Cosa dice l'UNAIDS


Immagine news unaids report 2012E' stato presentato il 20 novembre a Ginevra il nuovo Report globale su Hiv e Aids dell'Unaids. Un Report innovativo, che non si limita ai soli dati epidemiologici e guarda alla diffusione del virus e alla sua prevenzione con un approccio qualitativo, e non solo quantitativo. Oltre alla consultazione dei puri dati epidemiologici, il Report consente analisi di leggi, approcci preventivi e terapeutici, investimenti di risorse, fattori diversi che incidono sull'andamento dell'epidemia. Ci sono notizie buone, e altre preoccupanti.

Per fare ciò, Unaids utilizza i dati provenienti dai singoli Paesi, tenuti periodicamente all'invio di un rapporto sullo stato dell'epidemia e sulle azioni per contrastarla (Country progress Reports). I dati riportati non si limitano quindi ai soli numeri della diffusione dell'Hiv, ma permettono valutazioni relative alle popolazioni chiave, ai comportamenti, alla protezione sociale. Sono purtroppo dati ancora ampiamente incompleti, dato che non tutti i Paesi forniscono valutazioni su aspetti specifici del proprio territorio, compresi alcuni dell'Europa occidentale e in particolare l'Italia.

Sul fronte internazionale, i dati globali sono molto incoraggianti, grazie all'intervento della comunità internazionale, a partire dal Fondo Globale, e alla crescita degli investimenti da parte delle singole nazioni. Molto gravi sono invece quelli provenienti da Est Europa e Asia centrale. Dove in cinque anni c'è stato un aumento del 21 per cento delle morti Aids correlate, mentre solo un quarto delle persone che ne avrebbero bisogno ha accesso alle terapie (in Africa la percentuale va dal 50 all'80 per cento). In un'area in cui vivono con l'Hiv un milione mezzo di persone circa e si registrano 140mila nuove infezioni l'anno.

Nell'Europa dell'Est si conferma un trend che dura ormai da anni, della diffusione dell'Hiv, oltre che per via sessuale, tra le persone che usano droghe per via iniettiva: di queste, è oggi sieropositivo il 20 per cento in Ukraina, e più del 50 per cento in Estonia. Migliaia di nuove infezioni che potrebbero essere evitate con semplici misure di profilassi, e l'Unaids cita un lungo elenco di paesi, dall'Albania alla Polonia, passando per Romania e Lituania, che non hanno sufficienti programmi di riduzione del danno, a partire dalla disponibilità di siringhe sterili.

Misure semplici, che meriterebbero maggiore sostegno dalla comunità internazionale, in aree dove la criminalizzazione dei comportamenti e lo stigma rendono difficile il contenimento dell'epidemia. "Dove ci sono leggi repressive, le persone si nascondono e perdono accesso e diritto all'assistenza sanitaria e alla prevenzione", ha detto il direttore Michel Sidibé alla presentazione del Report Unaids. Migliaia di persone stanno morendo, qui vicino, nel silenzio dell'Europa, Italia compresa.

Da diversi anni l'Onu richiede alle singole nazioni di inviare periodicamente un Country Report. L'Italia ha risposto a tale richiesta per la prima volta nel 2011, in maniera sommaria. Il Report seguente (del 2012, si legge qui - parte A istituzionale e parte B compilata dalle associazioni, coordinate dalla LILA - e qui) appare più articolato, ma sempre alquanto carente. Ciò che invece emerge è la completa assenza di azioni preventive mirate su gruppi chiave della popolazione.

In Italia non è stato finora possibile avere dei dati reali, ma solo stime: il sistema di sorveglianza, istituito nel 2008, dovrebbe finalmente quest'anno essere a regime. Già è noto però, grazie a ricerche europee, che la prevalenza dell'Hiv fra gli uomini che fanno sesso con altri uomini in Italia supera mediamente il 10 per cento. Un dato che in altri Paesi ha portato a considerare tale popolazione chiave target per analisi e azioni mirate, completamente assenti in Italia.

Per quanto riguarda Europa Occidentale e Centrale, nel Report dell'Unaids si riportano in totale 30mila nuove infezioni ogni anno: erano 29mila nel 2001. Il calo del numero globale delle infezioni è dovuto principalmente ai risultati raggiunti in Africa. In diverse aree del mondo ancora resta molto da fare.

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