Riemersa dai siti parlamentari la relazione “scomparsa” sulle dipendenze 2016. Si tratta dell’annuale report, redatto dal Dipartimento Politiche Antidroga, con cui il governo è tenuto, per legge, entro il 30 giugno di ogni anno, ad informare il Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze nel nostro paese. La relazione, consegnata al Senato solo il 6 dicembre scorso, e di cui solo in questi giorni si è scoperta l’esistenza, giunge dunque, non solo in forte ritardo ma, complice anche la caduta del governo Renzi, senza la consueta presentazione in aula del competente rappresentante del governo. Si è persa così una fondamentale occasione di informazione e confronto, segno di un impegno del tutto insufficiente da parte delle istituzioni in materie di dipendenze. Il documento risente di questa mancata assunzione di responsabilità evidenziando diverse lacune. Nel rapporto si intravedono però anche segnali positivi: dall’adesione agli obiettivi UGASS 2016, al recepimento delle indicazioni dell’European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction (EMCDDA), all’attenzione riservata alle politiche di riduzione del danno, al percorso di partecipazione alla stesura del piano, attivato con associazioni e società civile. Un allegato della stessa relazione riporta così anche contributi predisposti da diverse organizzazioni del privato sociale.
Nel complesso la fotografia, pur deficitaria, che emerge del fenomeno tossicodipendenze continua a mostrare risvolti gravi e preoccupanti: ancora troppo alto il numero di persone in carcere con problemi di tossicodipendenza o per reati di lieve entità connessi alle droghe, frutto di azioni repressive che non sembrano intaccare invece il volume d’affari della criminalità. Assolutamente marginali restano le strategie di riduzione del danno nonché gli interventi di prevenzione e diagnosi dell’Hiv e di altre malattie sessualmente trasmissibili.
La prima nota dolente del corposo documento (550 pagine) riguarda la mancanza dei dati relativi alla prevalenza e all’incidenza del fenomeno sulla popolazione generale. I dati disponibili riguardano esclusivamente studi specifici su settori di popolazione, sul consumo di determinate sostanze o sugli utenti dei SerD.
Gli ultimi dati Istat relativi al consumo generale in Italia risalgono al 2013 e stimano in 6,1 milioni di persone gli utilizzatori di cannabis, in 1,1 milione gli utilizzatori di cocaina mentre i consumatori di eroina risultano 218 mila. 591 mila infine sono gli utilizzatori di altre sostanze chimiche (exctasy, LSD, anfetamine). “La somma degli utilizzatori per sostanza –si precisa nella relazione- non consente di stimare il numero dei consumatori di droga in quanto nelle stime una stessa persona può essere conteggiata una o più volte a causa del fenomeno del poli-consumo”.
Parziale ma più aggiornata l’analisi sugli utenti dei Ser.D. Nel 2015 le persone tossicodipendenti assistite nelle strutture italiane sono state 140mila circa. 19.729 i nuovi utenti (il 14% del totale). L’86,2% delle persone censite è di sesso maschile. Nel complesso il rapporto tra assistiti e popolazione generale è di 23 soggetti ogni 10.000 abitanti, anche qui con un significativo “divario di genere”: 41/10.000 per la popolazione maschile, 6/10.000 per quella femminile. L’età media è di 38,9 anni, un’utenza che ha conosciuto un progressivo invecchiamento dal 1995, quando le persone con più di 39 anni afferenti ai SerT erano solo il 5,5% contro il 53,3% del 2015. Tuttavia a partire dal 2012 si nota un nuovo aumento delle classi d’età più giovani, soprattutto nella fascia tra i 15 ed i 24 anni.
Nel 2015 il 70% degli utenti trattati faceva uso di eroina come sostanza primaria, una percentuale in costante calo dall’88,5% del 94. In aumento invece coloro che abusano di cocaina: dall’1,9% del 94 al 16% del 2015. Stabile il ricorso ai cannabinoidi, ormai da un decennio intorno al 10-11%.
Tra le ricerche su gruppi specifici di popolazione viene inserita anche la Ricerca Espad 2016 che riporta l’esito dell’indagine 2015 su un campione di studenti tra i 15 e i 19 anni. Ne emerge che il 34% dei giovani in esame, dunque uno su tre, ha utilizzato almeno una volta sostanze considerate illegali e che circa il 4% ne fa uso frequente. La più usata è la cannabis, seguita da cocaina, stimolanti e allucinogeni. L’eroina è la sostanza meno diffusa.
