imprescindibile esercitato da quest’arcipelago della salute pubblica, dei diritti e della solidarietà, un mondo relegato sempre più in fondo alle agende delle politiche sanitarie nazionali e regionali. “L’impatto del Covid su questo settore ha mostrato una volta di più quanto sia importante partire dalla ricerca sul campo, dalle evidenze scientifiche, dalle comunità” ha detto Fabrizio Mariani del CNCA.
A fornire un quadro qualitativo dell’impatto del Covid su: stili di consumo, mercato, servizi, è una ricerca condotta da Claudio Cippitelli, Parsec-CNCA e da Susanna Ronconi, Forum Droghe, tuttora in corso tra Firenze, Roma e Napoli, attraverso lunghe interviste a utenti di servizi e unità di strada.
Diversamente da quanto il senso comune potesse supporre, il quadro che ne emerge è quello di un atteggiamento di grande responsabilità e autocontrollo da parte dei consumatori, di rispetto delle regole, di capacità di reazione alle incertezze poste dall’emergenza, proprio com’è accaduto per tutto il resto della popolazione. “Generalmente, la popolazione dei consumatori di droghe –ha spiegato Cippitelli- non ha messo in campo comportamenti anti-sociali ma, anzi, ha fatto fronte con grande civiltà ai propri bisogni”. Il reddito di cittadinanza ha attutito senz’altro l’impatto dell’emergenza sui più vulnerabili. Eppure, per i consumatori abituali, non si è trattato e non si tratta di un momento facile: il lockdown ha ostacolato l’approvvigionamento delle sostanze, aumentato ansie e incertezze rispetto al futuro, le difficoltà in caso di convivenza con non consumatori, ha provocato forti stati di stress per la sospensione o il rallentamento del rapporto con i servizi di riduzione del danno. Tuttavia, la resilienza mostrata da tutte le parti in causa ha anche permesso di riorganizzare con razionalità le proprie abitudini, di riscoprire legami famigliari, di valorizzare il rapporto con i servizi. Proprio i servizi, soprattutto quelli a bassa soglia, nel giro di alcune settimane, sono riusciti a riorganizzare la propria operatività e questo è stato un elemento particolarmente apprezzato: consulenze e counselling a distanza, recapito a domicilio dei trattamenti sostitutivi, prolungamento dei periodi di affidamento degli stessi con la consegna di un maggiore quantitativo di farmaci sono state alcune delle strategie adottate. Molti anche i drop-in, le unità di strada, i servizi a bassa soglia per la riduzione del danno o dei rischi che sono riusciti a riorganizzarsi in breve tempo, nonostante le scarse risorse, e a rimanere aperti.
Le restrizioni e le ristrettezze economiche hanno fatto lievemente diminuire i consumi spostandoli più verso hashish, marijuana o verso i cannabinoidi legali (CBD), gli anti-depressivi e l’alcol, sostanze più accessibili. “Ma –ha spiegato Susanna Ronconi- non sono stati solo i dati oggettivi dovuti al mutato contesto ad orientare i cambiamenti; determinanti sono state anche le scelte dei consumatori stessi , le loro motivazioni al consumo”. Una spia è il rilevante calo del consumo di stimolanti legati al divertimento e alla socialità: venendo meno tali contesti, sembra cioè venire meno anche l’esigenza di consumi legati a quel tipo di esperienza, segno che chi consuma sa e può scegliere, può adeguare le proprie scelte alle situazioni. Per questo durante il lockdown ci si è orientati più all’autocura verso sostanze che potessero cioè favorire il sonno, placare l’ansia, attutire la solitudine. Molti degli intervistati hanno attinto a risorse personali inaspettate scoprendosi capaci di organizzazione e autocontrollo guidati più dal piacere del consumo più che dall’automatismo dello stesso.
