Arriva la quarta edizione della “ testing week, ” il più importante evento europeo dedicato alla prevenzione del virus Hiv e dell’epatite, promosso da “Hiv in Europe”. Titolo di quest’anno : “Test. Treat. Prevent”.
Dal 18 al 25 novembre 2016, quasi 500 organizzazioni di 53 paesi, e tra queste la Lila, Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids, si mobilitano per promuovere l’accesso al test tra quanti non siano consapevoli del proprio stato sierologico e che non si sono mai rivolti, e non si rivolgerebbero, alle strutture tradizionali . Per intercettare queste fasce di popolazione la Lila offrirà la possibilità di effettuare test rapidi in modalità anonima, in ambienti non convenzionali e ad accesso facilitato, sia pure in un rapporto di stretta sinergia e complementarietà con presidi e istituzioni pubbliche.
Nove le sedi Lila che saranno attive in tutto il territorio nazionale e che offriranno, assieme ai test rapidi, incontri di orientamento, supporto e counselling. (Qui tutte le date e i luoghi) A raccomandare un approccio diversificato alla promozione del test, sono ormai tutte le più importanti agenzie internazionali, a partire da Unaids, l’organismo Onu per la lotta al virus che sostiene con forza il ruolo delle organizzazioni di base. Questo tipo di intervento è definito dall’acronimo CBVCT, ossia Communuty-Based Voluntary Counselling and Testing e definisce, per l’appunto, qualsiasi programma o servizio che offra test e counselling per l’HIV su base volontaria, al di fuori delle strutture sanitarie Istituzionali, e che sia stato concepito per raggiungere gruppi specifici di popolazione più esposti a rischi di infezione. Tali servizi presuppongono la partecipazione attiva di associazioni e comunità e il coinvolgimento di loro rappresentanti nella pianificazione e nell’implementazione di questo intervento.
La società civile e le community sono, infatti, in grado di offrire modalità di accoglienza e di relazione d’aiuto più vicine alle persone che, per vari motivi, trovano difficoltoso accedere alle strutture sanitarie tradizionalmente deputate: orari di apertura, costo dei servizi, richiesta di documenti d’identità. Le associazioni possono al contrario, garantire anonimato, sostegno non giudicante tramite counsellor volontari o operatori pari, possono recarsi nei luoghi dei gruppi più vulnerabili, proporre il test anche in orari serali, notturni, nei fine settimana.
L’intervento prevede un approccio freandly ma procedure e strumenti standardizzati, con la presenza di personale formato. Si tratta, infatti, di un’azione di capillare promozione del test con importanti effetti positivi sul fronte della prevenzione.
Ma in cosa consistono questi effetti positivi e perché è così importante oggi promuovere l’accesso al test?
Perché conoscere il proprio stato sierologico e accedere tempestivamente a cure e protocolli clinici è fondamentale per preservare la salute delle persone che abbiano contratto le infezioni da Hiv e Hcv e, di conseguenza, per contenerne la diffusione. E’ bene ribadire infatti, che l’azzeramento della carica virale dovuto alle terapie antiretrovirali inibisce la trasmissione delle infezioni. E’ così dunque che il trattamento diventa anche uno strumento di prevenzione come definito dalla sigla TasP (Treatment as Prevention). Il numero di diagnosi tardive, ossia di infezioni diagnosticate quando sono già in uno stadio molto avanzato, resta invece ancora troppo alto rendendo meno efficaci le, pur avanzate, opportunità terapeutiche e cliniche oggi disponibili.
Tra i due milioni e mezzo di persone con HIV stimate in Europa, almeno una su tre –afferma HIV in Europe- non è a conoscenza del proprio stato sierologico e metà delle diagnosi sono effettuate in ritardo (late presenters), il che ritarda anche l’accesso alle cure. In Italia le stime ufficiali indicherebbero una percentuale minore di persone inconsapevoli di aver contratto l’HIV, tra il 10 e il 15%, ma non sono pochi i dubbi sull’attendibilità di tale dato.
Una diagnosi precoce può consentire ad una persona con Hiv di vivere a lungo e in salute, al contrario le diagnosi ritardate espongono a gravi rischi l’organismo e possono, in parte, pregiudicare l’efficacia delle cure e delle strategie di prevenzione.
Le epatiti B e C sono comuni tra le persone con Hiv. In particolare nell’area europea (così come definita dall’Oms) vivono almeno 13,3 milioni di persone con epatite B che, se non curate, rischiano di sviluppare insufficienza epatica, carcinoma epatocellulare, cirrosi. Le persone con epatite C sono stimate in 15 milioni ma la maggior parte dei casi resta non diagnosticata e solo una piccola minoranza delle persone affette – il 3,5%, riceve un trattamento. “Queste statistiche -affermano le organizzazioni promotrici – dimostrano che si deve fare molto di più per incoraggiare al test le persone che non sono consapevoli di vivere con l’Hiv o con le epatiti e per mirare al meglio l’intervento alle fasce di popolazioni più esposte al rischio”.
Le fasce di popolazione cui maggiormente mirare gli interventi di promozione del test (Key population) variano da paese a paese, ma, in generale, i target indicati quali prioritari per il test dell’Hiv sono i seguenti:
• Uomini che fanno sesso con altri uomini
• Persone che si iniettano droghe
• Sex workers
• Migranti (incluse le persone che provengono da paesi con alta prevalenza delle infezioni) e popolazioni in movimento.
• Detenuti
• Transgender
Le Key population indicate per i test delle epatiti sono le stesse di quelle indicate per l’Hiv con, in aggiunta:
• Persone da lungo tempo in emodialisi
• Persone che abbiano ricevuto trasfusioni di sangue, emoderivati, trapianti di organi prima che fossero implementati gli screening per l’epatite C o che vivano in paesi in cui lo screening non è diffuso.
Queste sono le indicazioni delle agenzie internazionali che individuano queste popolazioni tra le più esposte al rischio di contrarre l’Hiv.
Inoltre le azioni di promozione del test consentono anche di avvicinare donne e uomini eterossessuali, che scarsamente ricorrono al test, e che invece in Italia rappresentano una parte importante delle diagnosi tardive.
Massimo Oldrini
Laura Supino