Altri studi citati riguardano il controllo antidoping nelle attività sportive e una ricerca proveniente dall’amministrazione della Difesa sulla diffusione e l’uso di sostanze stupefacenti e psicotrope tra Forze Armate e Arma dei Carabinieri. 20.275 i militari dell’esercito sottoposti a test dei quali lo 0,2% è risultato positivo a cocaina, oppiacei ed altro e ben il 53% ai cannabinoidi. Tutti negativi i test effettuati in Marina, 0,1% i positivi nell’Aeronautica Militare. Tra i Carabinieri su 362 testati sono emersi due positivi alla cocaina.
Le cifre relative al giro d’affari connesso agli stupefacenti restano sconcertanti ed in netta crescita. Il mercato rappresenta quasi il 70% del complesso delle attività illegali con un giro d’affari che frutta alla criminalità circa 14 miliardi di euro annui, pari allo 0,9% del PIL, di cui circa la metà attribuibile al consumo di cocaina ed un quarto all’utilizzo di derivati della cannabis. Stabile, nel 2015, il numero delle operazioni anti-droga: 19mila circa con un incremento del 4% dei sequestri di cocaina e, soprattutto delle droghe sintetiche: più 175,53% i sequestri “in dosi”. In forte calo i sequestri di eroina e derivati della cannabis. Nel complesso, le sostanze sequestrate nel 2015 ammontano a circa 84mila chili. 27.718 le persone denunciate, con un aumento tra i minorenni del 6,33%, e 19.524 persone poste in stato d’arresto. In testa, per numero di persone coinvolte, il Lazio, seguito dalla Lombardia e dalla Campania. La sostanza stupefacente che ha prodotto più denunce è stata la cocaina (9.206 casi) ma se si sommano le denunce per hashish (7.214), marijuana (4.728) e piante di cannabis (1.418) si evince come oltre il 50% delle denunce in questione, riguardi ancora, la produzione, il consumo o lo spaccio di droghe leggere. 3271 infine le denunce riguardanti l’eroina.
La percentuale di persone in carcere con problemi legati alla tossicodipendenza resta molto, troppo, alta: si trattava del 26% dei detenuti, ancora nel 2015. Più alto il numero di detenuti in carcere per reati legati, nello specifico, alle droghe: 23mila circa su 52mila, oltre il 44% del totale, la maggior parte, 17mila, in virtù dell’articolo 73 della legge 309/90, quello che punisce la produzione, lo spaccio e la detenzione di droghe. Meno di 6mila invece i detenuti agli arresti per il più grave art. 74 della stessa legge, relativo all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. In crescita i detenuti stranieri tossicodipendenti così come quelli coinvolti nei reati previsti dalla L.309/90.
Il ripristino, nel 2014, da parte della Corte Costituzionale, della distinzione tra droghe pesanti e leggere e il crescente ricorso a pene alternative al carcere, stanno contribuendo ad abbassare il numero di persone ristrette per l’articolo 73. Secondo quanto riferito dal ministro della Giustizia Andrea Orlando lo scorso 28 gennaio, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, a fine 2016 i detenuti tossicodipendenti sono scesi a 13mila su un totale di 54mila, in calo del 2% rispetto all’anno precedente, ma pur sempre il 24% del totale. Dunque nel complesso, il numero di persone tossicodipendenti in carcere, e più in generale, di persone detenute per reati connessi all’uso e al traffico di stupefacenti, resta elevatissimo testimoniando un sostanziale fallimento delle politiche proibizioniste.
I decessi riconducibili all’abuso di sostanze stupefacenti rilevati dalle Forze di Polizia, o segnalati dalle Prefetture, si sono attestati nel 2015 su 305 casi, con un decremento pari al 2,55% rispetto al 2014. Il numero maggiore dei decessi per droga è stato registrato nelle province di Bologna (22), Torino e Napoli (21), Roma (20), Sassari e Firenze (12), che da sole rappresentano il 35,41% del totale dei decessi rilevati a livello nazionale.
Malattie correlate/Virus HIV
Nello studio sono riportati differenti aggregati di dati, attinenti a diversi registri di sorveglianza. Anche in questo capitolo tuttavia, alcune rilevazioni ci risultano poco chiare. In particolare, a pag 228, vengono riportati dati attribuiti al SIND, servizio informativo dipendenze, secondo il quale, nel 2015 sarebbero state indirizzate al test per l’Hiv 45.346 persone, pari al 34% del totale degli utenti in trattamento presso i Servizi per le Tossicodipendenze. Ben 2.455 persone sarebbero risultate positive. Si tratterebbe cioè del 61% di tutti i nuovi casi registrati nell’anno, circa 4000, un numero inverosimile e non in linea con altre rilevazioni ufficiali. Nel caso si trattasse invece, della prevalenza tra tutte le persone in carico ai Sert ed indirizzate al test, il dato non sarebbe in linea con quello fornito nel 2015. Già lo scorso anno chiedemmo chiarimenti in merito e torneremo a farlo visto che si tratta di informazioni estremamente rilevanti per indirizzare le politiche di salute pubblica.
