Lo scorso 14 novembre si è tenuto a Milano il primo incontro con i giornalisti italiani, previsto dal progetto “Formare cHI V’informa: consolidare le conoscenze degli/le esperti/e in comunicazione in ambito di HIV e U=U. Per un'informazione corretta e libera dallo stigma”. L’evento, organizzato in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, si è svolto presso lo IULM di via Carlo Bo e ha visto la partecipazione di una decina di iscritti all’ordine regionale e di altrettanti esperti in comunicazione delle associazioni partner del progetto.
Il progetto, finanziato dal Ministero della Salute, è coordinato da UNIPI, Università di Pisa, capofila istituzionale e Università Cà Foscari di Venezia, in collaborazione con dieci associazioni che fanno parte del comitato Tecnico-scientifico su HIV/AIDS presso il Ministero della Salute. Queste le associazioni che partecipano al progetto: LILA, in qualità di capofila, Anlaids, Arcigay, ASA, Caritas, Mario Mieli, CICA, CNCA, Fondazione Villa Maraini, NPS.
Obiettivo del progetto è, come dichiara il titolo, quello di ampliare le conoscenze su HIV e U=U degli esperti ed esperte in comunicazione, con particolare riferimento a giornaliste e giornalisti tecnico-scientifici, per promuovere un'informazione corretta, fondata sull’evidenza scientifica corrente e libera dallo stigma. Gli incontri previsti con i giornalisti sono cinque e oltre, alla Lombardia, comprendono: Puglia, Veneto, Sicilia e Lazio Accompagnano questo percorso due studi, uno qualitativo e l’altro quantitativo, condotti dalle due Università capofila su linguaggio e temi utilizzati, in particolare sui social media, per quanto attiene l’HIV/AIDS.
Nutrito e ricco il programma del corso che si è tenuto a Milano, moderato dalla Presidente Nazionale della LILA, Giusi Giupponi.
Il Presidente di ASA, Massimo Cernuschi, attivista e medico infettivologo, tra i responsabili del Check Point Milano, ha riepilogato le principali caratteristiche del virus, ricordato come si trasmette l’HIV ma anche come non si trasmette, e illustrato le enormi trasformazioni indotte dalle attuali terapie antiretrovirali. La sua relazione ha passato in rassegna gli studi che, ormai da oltre un decennio, supportano l’evidenza scientifica U=U, ossia Undetectable equals Untrasmittable: dallo studio HPTN 052 del 2011, a Opposite Attract del 2017 fino ai grandi studi Partner 1 e 2; si parla di decine e decine di migliaia di casi (quasi duecentomila) monitorati per lunghi anni che hanno certificato come le persone in terapia antiretrovirale efficace non trasmettano il virus. Cernuschi ha illustrato anche le caratteristiche e i vantaggi della PrEP, la Profilassi Pre-Esposizione. Particolare attenzione è stata data alla dinamica delle infezioni che interessa Milano nell’ultimo biennio: da sempre maglia nera per incidenza del virus in Italia, la città ha visto un crollo netto delle nuove diagnosi. Secondo Cernuschi si sta verificando quello che è già accaduto in altre grandi città come San Francisco, Londra, Berlino, Parigi dove l’azione combinata di U=U e PrEP, unita alla diffusione di luoghi non formali dedicati alla salute sessuale delle persone, sta rendendo sempre più vicino l’obiettivo ONU infezioni zero. A Milano si concentra, non a caso, la metà delle persone che assume la PrEP in Italia.
Affidata ancora ad ASA, e in particolare alla dottoressa Giorgia Fracca, psicologa e psicoanalista, una relazione sul ricorso problematico al chemsex, fenomeno in crescita e foriero di rischi per la prevenzione di HIV, IST ma, soprattutto, per la salute psicologica delle persone. Fracca ha fatto notare la mancanza di dati e studi italiani. Tra le poche indagini esistenti c’è quella condotta dalla Dottoressa Alessandra Bianchi di ASA proprio tra gli utenti del checkpoint.
Ne emerge che il 30% ha fatto uso, almeno una volta, di MDPV, sostanza che provoca down dagli effetti particolarmente pesanti. Nel complesso, la pratica del Chemsex comporta un effetto marginale, per quanto non trascurabile, sulla diffusione delle IST (Infezioni a Trasmissione Sessuale), più pesanti, invece, le conseguenze sul benessere psicologico. “Le persone che ne pagano le conseguenze – ha spiegato Fracca - sono «emarginati particolari»: istruiti, informati professionalizzati ma impreparati alla gravità di questa dipendenza”. Riscontrata una maggiore vulnerabilità delle persone MSM nell’uso di sostanze, fattore legato all’ansia e allo stress prodotti dallo stigma sociale.
