DIRTY 30 – LILA Cagliari presenta la versione italiana della docu-serie americana su Hiv/Aids

Dirty 30Una serie di coincidenze durante il 2016 ci ha portato a produrre e presentare, come LILA Cagliari, la versione italiana di Dirty-30. Una serie di documentari dedicati all’Hiv e Aids girata e prodotta nel 2014/2015 che, partecipando al Sundance Film Festival, ha riscosso negli Stati Uniti un notevole successo di critica ed è stata presentata in diversi altri festival Europei. Ma non era mai stata proiettata prima in Italia.

 

DIRTY 30 – Thirty Years Later, questo è il titolo completo, è opera di una giovane regista americana che si chiama Hannelore Williams. Si tratta di una produzione indipendente composta da 10 cortometraggi/documentari, di circa 20 minuti l’uno, che rappresentano un interessante viaggio, uno spaccato dallo sguardo contemporaneo, sulla vita delle persone viventi con Hiv negli Stati Uniti, in Europa e in Africa. Trent’anni dopo l’inizio della diffusione del virus. Dopo aver scoperto casualmente l’esistenza di questa serie (visibile in originale sul canale youtube) abbiamo deciso di creare una versione in italiano tradotta e curata da LILA Cagliari. Perché durante questo anno 2017 saranno 30 anche gli anni di esistenza della LILA. E sono stati “30 Dirty Years” anche per tutti noi quindi abbiamo pensato che fosse un modo per celebrare degnamente un trentennale importante.

Abbiamo contattato la regista che è stata entusiasta di autorizzare la nostra iniziativa e ha realizzato in esclusiva per LILA anche un piccolo video messaggio di saluto e ringraziamento che abbiamo inserito nella produzione. Dopo aver interamente tradotto e sottotitolato in italiano tutta la serie in versione integrale, durante un lavoro di diversi mesi a cui ho partecipato personalmente insieme a Emanuele Sechi e Valentina Mascia del Centro studi di LILA Cagliari, abbiamo realizzato anche una versione ridotta, con un nuovo montaggio video di 100 minuti complessivi. Suddivisi in due parti di durata più cinematografica.

E siamo davvero felici di averlo fatto perché, quale ulteriore coincidenza, ci è giunto a inizio dicembre l’invito a selezionare e presentare un film che parlasse di Hiv, nell’ambito delle iniziative che si sarebbero svolte a Cagliari per il World Aids Day 2016. Invito rivoltoci da Giovanni Coda, direttore artistico e fondatore del Festival di Cinema Indipendente V-Art, oltre che regista con all’attivo alcuni film di successo internazionale (come il recente “Bullied to Death”). Il festival V-Art è una storica manifestazione cittadina, giunta quest’anno alla sua 23sima edizione, da sempre molto attenta alle tematiche LGBT o di difesa dei diritti che rappresenta anche un importante momento di confronto e visibilità per molte produzioni di cinematografia underground e indipendente, sia italiana che internazionale. In particolare per quanto riguarda i cortometraggi. Nell’arco delle diverse edizioni hanno partecipato al V-Art centinaia di opere di registi e autori, italiani e stranieri, anche di fama internazionale.

Abbiamo quindi accettato ben volentieri l’invito essendo consci del fatto che selezionare materiale cinematografico che si occupi delle nostre tematiche, non è mai stata una cosa semplice. Aids e Hiv hanno da sempre rappresentato un grande scoglio da affrontare anche per autori e registi con le migliori intenzioni. Secondo il mio personale parere infatti la maggior parte delle opera di fantasia, che il cinema ha prodotto dalla fine degli anni ’80 in poi, raramente sono state in grado di descrivere quello che significano, nella realtà, Hiv e Aids. Inoltre molta della produzione audiovisiva che viene distribuita nei nostri cinema o attraverso i media televisivi ha radici negli Stati Uniti e di conseguenza sconta quel bagaglio di immaginario culturale, emozionale e sociale, che da sempre circondano il virus e le PWA (People with Aids) negli USA. Immaginario che poi, nel bene ma soprattutto nel male, costituisce fonte di emulazione anche per il resto dei paesi occidentali e nel mondo. Lo stigma e il pregiudizio, contro cui noi tutti in LILA da sempre lottiamo, penso abbiano radici comuni nello stesso immaginario che è sovente alimentato dalla cattiva rappresentazione della realtà propria di molta comunicazione mediatica superficiale dai toni scandalistici “all’americana”. Ben pochi autori quindi, diciamolo, si sono finora salvati da quest’american “way of life” che parlando cinematograficamente di Hiv/Aids sembra essere ancora oggi legata ad una sorta di sindrome di “Philadelphia”. Troppi film, nell’affrontare e rappresentare le vite delle persone con hiv, agiscono mettendo in scena meccanismi di sceneggiatura forzatamente drammatici o pietistici. E quando questo non avviene, Hiv e Aids vengono affrontati in modo opposto, forzatamente leggero, con una narrazione stile “Rent” , magari con profluvio di piume e lustrini, se i protagonisti sono gay, senza mai rinunciare a sensi di colpa e chiaroscuri a tinte melò propri di molta della superficiale produzione televisiva “mainstream” che ci circonda.

