Il mondo dell'Hiv in "La vita non vissuta", l'ultimo romanzo di Gardini.

La vita non vissuta - Nicola GardiniTormentato, complesso e introspettivo eppure, forse, necessario l'ultimo romanzo di Nicola Gardini. "La vita non vissuta", questo il titolo, è un libro che racconta l'universo degli invisibili. Quell'universo sconosciuto e taciuto nella vita di tutti i giorni, almeno fino a quando un romanzo dalla copertina rossa e un guscio d'uovo disegnato, edito da Feltrinelli, non trascina il lettore pagina dopo pagina a sfiorare storie di vita che s'intrecciano, si uniscono e si infettano d'amore, di passione e di malattie sessualmente trasmesse.

 

 

C'è Valerio, il protagonista, stimato professore di latino, e il suo contesto familiare solo timidamente accennato. Poi ci sono gli amici che in misura diversa si relazionano con lui e con un virus, lo stesso di quella vecchia e contestata pubblicità progresso degli anni '90 che rendeva tutti ugualmente viola, togliendo il fiato a chi lo guardava e trattenendo le storie di chi quell'alone lo subiva. Tra le pagine, quindi, i racconti diaristici del protagonista e dei suoi primi incontri con le persone sieropositive durante quegli anni '80 che, rendendo superflua ogni distinzione tra hiv e Aids, mietevano vittime come fossero nei campi di battaglia.

In questo suo racconto il quadro sembra univoco un po' come quando tecnicamente si usava il termine "categorie" per indicare il gruppo a rischio di infezione poi come in ambito medico spariscono le categorie, allo stesso modo nel romanzo si inizia a mettere a fuoco sulle storie, sulle persone.

A un certo punto, come si avesse in mano una vecchia reflex, i piani si stringono. Ora Valerio non è più solo narratore di storie altrui, perché proprio quando incontra l'amore in grado di dargli quella vita non vissuta che si porta dietro dal liceo, arriva l'"irreparabile". A tirarlo al centro della scena, fermando quel tempo che inizia a essere contato come un orologio, una chiamata. Dall'altro lato della cornetta il suo compagno, lo stesso per cui ha lasciato moglie e figlia. Lo stesso che scrive i tratti di una relazione che lo travolge d'amore e gli infetta il sangue di quella che lui stesso in questo racconto intenso ma a tratti cupo descrive come "la malattia delle malattie". Quella del senso di colpa e delle bugie da nascondere. La stessa del cocktail di farmaci dagli effetti collaterali devastanti, prima tra tutti la lipodistrofia che da una parte ti asciugava e dall'altra ti gonfiava, spiega Gardini per bocca di Valerio. Quella insomma del "sono sieropositivo" e del "se è vero che il virus l'ho preso anche io" non c'è un momento da perdere, si legge.

Giardini racconta questo mondo sconosciuto e lo fa con dovizie di particolari. Impegnato da anni come scrittore nella definizione della malattia, ancora una volta dimostra vicinanza al tema medico che decide di romanzare. Le pagine sono un susseguirsi anche concettuale tra virus e malattia. Metafora forse di quel paradosso che tormenta le persone che ne entrano in contatto digiune di informazioni. Virus da neutralizzare a vita nell'accezione medica e malattia che condanna a un destino infausto nella percezione della persona. Fino a quando non si scopre che quel virus per Valerio diventa anche quello che ridà senso alle cose.

Una somma di piccole cose canta qualcuno fa diventare, insomma, "La vita non vissuta" un manuale di rilettura del virus e di quello che genera dentro e fuori, nella persona e nella società. Un libro in cui si ritrovano tutti i pregiudizi e i luoghi comuni, probabilmente difficili da digerire a una prima lettura per chi sceglie di lottare contro l'Aids, ma che si capisce ben più tardi diventano parte della storia scritta da Gardini. Enfatizzati, dunque, per poi essere smontati pezzo dopo pezzo. E si ritrova poi quel mondo che anche noi come LILA viviamo ogni giorno, quello in cui che il virus ce l'abbia l'altro è consentito, ma l'io narrante no. Quello in cui quando te lo raccontano si infetta tutto intorno "le parole, l'aria, il pane", ma che si scopre poter essere un "destino" trasversale. Ed è così che nella sala d'attesa del reparto infettivi Valerio incontra donne, uomini, omosessuali, eterosessuali, trans, bianchi e neri, giovani e meno giovani. E ancora puttane e marchette, ex drogati, drogati e, accanto, alla pari, uomini d'affari. Ma, soprattutto, sorprendentemente incontra chi mai si sarebbe aspettato di ritrovare in quelle fredde sale d'aspetto. Nel gruppo emerge un uomo di cui Valerio racconta una storia diversa: HIV positivo ma diversamente dagli altri sfugge alle categorizzazioni perché "lui agli occhi della gente non era sieropositivo, ma uno che stava cercando di ottenere un risarcimento". Come a dire che tra gli sfortunati sembra il fortunato perché, almeno lui avendo contratto il virus dal dentista, non si macchia del senso di colpa e dello stigma con cui gli altri invece vanno a braccetto.

Nelle pagine la scoperta per chi di questo mondo è digiuno e la conferma per gli altri del ruolo degli infettivologi che diventano qualcosa di più dell'essere medico. Non mancano sorprese e colpi di scena nella vita di Valerio e dei suoi amici, come non mancano nella scrittura di Gardini che, verso la fine, si scioglie zampillando crude note di poesia.

Facendo attraversare un dolore angoscioso e un senso del futuro precario, la malattia nel corso del romanzo finisce con il trasformarsi in viaggio interiore che ridefinisce la storia, diventando invito alla riflessione, occasione per puntualizzazioni informative ricorrenti e spunto per affrontare temi ostici quali la sessualità, l'amore, i pregiudizi, l'omosessualità e lo stigma interiorizzato.

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