A Nicoletta Frattini di ASA è stata affidata la presentazione di: “U=U, impossibile sbagliare” campagna sostenuta da SIMIT e promossa da dieci associazioni attive nella risposta all’HIV, per la prima volta unite in una comune iniziativa d’informazione. “Benché questa evidenza scientifica abbia ormai diversi anni, nessuno ne è a conoscenza. I giornalisti – ha detto Frattini - possono trattarla come fosse uno scoop”. La forza di questo messaggio può convincere tante persone a testarsi e a curarsi, può combattere lo stigma, può aiutare a ribaltare la narrazione dell’HIV “rimasta ferma- ha spiegato Frattini- all’alone viola dei primi anni ‘90”. Per i contenuti della campagna rimandiamo a quanto pubblicato qui.
Dello stigma, delle sue dinamiche, delle sue implicazioni si è occupata Ilaria Gaspari, filosofa, saggista e scrittrice, nella relazione: “Stigma e Metafora, come liberarsi delle superstizioni lessicali”. “Lo stigma è il marchio, la macchia che sporca una superficie pulita – ha spiegato Gaspari - individuarla è propedeutico all’espulsione di persone accomunate da certe caratteristiche, riconducibili da aspetti che non si vogliono accettare; l’aspetto stigmatizzante dell’HIV è legato al sesso e all’omosessualità”. Gaspari ha poi ricordato come di AIDS si fosse occupata tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 la grande intellettuale, e saggista americana Susan Sontag, tra le figure che più hanno indagato il binomio malattia - metafora ossia l’immaginario che la collettività tende a creare rispetto a patologie epocali come la peste, il cancro, l’AIDS sovrastandone l’oggettività scientifica e rendendole “metafore” di altro: “Una dinamica - ha spiegato ancora Gaspari - che si collega al tabù occidentale della morte, divenuto ancora più forte a partire dal primo ‘900 e che tende a trasformare la malattia in una stigma”.
Lo stigma, nella vita reale, si trasforma in discriminazioni inaccettabili, e di questo aspetto si sono occupate Giusi Giupponi e Nicoletta Frattini presentando una casistica di violazioni subite personalmente o da persone con HIV che si sono rivolte alle associazioni d’appartenenza. “Il mondo del lavoro e quello sanitario sono i settori nei quali si verificano, tuttora, i casi più eclatanti di discriminazione” ha spiegato Giupponi. “Al di fuori dell’isola felice dell’infettivologia – ha aggiunto Frattini - per una persona con HIV la sanità è spesso un inferno”.
Giupponi, nel ricordare le tutele previste dall’articolo 6 della legge 135/90, ha illustrato numerosi casi di richieste di test per HIV in fase di pre-assunzione o in occasione delle visite mediche in ambito lavorativo. In un caso, di cui si sta occupando la LILA, c’è stata addirittura la falsificazione della firma di una lavoratrice che aveva negato il consenso al test.
Le ultime tre relazioni si sono occupate più strettamente di linguaggio e narrazioni utilizzati dai media per parlare o raccontare di HIV o di fatti che abbiano a che fare con l’HIV e di come possano contribuire a riproporre un immaginario stigmatizzante.
Vincenzo Branà, giornalista, responsabile dell’Ufficio Stampa Nazionale di Arcigay, ha parlato di “Parole e narrazioni tossiche in tema di HIV”. Diversi i livelli analizzati dal giornalista. Quello linguistico include scelte lessicali scorrette che veicolano informazioni, anche scientificamente sbagliate, che rafforzano stigma e pregiudizi: dalla confusione terminologica tra HIV e AIDS, all’uso del termine malattia o dell’espressione “categorie a rischio” fino alla scelta di termini come “untore”. Altro livello è quello dominato da “narrazioni tossiche” ossia quelle che “manipolano, falsificano, deformano la realtà – ha spiegato Branà - l’obiettivo è, a volte, il sensazionalismo o l’efficacia del racconto, altre volte la semplificazione, altre volte ancora l’adesione di chi racconta a una regola morale o a un pregiudizio. Infine, a volte questi fattori agiscono tutti assieme. In queste narrazioni, ad esempio, l’HIV può diventare una punizione che corrisponde sempre a una colpa”. Il relatore ha dunque analizzato alcuni casi trattati dalla stampa che hanno avuto come protagoniste, o presunte tali, persone con HIV.
Branà ha infine tracciato un’ipotesi di lavoro per i media: “Raccontare tante storie è meglio che raccontarne una sola”, rifuggire dalla tentazione dei casi “esemplari” per parlare più e meglio della vita delle persone che affrontano l’HIV.
Le ultime due relazioni sono l’esito di due analisi, una qualitativa e una quantitativa condotte dalle Università capofila. Gli studi analizzano la produzione di contenuti relativi all'HIV da parte delle fonti di informazione italiane sui social media, in particolare su Facebook e Instagram, esaminandone l'evoluzione nel tempo e nei tipi di contenuto. Analizzata anche la dimensione della disinformazione presente in tali contesti. Fabiana Zollo e Arnaldo Santoro, ricercatori dell’Università di Venezia Ca’ Foscari hanno analizzato i contenuti pubblicati su pagine informative Italiane dei due social media ricercandoli attraverso alcune parole-chiave e utilizzando NewsGuard, uno strumento che valuta la credibilità di notizie e fonti d’informazione. Su Facebook il periodo d’informazione va dal 2099 all’aprile 2023, per Instagram dal 2012 all’aprile 2023.
