Nelle "Consolidated guidelines on HIV prevention, diagnosis, treatment and care for key populations", l'OMS ribadisce quali siano le popolazioni vulnerabili all'infezione da Hiv: uomini che fanno sesso con uomini, persone detenute, persone che usano droghe per via iniettiva, persone che si prostituiscono, persone transgender. Persone che hanno specifici comportamenti a rischio, la cui vulnerabilità è spesso dovuta a problemi legali o sociali. Per ridurre questa vulnerabilità l'OMS, per la prima volta, ha compreso anche il ricorso alla PrEP.
Ciò che ha fatto scalpore, anche e soprattutto in Italia è l'invito dell'OMS a considerare l'assunzione di una terapia preventiva per una di queste popolazioni: gli uomini che fanno sesso con uomini. Questo non significa certo che la popolazione MSM sia esclusiva, o principale, responsabile della diffusione dell'Hiv, ma solo che l'assunzione della PrEP può qui avere un'efficacia non riscontrabile in altre popolazioni nella stessa misura.
L'indicazione dell'Oms non è però così sorprendente: nasce infatti da una pubblicazione del 2012 della stessa OMS, Guidance on oral pre-exposure prophylaxis (PrEP) for serodiscordant couples, men and transgender women who have sex with men at high risk of HIV - Raccomandazioni per l'uso della profilassi pre-esposizione PrEP in coppie sierodiscordanti e uomini e donne transgender che fanno sesso con uomini, ad alto rischio di infezione da Hiv.
L'OMS non è certo la sola ad aver compreso l'importanza della PrEP. Ma in questa ultime linee guida vi sono anche dei punti critici.
Per esempio, non è immediatamente comprensibile quali siano i motivi che portino l'OMS ad affermare da un lato che la popolazione MSM e transgender ha oggettive difficoltà ad avere anche solo accesso all'assistenza sanitaria più semplice, in diverse parti del mondo e grazie a leggi criminogene, e nello stesso tempo a consigliare per tale popolazione una protezione che comprende l'assunzione di farmaci certo non immediatamente disponibili. Qui una spiegazione la si può trovare nel considerare la proposta non tanto un invito ai singoli maschi che fanno sesso con maschi, quanto un indirizzo politico, rafforzato infatti dalla richiesta di riduzione delle politiche discriminanti nei confronti di questa e delle altre tali popolazioni vulnerabili come politica chiave per la riduzione delle nuove infezioni, oltre che di considerare la PrEP una valida opzione.
La PrEP non è più un'assoluta novità, ed è già compresa nelle pubblicazioni di diverse sigle, in diversi continenti.
Negli Stati Uniti nel 2012, sulla base di dati provenienti da studi clinici (vedi lo studio iPrEx del 2010 che già allora la Lila ebbe modo di commentare), la Food and Drug Administration ha espresso la sua approvazione all'uso della prima combinazione di farmaci antiretrovirali (Truvada) per la profilassi pre-esposizione da Hiv. E lo scorso maggio il CDC ha rilasciato le proprie linee guida che indicano anche quali siano i potenziali candidati alla prescrizione della PrEP negli USA (*).
Il CDC, a differenza dell'OMS, tenta di individuare comportamenti più a rischio di altri, per i quali perciò la PrEP potrebbe essere efficace, scivolando però su alcune questioni e rischiando di generare ulteriore confusione su ciò che rispetto alla trasmissione dell'Hiv sia a rischio o meno. Sono infatti indicazioni eccessivamente ampie, mentre sarebbe preferibile una maggior focalizzazione sulle persone che riferiscono comportamenti ad alto rischio, ovvero sulle persone per le quali effettivamente la PrEP può essere un'opzione valida. Sarebbe cioè preferibile che nel dare indicazioni sull'opportunità di assumere la PrEP si tenesse conto anche, per esempio, dell'esistenza da anni di strategie di riduzione del rischio che già prescindono dall'uso costante del preservativo (i rapporti penetrativi senza eiaculazione interna non sono considerati ad alto rischio), e del ruolo che la terapia ha nel ridurre, nelle persone con Hiv, la carica virale, e quindi il rischio di trasmettere l'infezione in una coppia sierodiscordante.
In generale poi preoccupa anche la dicotomia di guide pratiche che se prima affermano che la PrEP riduce il rischio relativo, nello stesso tempo raccomandano il suo uso in aggiunta ai preservativi. Un paradosso che dalle persone con comportamenti a basso rischio di Hiv, ma particolarmente ansiose di rimanerne infettate, può venire interpretata come una scarsa efficacia del preservativo.
In Europa il Truvada, anche se non è stato ancora presentato all'EMA per una indicazione specifica alla PrEP, può essere prescritto se un medico ritiene che ciò sia opportuno. Qui il dibattito, talvolta con toni francamente populisti, pare più circoscritto a "chi deve pagare" la profilassi.
Per la Lila la PrEP è sicuramente un'opzione in più per le persone che pur essendo informate continuano ad esporsi a comportamenti ad alto rischio di infezione. Persone per le quali il preservativo e altre strategie di riduzione del rischio non si sono dimostrati efficaci. Se vogliamo "arrivare a Zero", come dice UNAIDS, dobbiamo occuparci anche di loro.
In prevenzione non esistono ricette magiche: da sempre esistono strategie, che comprendono strumenti differenti, dal semplice ed efficace preservativo alla TasP, alle politiche di Riduzione del Danno, e nessuna di queste esclude l'altra. Prevenzione significa cura e sostegno alle persone che vivono con l'Hiv, fine delle discriminazioni per loro e per le persone più vulnerabili.
Accesso alle terapie, riduzione della carica virale, diagnosi precoce, strategie diffuse e diversificate e servizi accessibili, con preservativi e siringhe sterili, e ora anche la PrEP: l'invito dell'Organizzazione mondiale della Sanità va letto come un invito ad attuare politiche di promozione della salute nelle popolazioni vulnerabili che innanzitutto le rendano meno vulnerabili.
Forse sarebbe ora di iniziare a metterle in pratica anche in Italia.
(*) Uomini gay o bisessuali e uomini e donne eterosessuali che dichiarino di aver fatto sesso penetrativo senza preservativo nei sei mesi precedenti; qualsiasi persona che abbia avuto una infezione sessualmente trasmessa nei 6 mesi precedenti; chi ha come partner una persona sieropositiva; qualsiasi persona con test Hiv negativo che all'interno di una relazione non monogama sia a rischio di infezione; chi consuma droghe per via iniettiva e negli ultimi 6 mesi abbia condiviso aghi o materiale per la preparazione non sterili; persone che hanno un elevato numero di partner sessuali o una storia di uso del preservativo incostante, persone che che lavorano con il sesso.
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