Secondo Patrizia Maringolo, Forum Droghe, “è ora di riaffermare con forza che il consumo di sostanze è un comportamento sociale come tanti altri e che il mondo del consumo non è una realtà altra rispetto al resto della società”. Come accaduto per tutte le altre attività umane, con il Covid, consumatori e consumatrici hanno dovuto ricostruire le proprie regole e le proprie routine mostrando un alto grado di consapevolezza nel sapersi proteggere dagli effetti negativi del lockdown. Allo stesso tempo, i servizi più innovativi e orientati alla prevenzione come quelli di riduzione del danno o limitazione dei rischi hanno mostrato più flessibilità nel fronteggiare la crisi. Due spunti provenienti dalle ricerche vanno valorizzati: una maggior fiducia nelle capacità di autoregolazione/ autogestione dei consumatori e la necessità di inserire i servizi in una strategia più ampia di diritto alla salute.
Il punto di vista dei servizi pubblici e residenziali accreditati durante l’emergenza è stato oggetto di una tavola rotonda tra Paolo Jarre, dip ASL 3 Torino, Edo Polidori, UOC dip Modena, Stefano Vecchio Dip Napoli 1, Leopoldo Grosso, gruppo Abele, Claudio Russo, operatore pari ITANPUD. Comune la sensazione che ancora una volta Regioni e Governo centrale abbiano “dimenticato” di annoverare Serd e servizi accreditati tra le strutture fondamentali per una risposta complessiva di salute pubblica anti-Covid, basti pensare come a questi servizi non siano stati forniti protocolli di sicurezza specifici e che non siano nemmeno stati compresi nel piano di distribuzione di mascherine e dispostivi di protezione. Nel complesso, è opinione comune, i servizi hanno comunque retto all’impatto della pandemia riuscendo, dopo un’iniziale flessione delle prestazioni, a trovare strumenti e modalità per non abbandonare i cittadini a se stessi: se sono state inevitabili, ad esempio, l’interruzione delle attività di gruppo o la limitazione delle attività di drop-in, le nuove tecnologie, la consegna a domicilio dei trattamenti, i colloqui a distanza l l’adozione di comportamenti sicuri, hanno comunque consentito di mantenere i rapporti con i propri utenti. La maggiore durata degli affidamenti delle terapie sostitutive ha inoltre, in alcune casi, migliorato la responsabilizzazione e la collaborazione tra operatori e utenti. Una mancanza di strategie alternative ha invece caratterizzato quei modelli di consumo che non prevedono terapie sostitutive. Per il futuro sarà necessario rendere ancora meno rigido il sistema dei Serd, integrare nei servizi istituzionali anche quelli di riduzione del danno, ampliare la partecipazione del terzo settore e quella delle reti degli utenti. Un allarme generale riguarda il rischio di un’eccessiva “psichiatrizzazione” dei servizi per le dipendenze che, in quanto presidi di salute pubblica, non possono non includere competenze mediche, sanitarie e sociali più ampie di quelle puramente psichiatriche.
Un risvolto inedito dell’impatto del Covid sui servizi è stato messo in luce da Paolo Jarre. “Con il Covid ci si aspettava una strage tra le persone immuno- depresse e tra i consumatori di droghe ma questo non è accaduto” ha detto Jarre spiegando come da gennaio 2020 i decessi per overdose da eroina siano stati 146, meno del 2018 e del 2019 quando se ne registrarono rispettivamente 175 e 179. Nell’ASL 3 di Torino, ha spiegato ancora Jarre, la prevalenza di persone con Covid tra i dipendenti da alcol o droga è stata molto più bassa rispetta a quella della popolazione generale. La stessa cosa è accaduta per gli operatori del Serd. Non si tratta di fortuna: è invece probabile, secondo Jarre, che i servizi più abituati a trattare HIV e HCV e gli stessi utenti siano stati più pronti a mettere in atto meccanismi di prevenzione e di tutela della propria e altrui salute.
Più complicato è stato l’impatto del Covid su centri diurni e comunità d’accoglienza, come hanno spiegato Leopoldo Grosso e una ricerca condotta da Maria Stagnitta del CNCA. Segnalate difficoltà a riorganizzare gli spazi interni per garantire il distanziamento, attese per gli ingressi più lunghe se non bloccate, interruzione delle attività esterne, difficoltà a organizzare in sicurezza gli incontri tra utenti e parenti. Anche in questo caso i servizi di Outreach (affidi di terapie, telefonate, consegna domiciliare dei trattamenti, accompagni esterni) hanno costituito delle strategie alternative da mantenere anche in futuro.