Per Facebook, su un totale di quasi 5 milioni di interazioni, la percentuale di fonti inaffidabili è risultata del 3% circa. Migliore la situazione per Instagram dove, su oltre tre milioni di interazioni, la percentuale di fonti inaffidabili scende allo 0,4%. Sorprendentemente, ma non troppo, la frequenza dei contenuti inaffidabili risulta aumentare negli anni.
L’analisi dei temi mostra come sui siti inaffidabili di Facebook il gruppo di persone più accostati all’HIV sia quello dei migranti, seguono temi complottisti, anti-big pharma o anti-scientifici, spesso propagati da fonti non vax o pro-vita, contrarie all’educazione sessuale e all’uso del profilattico.
Sulle fonti Facebook affidabili i temi più trattati sono le giornate mondiale contro l’AIDS, a riprova di come il tema susciti attenzione ormai quasi esclusivamente in occasione del primo dicembre. Molto meno "coperte" sono, difatti, le notizie sulle settimane europee del test, solo al quinto posto, nonostante l’alto valore di queste iniziative per la salute pubblica. Temi più trattati dopo le WAD sono le vicende di cronaca legate alla trasmissione volontaria dell’HIV e le storie di personaggi pubblici con HIV, spesso trattate con sensazionalismo. Segue un gruppo di temi legati all’informazione scientifica: Vaccini MRNa, guarigioni, trapianti e staminali, aspetti, comunque, che poco hanno inciso e incidono nel miglioramento della qualità della vita delle persone con HIV e della prevenzione. Resiste al settimo posto il tema “bambini con HIV a scuola”. Il tema fu molto trattato (male) nei primi anni dell’arrivo dell’HIV/AIDS i Italia e fu al centro di eclatanti episodi di discriminazione ma la popolarità di questo argomento appare davvero ormai poco comprensibile, visto il numero irrisorio di bambin* con HIV presenti in Italia, peraltro certamente U=U. Il quadro che emerge da un esame delle fonti affidabili su Fb sembra dunque confermare alcune “storture” dell’informazione mainstream (giornali e TV). Non è un caso che il termine untore sia utilizzato più di frequente dalle fonti affidabili che non da quelle inaffidabili.
Il panorama cambia un po’ per Instagram, “Social sui cui agisce positivamente – ha spiegato Fabiana Zollo - una più forte presenza di attivisti e associazioni”. Il quadro dei temi trattati è simile a quello di Facebook ma il linguaggio è complessivamente meno stigmatizzante e più appropriato. I contenuti non affidabili sono pochi, sparsi e recenti. Tra i primi dieci temi inoltre compaiono i diritti LGBTQI* e la PrEP, le nuove cure assenti tra i primi dieci topic su FB.
L’analisi qualititava “Come si parla di U = U sui media?” è stata invece condotta dal gruppo di ricercatori (Virginia Casigliani, Antonello Agostini, Alice Chinelli, coordinato dalla Professoressa Lara Tavoschi, del Dipartimento di ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in medicina e chirurgia, dell’Università di Pisa. Lo studio ha analizzato gli articoli contenuti nei post estratti da Facebook e Instagram nella ricerca dell’Università Ca’ Foscari che si riferivano a U = U. Il periodo dello studio va dal dicembre 2012 a luglio 2023. In tutto sono stati analizzati 68 articoli di cui solo tre da Instagram.
Sulla base di una checklist riadattata dalla guida della LILA rivolta ai media “Informare sull’HIV/AIDS” (disponibilie qui) stati analizzati i seguenti elementi: uso di terminologia appropriata, linguaggio discriminatorio, linguaggio e stile utilizzato nelle interviste. Si è inoltre valutato se nella stesura degli articoli fossero stati coinvolti o meno associazioni che si occupano di HIV/AI DS e se il concetto U=U sia stato spiegato in maniera esaustiva ed esauriente. Molto interessante l’esito.
Uso di una terminologia appropriata
I termini HIV e AIDS non sono stati usati come sinonimi solo nel 21% dei casi, nel 40% queste condizioni cliniche non sono state definite “malattie”; nel 78% però le due condizioni non state spiegate in maniera chiara.
Linguaggio discriminatorio
Il termine sieropositivə viene usato nel 44% degli articoli, solo una volta viene usato il termine categoria a rischio, in 3 articoli su 68 articoli viene associata l’infezione da HIV all’ omosessualità (paragone tra coming out)
Valutazione linguaggio interviste
In una su tre sono state riscontrate sia domande morbose che l’utilizzo del «tu» in due casi su tre viene trattato il sesso con persone con HIV in maniera stigmatizzante («mai abbassare la guardia»)
Coinvolgimento associazioni
Sono state coinvolte nel 47% dei casi
Il prossimo incontro si terrà a marzo, in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti della Puglia.