Un altro gruppo di dati è relativo alle nuove diagnosi da HIV diagnosticate tra i consumatori di sostanze per via iniettiva (IDU) e quindi riferiti dal sistema di sorveglianza coordinato dal COA.
Nel periodo 2010-2014, l’ultimo disponibile, sono state segnalate 982 nuove diagnosi di infezione da HIV tra gli IDU, di queste l’83,4% relative a persone di sesso maschile. Il 18,7% attiene invece a persone di nazionalità straniera. 40 anni l'età media della diagnosi di infezione da HIV tra gli adulti maschi, più bassa per le donne: 35, 5%. Nel 2014 il numero più basso di nuovi casi registrati: 141, una diminuzione dovuta probabilmente anche ad un ritardo di notifica. La fascia d’età più rappresentata è quella tra i 30 ed i 49 anni (71,6%) del totale.
Tra i motivi di effettuazione del test (dati riferiti al 2014) il 27,3% lo ha fatto per la presenza di sintomi HIV-correlati, il 24,5% in seguito alla proposta degli operatori del Sert; il 19,9% in seguito a comportamenti sessuali a rischio; il 15,1% ha eseguito il test in occasione di un ricovero; il 7,6% in seguito alla proposta degli operatori del carcere; il 3,8% a seguito di una diagnosi di IST (malattie sessualmente trasmesse; lo 0,9% ha eseguito il test nell’ambito dello screening pre-donazione di sangue e lo 0,9% in seguito a controlli specialistici legati alla genitorialità
I casi di Aids segnalati tra gli IDU dal 1982 al 2012 sono stati 34.755, di questi oltre l’80% maschi (dati RNAIDS). In questo stesso lasso di tempo i decessi per Aids tra gli IDU sono stati 26.703
La quota di casi registrata tra gli over 40 è aumentata in modo rilevante passando dal 7,4% del 94 all’83,6% del 2014, il 90% tra le donne. Si tratta di un segnale inequivocabile di un’emergenza che segnaliamo da tempo: quella delle diagnosi tardive. Si fa osservare nella relazione come il numero di pazienti con una diagnosi di sieropositività vicina (meno di 6 mesi) alla diagnosi di AIDS, sia in aumento, più elevata nel genere maschile e tra gli stranieri, confermando come molte persone arrivino allo stadio di AIDS conclamato ignorando la propria sieropositività. Si tratta di un andamento che espone a gravi rischi le persone sieropositive non consapevoli del proprio stato, in quanto ne ritarda l’accesso alle cure.
Significativi, sulla fase di avanzamento dell’infezione, i dati forniti dalla relazione sul numero di linfociti CD4 riscontrati alla prima diagnosi di infezione da HIIV: nel 2014 la proporzione di IDU con una nuova diagnosi di infezione da HIV recanti un numero di linfociti CD4 inferiore a 200 cell/µL era del 38,7%, mentre quella di coloro che avevano un numero di CD4 inferiore a 350 cell/µL era del 52,4%.
L’incidenza dei casi di AIDS in IDU mostra comunque un andamento decrescente passando da 104,4 per 100.000 IDU nel 2010 al 51,7 per 100.000 IDU nel 2014. L’incidenza delle nuove diagnosi di HIV in IDU sembra diminuire con un valore pari a 69,5 per 100.000 IDU nel 2014.
Nella relazione al Parlamento vengono riportati anche i dati di un progetto attivato nel 2011 dal Dipartimento politiche Antidroga. Denominato “Diagnosi e Terapia Precoce delle Infezioni droga-correlate (DTPI)”, il progetto era volto ad incentivare lo screening e la diagnosi precoce delle principali patologie infettive (HIV, HBV e HCV), correlate all’uso di sostanze stupefacenti per via iniettiva nei soggetti in trattamento presso i SerT, nonché l’accesso alle terapie negli stessi servizi.
Nonostante la scarsa partecipazione dei Sert allo studio e il mancato invio dei dati relativi ai test dell’Hiv effettuati, lo studio DTPI ha fornito indicazioni interessanti.
La popolazione analizzata risulta essere costituita per circa un quarto da soggetti che praticano un uso iniettivo di sostanze; una quota rilevante del totale ha riferito comportamenti sessuali a rischio.