Le ricerche quantitative
Le ricerche sul campo confermano il quadro generale tracciato in precedenza. Ne riassumiamo di seguito alcune.
Secondo il survey “Lockdown e uso di sostanze. Una ricerca esplorativa” (E. Fornero, I. Fineschi Piccinin), condotta da Kosmicare (PT), Energy Control (E), Neutravel, Forum Droghe, CNCA e ITARDD (IT), alcool e cannabis si confermano le sostanze più usate negli ultimi dodici mesi. Diminuisce invece l’uso delle cosiddette party drugs (MDMA, cocaina, ketamina e LSD), probabilmente in conseguenza dell’assenza di setting sociali di consumo. Rispetto alle motivazioni di uso, diminuiscono gli scopi ricreativi e
aumentano quelli di autocura come evadere dalla realtà, aiutarsi a dormire, evitare la solitudine, quest’ultimo soprattutto per le donne; chi dichiara di aver cambiato il modo in cui si procura sostanze, indica che ha smesso intenzionalmente di comprarle. L’accessibilità delle sostanze risulta diminuire, ad eccezione di cocaina ed eroina.
La ricerca DRUGS&COVID è stata condotta tramite questionari online ad utenti dei servizi lo scorso aprile dal sottogruppo CNCA RDD ed RDR e illustrata da Selene Regio, psicologa, della Cooperativa Il Cammino di Roma e Claudia Iormetti, psicologa di Open Group di Bologna. A renderla urgente –hanno spiegato le operatrici- è stata la necessità da parte di chi opera nel campo della Riduzione del Danno di essere sempre in grado di seguire i cambiamenti che intervengono nel consumo e nel mercato, tanto più in una situazione eccezionale come quella prodotta dal Covid. Il 25% degli intervistati ha confermato un aumento del consumo di alcol, il 44% ha riferito di aver diminuito i propri consumi ma un altro 20% dichiara di averlo addirittura aumentato. Chiara la tendenza al policonsumo di sostanze e a un aumento della varietà di consumo ma la più usata è stata la cocaina il che confermerebbe una buona disponibilità della sostanza anche durante il lockdown. Il 60% ha riferito di aver avuto meno denaro a disposizione per l’approvvigionamento ma, nonostante ciò, il 44% dichiara di aver speso di più. Il 63% riporta un uso solitario in casa. Per quanto riguarda il rapporto con i servizi, l’affidamento delle terapie per periodi più lunghi e la loro gestione in maggiore autonomia sono stati apprezzati dal 72% degli utenti. Il 49% non riferisce cambiamenti nel rapporto con le strutture mentre il 51% riferisce di un rapporto attenuato. Tra costoro, tuttavia, ben il 44% ha sperimentato un nuovo servizio mostrando flessibilità nell’adattarsi a nuove modalità di relazione come il counselling online.
Sofia Gentile, di ITANPUD, rete italiana di consumatori, ha illustrato l’esito di una ricerca peer-to-peer condotta grazie alla rete nell’ambito di una più vasta iniziativa europea lanciata da Harm Reduction International. Riadattata al contesto italiano e basata sul principio: “Niente su di noi senza di noi”, la ricerca “Te lo dico io” ha messo in luce le grandi difficoltà vissute dai consumatori durante il lockdown “visto che –ha detto Gentile- si poteva uscire per comprare le sigarette ma non altre sostanze”. Una parte di consumatori più fragili è stata così comunque costretta a rischiare di scendere in strada per approvvigionarsi. Rispetto alle sostanze il 70% ha dichiarato di consumare cannabis, a seguire ci sono il consumo di cocaina (13%), eroina (10%), LSD (3%). Un 6% riferisce il consumo di psicofarmaci. Gran parte di costoro riferisce di aver acquistato sedativi per il fatto di non riuscire a trovare la sostanza cercata. Si conferma così lo spostamento verso droghe legali ma con rischi analoghi per la salute. Quasi il 50% ha rilevato una qualità peggiore delle droghe usate abitualmente. Altre segnalazioni: l’aumento dei prezzi , l’aver dovuto cambiare pusher (29%) e la tendenza ad acquistare di più tra la merce disponibile (61%) con un deciso aumento dei rischi. Confermata la tendenza al policonsumo.
