Il mondo può porre fine all’AIDS e per farlo è cruciale il ruolo delle community, delle associazioni e della società civile; sono essenziali, per raggiungere questo obiettivo, le persone con HIV, chi è esposto al rischio di contrarre questo virus, le famiglie di questi cittadini e di queste cittadine, i loro gruppi sociali: siano queste comunità a guidare le azioni necessarie!
E’ questo il messaggio scelto da UNAIDS per questo primo dicembre, Giornata Mondiale per la lotta all’AIDS 2023 (WAD). “Let Communities Lead” è anche il titolo del rapporto con cui UNAIDS lancia questa Giornata Mondiale di lotta all’AIDS.
Non si tratta di una prima volta; da tempo UNAIDS insiste sulla necessità di riconoscere alle community un ruolo di primo piano nella risposta all’HIV: “Le comunità – afferma la nota UNAIDS che lancia la WAD 2023- mettono in contatto le persone con i servizi sanitari pubblici incentrati sulla persona, creano fiducia, innovano, monitorano l’attuazione di politiche e servizi e responsabilizzano chi li eroga”. Tuttavia, prosegue UNAIDS, troppo spesso, la loro capacità di leadership è messa a rischio: “Dalla carenza di finanziamenti, da ostacoli politici e normativi, dalla compressione della società civile o dalla negazione dei diritti umani di queste stesse comunità”. Se questi ostacoli saranno rimossi, prosegue UNAIDS: “Le ONG potranno dare un impulso ancora maggiore alla risposta globale all’HIV accelerando i progressi verso la fine dell’AIDS”. L’urgenza del massaggio di UNAIDS è legata agli obiettivi ONU per uno sviluppo sostenibile (SDGs) da raggiungere per il 2030, dunque entro la fine del decennio: pochi anni per rendere la terra un posto più sicuro, più giusto, più sostenibile dal punto di vista ambientale, economico, sociale e sanitario. Tra i grandi obiettivi di salute globale c’è la sconfitta di alcune malattie e/o pandemie epocali che creano sofferenze e morte, frenando la sviluppo delle popolazioni e degli stati: tubercolosi, epatiti virali, malaria, AIDS.
“La fine dell’AIDS è possibile, è alla nostra portata - afferma Winnie Byanyima, Direttrice esecutiva UNAIDS - Per seguire il percorso che pone fine all’AIDS, il mondo deve lasciare che siano le comunità a guidare questo processo”.
Questo World AIDS Day, sostiene UNAIDS, più che una celebrazione dei risultati ottenuti dalle community, è un vero e proprio appello a sostenerne il ruolo di leadership nel percorso verso la fine dell’AIDS. Per questo, nel documento che accompagna la giornata, si raccomanda:
- i ruoli di leadership delle comunità devono essere resi centrali in tutti i piani e programmi sull'HIV e nella loro formulazione, definizione del budget, implementazione, monitoraggio e valutazione: “Niente su di noi senza di noi.”
- I ruoli di leadership delle comunità devono essere finanziati in modo completo e affidabile per consentire il necessario incremento ed essere adeguatamente supportati e remunerati. “Non porre fine all’AIDS è più costoso che eliminarlo”.
- È necessario rimuovere le barriere ai ruoli di leadership delle comunità. A tal fine occorrono contesti normativi favorevoli, che facilitino il ruolo delle comunità nella fornitura di servizi per l’HIV, garantiscano spazio alla società civile e proteggano i diritti umani di tutti, comprese le comunità emarginate, per far avanzare la risposta globale all’HIV. “Rimuovere le leggi che danneggiano, creare leggi che danno potere”.
Nel rapporto “The Path that Ends AIDS”, dello scorso luglio, UNAIDS sostiene con nettezza come porre fine all’AIDS sia assolutamente possibile e come dipenda solo dalle scelte politiche ed economiche dei governi. “La sconfitta dell’AIDS offre ai leader di oggi l’opportunità di lasciare un’eredità straordinaria ai posteri - ha detto Winnie Byanyima, direttrice esecutiva di UNAIDS - Potrebbero essere ricordati dalle generazioni future come coloro che hanno fermato la pandemia più mortale al mondo. Potrebbero salvare milioni di vite e proteggere la salute di tutti”.