Tra coloro che riferiscono un uso iniettivo, è alta la quota di coloro che non utilizzano materiale sterile. La popolazione di consumatori di sostanze positivi all’HBV o all’HCV analizzata, riporta proporzioni alte di comportamenti a rischio quali scambio di siringhe, uso di materiale non sterile, non uso del preservativo.
“I risultati ottenuti –afferma la relazione- sottolineano l’importanza di promuovere l’esecuzione dei test per le infezioni correlate all’uso di sostanze stupefacenti a tutti gli utenti dei SerT, sia iniettivi che non iniettivi, cercando di promuovere attivamente la proposta dei test al fine di raggiungere una elevata copertura di testaggio. Sarebbe altresì opportuno estendere l’esecuzione dei test anche ai partner sessuali degli utenti dei SerT, in considerazione dei comportamenti sessuali a rischio rilevati dallo studio. Dato che non è stato possibile rilevare i dati per HIV nel presente studio, sarebbe auspicabile consentire l’accesso, la raccolta e l’invio dei dati HIV in modo routinario, al fine di conoscere la diffusione di questa infezione nella popolazione tossicodipendente e valutare attività di prevenzione e controllo mirate”.
Si tratta di propositi senz’altro positivi da parte dei decisori di cui però non è possibile valutare gli sviluppi.
Un ultimo gruppo di informazioni e casistiche fornite dalla relazione del Governo riguarda le Infezioni Sessualmente Trasmesse (IST).
Oggi si conoscono circa trenta quadri clinici di IST determinati da oltre 20 patogeni sessualmente trasmessi. In Italia tuttavia le informazioni sono limitate alle sole malattie a notifica obbligatoria, cioè gonorrea, sifilide e pediculosi del pube. Per sopperire a questa mancanza, nel 1991 è stato avviato un sistema di sorveglianza sentinella, coordinato dal Centro Operativo AIDS (COA), che prevede la collaborazione di 12 centri clinici pubblici specializzati nella diagnosi e nella cura delle IST, dislocati sul territorio nazionale. I dati resi disponibili nella relazione al parlamento sono relativi alla diffusione delle IST nei consumatori di sostanze per via iniettiva e si fermano al 2014.
Dal 1° gennaio 1991 al 31 dicembre 2014, il Sistema di sorveglianza ha segnalato un totale di 2.787 nuovi casi tra i consumatori di droghe per via iniettiva, pari al 3,3% di tutti i casi di IST segnalati.
Segnali di allarme arrivano dall’andamento delle nuove infezioni: se nel periodo 2003-2006 il numero di casi era diminuito di 4 volte e mezzo rispetto all’inizio delle rilevazioni, passando da 912 a 201, negli ultimi anni il trend è tornato a salire raddoppiando la casistica: 404 casi nel periodo 2011-2014.
Il condom è stato utilizzato regolarmente in tutti i rapporti sessuali dal 13,2% degli IDU, invece il 40,9% degli IDU ha riferito di utilizzarlo saltuariamente. Oltre un terzo degli IDU con IST (42,0%) ha riferito di avere avuto una IST in passato. L’82,6% dei casi è stato segnalato in eterosessuali e il 17,4% in MSM.
Dei 2.787 IDU con una nuova IST segnalati dal 1991 al 2014, l’82,3%, ossia 2.295 persone, hanno effettuato un test anti-HIV al momento della diagnosi di IST e ben 1.179 sono risultate positive, con una prevalenza del 51,4%.
Per quanti riguarda i 60 IDU con una nuova IST segnalati nel 2014, 45 di loro, il 75, %, hanno effettuato un test anti-HIV al momento della diagnosi: 11 le persone risultate positive con una prevalenza del 24,4%.
Per i casi di epatite i dati sono forniti dal sistema di sorveglianza SEIEVA. Tra il 1991 ed il 2015, complessivamente, i casi segnalati tra le persone tossicodipendenti sono stati 343 per l’epatite A, 1.702 per la B e 1.337 per l’epatite C. Per quanto riguarda l’epatite delta, sono stati diagnosticati 75 casi.
La maggior parte dei soggetti tossicodipendenti che presentano epatite A o B, rispettivamente il 78% e 70,7%, riportano di assumere sostanze stupefacenti solamente per inalazione, mentre fra i pazienti affetti da epatite C, il 79% riporta un’assunzione per via endovenosa.
Nel tempo si è osservata una progressiva diminuzione del numero di casi di epatite B e C, scesi da 166 e 61 nel 1991, rispettivamente a 13 e 10 nel 2015. I casi di epatite A tra le persone tossicodipendenti, sono rimaste invece pressoché costanti negli anni.
UNGASS2016 - Special Session of the UN General Assembly on the world drug problem