Le giornate di Nadir 2020, tenutesi per la prima volta in modalità virtuale lo scorso 1-2-3 ottobre, hanno voluto dare risalto ai nuovi scenari in ambito HIV a fronte di un’altra pandemia che continua a diffondersi a livello mondiale. Tirando le somme di quanto è accaduto negli scorsi mesi segnati dall’era COVID-19 e prendendo atto del fatto che l’emergenza sia tutt’altro che finita, i quesiti e le domande su cui ci si interroga sono innumerevoli:
cosa è cambiato all’interno delle strutture sanitarie; quali conseguenze per la relazione medico-paziente; il concetto di deprescribing nell’ottica del quarto novanta, quali sono le nuove/vecchie criticità oggi ancora più palesi di una struttura sanitaria già deficitaria.
Diversi relatori hanno messo in luce l’impatto negativo dell’emergenza COVID sul sistema sanitario, sulla gestione e prevenzione dell’HIV e sui quattro target di UNAIDS nell’impegno globale alla lotta contro HIV/AIDS, a partire da una diminuzione nel ricorso ai servizi di testing e alla PrEP, profilassi Pre-Esposizione -con il 25% delle persone in PrEP che hanno interrotto il trattamento e il 5% che è passato alla PrEP on demand — all’aumento dei casi di IST e HIV con probabile conseguente aumento dei late presenters. Si stima inoltre che siano stati tanti i pazienti che durante il lockdown abbiano interrotto temporaneamente o del tutto l’assunzione della terapia ART.
Le conseguenze sulla relazione tra infettivologo e paziente nella fase di follow-up è stato uno dei punti più dibattuti, con tutte le preoccupazioni legate a un nuovo modello di telemedicina ancora poco strutturato. Secondo il Professor Giovanni Guaraldi, infettivologo e responsabile della clinica Metabolica presso il Policlinico di Modena, “un approccio ibrido, fatto di incontri vis-a-vis e telehealth, rappresenta un’opportunità da cogliere nella sua innovatività" per ridisegnare la relazione medico-paziente. In uno scenario del genere risulta estremamente importante la preparazione della visita con il medico da parte del paziente a cui si richiede un empowerment sempre maggiore.
Il Professor Massimo Andreoni, cattedra di Malattie Infettive all’Università Tor Vergata di Roma, nel presentare la propria relazione dal titolo ‘Nuove terapie e strategie terapeutiche orali e iniettabili’, elenca una serie di straordinarie innovazioni scientifiche nell’ambito dei trattamenti per l’HIV sempre più patient-oriented che, tuttavia, nella pratica clinica incontrano molte difficoltà soprattutto in un momento in cui avere accesso ai centri clinici è particolarmente problematico. Tra le nuove terapie spiccano le cosiddette long-acting, sotto forma intramuscolare, per bocca o addirittura con farmaci su dose sottocutanea, che “eliminerebbero –ha detto Andreoni- la fatica dell’assunzione giornaliera del farmaco e proteggerebbero la riservatezza della malattia, riducendo in tal modo anche lo stigma”. Sono terapie estremamente efficaci, pensate anche per la PrEP, che rispondono alla necessità di migliorare l’aderenza ma che devono essere assunte con assoluta regolarità per evitare farmacoresistenze. Gli studi in tal senso hanno dato ottimi risultati e hanno dimostrato grande soddisfazione da parte dei pazienti. Al seminario è intervenuto anche il Professor Andrea Antinori, infettivologo e direttore Malattie Infettive dell’IIRCCS INMI Lazzaro Spallanzani di Roma, che ha parlato della correlazione tra le due epidemie, la vecchia e purtroppo ancora attuale epidemia di HIV e la nuova di SARS COV-2. Nel constatare che le due presentano alcune analogie, come rischi e comorbidità comuni, e una maggiore fragilità per le popolazioni vulnerabili, Antinori ha riportato i risultati di diversi studi europei e americani volti a capire se il SARS COV-2 rappresenti un rischio aggravante per le PWHIV. La maggior parte di questi hanno indicato che non c’è maggiore suscettibilità all’infezione nella popolazione HIV positiva. Non si può negare, tuttavia, un potenziale effetto indiretto legato all’impatto dell’emergenza COVID sulle strutture sanitarie e di conseguenza su molti servizi di cura e prevenzione.