Per quanto riguarda il rapporto con i servizi solo il 9% ha dichiarato di aver avuto problemi nel reperire le terapie sostitutive e il 10% di aver avuto problemi con gli affidi delle stesse. Ancora un 10% ha dichiarato di aver avuto difficoltà a reperire aghi e prodotti sterili e il 30% ha evidenziato problemi nell’accesso ai servizi di orientamento e counselling. Nel complesso si è evidenziata comunque una buona tenuta dei servizi che hanno mostrato flessibilità e capacità di adattarsi alle esigenze degli utenti ad esempio con il counselling online. Per quanto riguarda gli orientamenti futuri, il 47% dice di aver pensato a una riduzione dei consumi, indicatore, probabilmente di una tendenza all’autoregolazione, a fronte delle difficoltà del mercato. In considerazione del fatto che i consumatori di marijuana e hashish rappresentano una quota importante di consumatori di sostanze (la relazione al parlamento 2018 stima che in Italia vi sia 1.400.000 di consumatori di cannabis mentre in Europa si stima siano 24, 7 milioni) le difficoltà nel reperimento e il relativo aumento del prezzo fanno pensare, conclude il rapporto, ad una strategia di mercato volta ad aumentare i profitti delle mafie.
Indicazioni interessanti anche da diversi studi attivati in Europa durante la fase acuta della pandemia dall’EMCDDA – European Monitoring Centre on Drugs and Drug Addiction. L’esito di 10mila questionari, i dati sulle analisi delle acque reflue di grandi città europee e le informazioni giunte da venticinque focal point hanno evidenziato rilevanti cambiamenti negli stili di consumo del Vecchio Continente. Innanzitutto si è rilevato un decremento generale nel consumo di droghe, soprattutto per alcuni modelli di consumo, nei primi tre mesi della pandemia; Ad incidere la non accessibilità dei setting legati al divertimento, le limitazioni allo spaccio in strada, l’aumento dei prezzi e il conseguente peggioramento della qualità delle sostanze. Diversamente dallo scenario italiano, Cocaina e MDMA hanno fatto registrare diminuzioni maggiori. Per quanto riguarda la cannabis, lo studio suggerisce invece che i consumatori occasionali ne abbiano ridotto l’uso mentre quelli abituali o intesivi, laddove possibile, lo abbiano aumentato, spesso anche per contenere ansia, noia e solitudine. Aumentata la ricerca sul web e la consegna a domicilio di cannabis. La minore disponibilità di eroina ha portato a un aumento del ricorso alle terapie sostitutive. In generale, probabilmente per gli stessi motivi, si riporta un aumento del consumo di alcol, sedativi e benzodiazepine. Segnalato un incremento delle emergenze legate al disagio psicologico.
Sul fronte del mercato, l’impatto maggiore si è avuto sul piccolo spaccio con conseguente aumento dei prezzi e una minore, talvolta momentanea, disponibilità di merce. Il grande traffico, interno ed esterno all’Unione Europea, è invece proseguito senza rilevanti interruzioni mostrando una grande capacità di adattamento e quello marittimo risulta addirittura aumentato.
Le prestazioni dei servizi, infine, hanno fatto registrare solo lievi flessioni. I drop-in, i servizi di Riduzione del danno e le prestazioni a bassa soglia sono stati inizialmente i più colpiti per ovvi motivi ma hanno poi saputo elaborare nuove modalità di intervento come le consegne a domicilio dei trattamenti e dei materiali e l’affidamento di quantitativi maggiori per coprire periodi più lunghi. Un aiuto è venuto anche dalle nuove tecnologie. In conclusione: accanto agli impatti negativi del Covid, si sono registrate anche innovazioni che aprono interessanti scenari futuri; la riduzione del danno deve essere valorizzata come parte fondamentale delle risposte di salute pubblica, occorre investire su innovazione e competenza digitale, approccio sanitario e sociale devono essere sempre più integrati e centrati sulla persona.