Per questi motivi, avendo pronta questa edizione italiana di Dirty30, siamo stati doppiamente felici di presentarla al V-Art. Perché la serie Dirty30 non è, secondo noi, solo una semplice opera di cinema o fiction ma rappresenta un bellissimo e lungo viaggio di vita, testimonianza e documentazione nel mondo dell’Hiv, un viaggio che si snoda in posti diversi nel mondo, che incontra, parla e ascolta decine di persone attraverso dieci approfondite e diverse tappe. Dieci documentari che si discostano felicemente da qualsiasi narrazione cinematografica abbia tentato di parlare di Hiv/Aids e ci sia capitato di vedere finora.

La maggior parte delle persone che Dirty30 incontra e ci permette di conoscere, sono americane e sono anche di colore, come la regista. Ma questo non significa che, trattandosi di una produzione “black-oriencted”, le cose che mostra siano distanti da noi. Anzi. Quando ho vista per intero tutta la serie che, pur durando circa 4 ore, ha un ritmo narrativo molto veloce e moderno che la rende molto meno pesante di quanto ci si aspetti, ho pensato: finalmente! Perché questa giovanissima regista americana, senza nessuna major e nemmeno una piccola casa di produzione alle spalle, girando a proprie spese 3 continenti e intervistando decine di persone era stata in grado di regalarci quella moderna e asciutta testimonianza, che in tanti aspettavamo. Perché Dirty30 è testimonianza veritiera e sincera, sofferta e mai banale, non banalizzante o peggio ancora pietistica, di cosa abbia significato e significhi oggi vivere con l’Hiv. Ma anche di cosa significhi aver lottato e lottare contro l’Aids, l’ignoranza e lo stigma che ancora lo circondano nella società. Una cosa di cui tutti sentivamo il bisogno.

E Dirty30 ci coinvolge e anche ci affascina. Perché Hannelore Williams è in grado di fornirci, partendo dal proprio vissuto di persona non Hiv positiva, la migliore rappresentazione contemporanea del vissuto e della realtà dell’Aids e delle persone viventi con hiv. Attraverso un girato temporalmente molto veloce e dinamico, ma anche riflessivo, alternando materiali di repertorio a interviste dal vivo, con dialoghi e ritmo narrativo, ottimi e una bella fotografia a colori dai toni naturali, che ricordano le migliori produzioni e documentari alla “Viceland”. La bravissima Hannelore Williams, filmando con una sola telecamera, a mano o su un treppiedi, agisce sempre in piena libertà in questo suo documentare, con luce naturale e ben pochi orpelli scenici, come a sollecitare sincerità, verità e testimonianze di vita reale, sottolineando, con ogni parola e immagine, il proprio profondo rispetto per il vissuto di ognuno.

E Hannelore riesce a fare questo anche spiazzandoci tutti, magari con il chiedere cose che non ti aspetteresti, soprattutto se rivolte a persone che vivono con l’Hiv. Cose come: “raccontami una barzelletta sull’Aids”. Una domanda così all’inizio spiazza i suoi interlocutori come spiazza noi. Perché ci si trova spesso di fronte a persone che sono state in Aids o anche ad un passo dalla morte, che oggi 30 anni dopo, vivono e convivono con l’hiv. Persone che però vivono pienamente la vita e sono anche in grado di lasciarsi andare e ridere di una simile domanda. Persone sopravvissute, ma proprio per questo ancor più vive e vitali. Persone oggi consapevoli e forse anche migliori di prima. In grado di raccontare la loro barzelletta preferita sull’Aids meglio di qualsiasi comico. Persone che si dimostrano felici di poter irridere il virus e ridere del loro essere PWA. E Hannelore ride con loro e grazie a loro, al pari di noi spettatori.

Ecco, questa è la cosa che penso sia davvero importante dirvi. Vedendo Dirty30, ci si rende conto di come sia naturale e semplice ritrovarsi vicini, molto vicini a persone sconosciute dall’altra parte del globo. Persone che condividono tra loro percorsi di vita che sono comuni anche a noi. Vediamo cose che fanno parte del loro vissuto e anche del nostro quotidiano. Siate voi persone positive all’hiv o negative poco importa. Se l’Hiv vi ha attraversato o ha interessato in qualche modo la vostra vita, guardando Dirty 30 capirete cosa intendo. Perché questo è il “sentire” nostro e della LILA. Spero quindi che chiunque vedrà questa serie di documentari scopra quanto sia facile entrare ed esser coinvolti nel suo flusso narrativo e come sia facile commuoversi o ricordare gli amici, gli amori, le nostre vite, le nostre morti, i dolori e le gioie legati all’hiv. Come sia facile anche riderne e sorridere. Grazie a loro e anche grazie a Dirty30, lo possiamo fare oggi, ben trenta anni dopo, entrambi e insieme.

Arnaldo Pontis - Responsabile Comunicazione LILA Cagliari

 

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