La relazione di Massimo Oldrini, Presidente Nazionale LILA, ha riportato le criticità del sistema sanitario in rapporto a PrEP e PEP (Profilassi Post-Esposizione), strumenti straordinari in uso da molti anni e raccomandati da tutte le agenzie a livello internazionale, ma che in Italia incontrano molta resistenza. Secondo Oldrini, il forte ritardo dell’Italia è sicuramente da attribuire al fatto che parlare di sessualità e pratiche sessuali sia ancora un tabù non solo tra la popolazione generale ma persino in ambito clinico. A monte dei problemi tecnico-pratici sussiste, infatti, un problema di arretratezza culturale, per cui solo il medico infettivologo può prescrivere la PrEP. “La questione dei costi non esiste — ha sottolineato ancora Oldrini — in quanto il sistema sanitario spende molto di più per una nuova infezione da HIV che per una persona che desidera assumere la PrEP”.
La seconda parte del seminario, condotta dalla Dottoressa Amalia Bove, ha riguardato in particolare gli aspetti psicologici dell’impatto con il Covid e con la telemedicina. Si è parlato tanto di resilienza, ovvero quella capacità di ognuno di noi di riorganizzare la propria vita in seguito a traumi. “Così come la relazione tra genitore e figlio/a, anche quella tra medico e paziente è una relazione di cura e accadimento –ha spiegato- in cui il medico è chiamato a fornire e sostenere la capacità di resilienza”. Dopo decenni in cui il paziente HIV ha avuto un posto di primo piano, si ritrova tutto a un tratto solo e abbandonato. “La relazione tra medico e paziente - ha continuato la dottoressa Bove - ha dovuto affrontare una prova senza precedenti, un momento di rottura e abbandono”. Per tali motivi, è essenziale fare prevenzione e prestare particolare attenzione ai bisogni psicologici del paziente.
La Dottoressa Antonella Cingolani, infettivologa presso il reparto di Malattie Infettive del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma, nel suo intervento dal titolo “I PRO: Definizione, benefici nella pratica clinica e per la salute fisica” ha chiarito come lo strumento dei PRO, i Patient Referred Outcome (ossia la descrizione delle condizioni generali psico-fisiche riferita dal paziente stesso, mediante questionari scientificamente elaborati) possa fornire un’impressione dello stato di salute che va oltre lo stato della malattia riguardando una concezione di benessere globale. I PRO sono utilizzati come outcome anche nello sviluppo di alcuni farmaci e, a sostegno dei vantaggi del loro utilizzo, ci sono numerosi studi tra cui uno relativo a casi di pazienti oncologici che ha mostrato una differenza importante per la sopravvivenza, nei farmaci sviluppati con i PRO e quelli che non lo sono. Altri studi attinenti alle terapie antiretrovirali hanno constatato gli effetti positivi dei trattamenti precoci in termini di qualità della vita mentale e fisica. In effetti, la salute mentale è il grande neo della qualità della vita (QoL) del paziente con HIV, come risulta anche da un altro studio, messo in rilievo dalla Dottoressa Cingolani, il grave fardello dello stigma, dei pregiudizi legati all’HIV ha sicuramente ancora un impatto negativo sulla qualità della vita in termini di salute mentale, fisica, e di supporto sociale.
Tenendo conto del fatto che il COVID di per sé abbassi la qualità di vita delle persone in generale, “la correlazione tra depressione, solitudine e QoL è particolarmente vera in questo periodo” ha detto ancora Cingolani ricordardando quanto sia importante intervenire sulla prevenzione della depressione “problema –ha detto- che ha un impatto enorme su tutti gli aspetti del continuum of care in quanto le persone depresse hanno maggiori difficoltà ad assumere regolarmente la terapia.”
Il modello su cui si ragiona vuole andare oltre la telemedicina nella gestione avanzata della cronicità, con l’obiettivo di integrare i dati di laboratorio con gli aspetti legati alle visite e quelli relativi alla qualità di vita. Ma, come ha confermato la stessa Cingolani: “c’è ancora molta difficoltà nell’ambiente medico a far capire l’importanza di tali outcome”.
In tale contesto, risulta particolarmente rilevante l’intento principale del seminario di costruire, insieme alle altre associazioni della community, una bozza di PRO HIV, ovvero uno strumento in mano al paziente, in cui siano evidenziati gli elementi da cui non si può prescindere nella relazione con il medico. Il PRO sarà organizzato in macro-aree che interesseranno, tra le altre cose, gli aspetti relativi all’infezione e allo stato di salute fisica e psicologica, la relazione con il medico e la struttura sanitaria. Tale strumento, che mira a raccontare i bisogni del paziente, “potrebbe anche diventare un elemento complementare della visita telematica”, ha concluso Filippo Schloesser di NADIR.