Il quadro complessivo offerto dal documento sulla situazione HIV/AIDS presenta luci importanti e molte ombre. Le evidenze dimostrano come i paesi che hanno operato per garantire il benessere delle persone e delle comunità abbiano avuto successi straordinari: Botswana, Swaziland, Ruanda, Repubblica Unita di Tanzania e Zimbabwe hanno già raggiunto gli obiettivi “95-95-95”*; altri sedici paesi dell’Africa sub-sahariana, la regione che ospita il 65% di tutte le persone che vivono con l’HIV, sono ormai vicini a raggiungere questo obiettivo. I progressi più incisivi, ci dice dunque il rapporto, sono stati più forti nei paesi e nelle regioni che hanno impiegato maggiori investimenti finanziari, come l’Africa orientale e meridionale e in quelli che hanno rimosso leggi dannose e discriminatorie verso interi gruppi di popolazione. Tra questi: Antigua e Barbuda, Barbados, Isole Cook, Saint Kitts e Nevis, Singapore che hanno depenalizzato le relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso.
Di contro, proprio nel corso del 2023, l’Uganda, si è unita al novero dei paesi che prevedono la pena di morte per chi abbia relazioni omosessuali. L’obiettivo “discriminazioni zero” nel 2030 appare, altro pilastro degli SDGs, appare, purtroppo, ancora lontano. Che le cose non stia andando per il meglio lo sottolinea, del resto, anche UNAIDS: l’AIDS, ancora nel 2022, ha causato nel mondo un decesso ogni minuto. Oltre nove milioni di persone continuano a non ricevere cure, compreso il 43% dei bambini che vive con l’HIV. Le donne giovani e giovanissime sono ancora colpite dal virus in modo sproporzionato, in particolare nell’Africa sub-sahariana. Nel 2022, globalmente, hanno contratto l’HIV ben quattromila giovani donne e ragazze ogni settimana.
In Asia e nel Pacifico rappresentano ormai quasi un quarto di quelle totali (il 23%). Male anche l’Europa orientale e l’Asia centrale, dove dal 2010 le infezioni sono aumentate del 49% e il Medio Oriente - Nord Africa: più 61% dal 2010. Il forte aumento delle infezioni in queste aree è direttamente proporzionale alla mancanza di servizi per le popolazioni più emarginate e a legislazioni punitive, criminalizzanti e discriminatorie nei confronti di alcuni gruppi di popolazione (MSM, donne, consumatori di droghe, sex Workers). ECDC, European Centre for disease prevention and control, documenta, ovviamente, valori decisamente migliori nei paesi UE/SEE, quelli a welfare avanzato; in quest’area la percentuale di persone consapevoli di aver contratto l’HIV è intorno al 90%, di cui il 95% è in trattamento ART e il 93% è virologicamente soppresso. Tra i paesi UE/SEE alcuni ormai molto vicini, o hanno già centrato gli obiettivi ONU per il 2025. Tra questi l’Italia che, secondo i dati appena pubblicato dal Centro Operativo AIDS dell’ISS, nel 2021 sfiora un 95-95-93, quindi già vicinissima ai target 2025.
In preoccupante calo anche i finanziamenti globali per la risposta all’HIV, tornati nel 2022 ai livelli del 2013: 20,8 miliardi di dollari, contro i 29,3 necessari per il 2025.
La minore disponibilità di finanziamenti rischia di allontanare tutto il mondo dagli obiettivi del millennio. Le nuove infezioni globali, ad esempio, dovrebbero scendere nel 2025 a 370mila ma nel 2022 non sono scese abbastanza attestandosi a un milione e trecentomila. I decessi collegati All’AIDS dovrebbero scendere nel 2025 a 250mila ma nel 2022 sono stati ancora 630mila. Infine, tra i 39 milioni di persone che vivono con HIV nel mondo hanno avuto accesso alle terapie in 29,8 milioni cioè il 75,4% rispetto al 95% previsto per il 2025. Il target 95-95-95 Si tratta di gap ampi ma non impossibili da colmare con le dovute risorse economiche e la giusta volontà politica: “I fatti e le cifre contenuti in questo rapporto mostrano come il mondo non sia ancora sulla buona strada – dice ancora Winnie Byanyima, ma mostrano anche che possiamo esserlo. La direzione è chiara. Ci uniamo alle comunità di tutto il mondo per sollecitare i leader a dimostrare la volontà di guidarci lungo la strada giusta”.
Per saperne di più:
- Global HIV Programme - HIV data and statistics (OMS-WHO)
- HIV statistics, globally and by WHO region, 2023 (OMS-WHO)
*Il target “95-95-95” è uno dei principali obiettivi intermedi prescritti dall’ ONU per raggiungere il traguardo SDGs entro il 2030. Cosa significa questa formula? La “tabella di marcia” necessaria a raggiungere tale risultato – ci dicono, in sostanza, ONU e UNAIDS - richiede che, entro il 2025, il 95% delle Persone che convivono con l’HIV sia reso consapevole del proprio stato sierologico, che il 95% delle persone che sanno di convivere con l’HIV abbia avuto accesso ai trattamenti antiretrovirali salvavita e che il 95% delle persone in trattamento raggiunga la soppressione virologica, stato che rende l’HIV non trasmissibile.