Nel 1986, una rete di persone che rappresentava esperienze di partecipazione sociale diversissime tra loro, di fronte al devastante impatto sanitario e sociale dell’epidemia di AIDS, si attiva per trovare risposte adeguate a quella fase di piena emergenza. Insieme si ritrovano:
• la comunità gay, con Arcigay e il circolo Mario Mieli, che, in allarme per le moltissime morti negli Usa di giovani omosessuali, iniziava proprio in quegli anni ad assistere ad un’ondata di lutti, e che, sin da subito, sperimenta la violenza, non solo clinica, di questo virus che viene bollato come “la peste dei Gay”.
• Il mondo delle tossicodipendenze, sia pubblico (NOT/SERT) che del privato sociale con il Gruppo Abele e San Benedetto al porto in testa, al fianco delle cooperative sociali. In un periodo storico in cui l’uso di sostanze per via iniettiva è diffusissimo, il mondo delle dipendenze viene travolto dall’emergenza e assiste impotente alla decimazione di una generazione di persone, che con fatica, hanno interrotto il loro rapporto di dipendenza, e che ritornati alla vita sociale, improvvisamente si ammalano e muoiono senza nessuna speranza.
• Si unisce a questo percorso comune anche parte del mondo medico, con Medicina Democratica e Psichiatria Democratica, nel tentativo di fronteggiare la disarmante disinformazione e le improvvisazioni delle istituzioni, che in quegli anni trovavano risposte solo ideologiche o moralistiche, molto distanti da un approccio pragmatico e basato sulle evidenze, purtroppo in quei tempi molto poche.
• Il Comitato per i diritti civili delle prostitute si attiva e si unisce a questa storia, perché, nell’ incapacità di gestire l’epidemia da parte delle istituzioni, le lavoratrici e i lavoratori del sesso vengono additati come corresponsabili della diffusione del virus.
• Anche il mondo sindacale si scontra con questa infezione. CGIL, CISL e UIL devono fronteggiare paure, stereotipi e disinformazione nei luoghi di lavoro, ma anche attivare misure di sostegno e protezione per quei lavoratori che, risultando positivi al test, subivano poi gravi discriminazioni.
• Si mobilita, infine, con il gruppo di Fiesole, anche il mondo della comunicazione nel tentativo di informare correttamente i cittadini sul virus ma anche per agire sugli stessi media, che veicolavano, spesso, informazioni errate e pregiudizi.
Da questo mix di approcci, sentimenti e stati d’animo, trent’anni fa prende forma la LILA.
In questi trent’anni, che potremmo dividere in tre diverse decadi, molto è successo e per fortuna importanti obiettivi sono stati raggiunti, ma va detto tante sono state le sconfitte e molto c’è ancora da fare.
La prima decade, dal 1987 al 1997, possiamo, senza dubbio, definirla buia.
Non ci sono trattamenti in grado di contrastare l’evoluzione dell’HIV. La paura e la discriminazione sono all’ordine del giorno: bambini allontanati dalle scuole, lavoratori licenziati o emarginati dai colleghi per paura e ignoranza. Talvolta anche l’ambito familiare non è pronto ad accettare al proprio interno una persona con HIV. Sono gli anni delle “categorie a rischio” e delle spinte al test obbligatorio, fortunatamente contrastate anche dalla comunità scientifica, nonché della tragica lettera agli italiani dell’allora ministro della Sanità Donat Cattin, la cui sintesi era: “fedeltà e astinenza sono gli unici antidoti, l’AIDS ce l’ha chi se lo va a cercare”.
Finalmente, nel 1990 arriva la legge 135! Sono anche gli anni degli scandali e di mani pulite, e l’HIV si ritaglia uno spazio non da poco con lo scandalo sangue infetto. Ma non solo, con la pioggia di miliardi messi in campo per la costruzione di reparti di malattie infettive e per le campagne informative (che in un quadriennio sono finanziate per ben 148 miliardi di vecchie lire) e per l’andamento di alcuni bandi, molti sono i dubbi e poche le risposte, tant’è che Lila e il Gruppo Abele per riuscire ad averne sono costrette a rivolgersi alla magistratura. Sono gli anni del sovradosaggio di AZT interrotto dallo studio Concorde, dei finti guaritori e delle preparazioni miracolose, e verso la fine del decennio, dei viaggi della speranza in svizzera o negli USA per chi si poteva premettere l’acquisto di terapie. La pressione sociale sulle persone con HIV è massima. Nel nostro paese si predica l’astinenza sessuale per le PLWHA non riuscendo a parlare di preservativi. Sono gli anni del famoso alone viola.
Ma sono anche anni che vedono esplodere l’attivismo e la sperimentazione. L’avvio dei gruppi di autoaiuto e l’introduzione dei concetti di empowerment e di qualità della vita delle PLWHA. Nel 1992 nasce GruPS+ (Gruppo persone S+) all’interno di LILA che grazie al supporto associativo promuove percorsi di emancipazione e importanti azioni di advocacy. Le persone con Hiv, i loro familiari, i loro partner e i loro amici, al fianco di molte persone attente, iniziano a popolare le sedi che, via via, si costituiscono sul territorio sino ad arrivare a una ventina. LILA in quegli anni apre le prime Helpline, lancia il LILABUS che gira per l’Italia distribuendo profilattici, promuove gli interventi di riduzione del danno con le Unità Mobili tossicodipendenze e prostituzione, promuove una visione non solo medica della PLWHA, facendosi portatrice di saperi utili per il contrasto dell’AIDS e soprattutto di diritti.
Sono gli anni delle battaglie per rimuovere l’assurdo regolamento di polizia mortuaria che impedisce di seppellire con un vestito chi è morto di AIDS, sono gli anni dell’occupazione dello Spallanzani, della protesta in piazza Navona e, nel 1996, dell’occupazione di Farmaindustria perché le aziende farmaceutiche non ritenevano di dover fornire trattamenti sperimentali costosi al nostro paese, privilegiandone altri che garantivano maggiori introiti economici. La LILA è la principale promotrice di tutte queste azioni e di tutte queste battaglie.
La seconda decade, dal 1997 al 2007, la potremmo definire del silenzio e della disinformazione.
L’avvio è meraviglioso, la ART riesce a bloccare le morti e i titoli dei media sono trionfalistici. Il dottor Ho è l’uomo dell’anno e si parla di eradicazione che poi diverrà cronicizzazione. Ma la strada sarà in salita. Con la ART finalmente i medici hanno a disposizione strumenti efficaci, i ricoveri iniziano a diminuire, si parla di “sindrome di Lazzaro” per le PLWHA ma compaiono anche i primi effetti avversi di queste terapie, alcuni molto gravi, terapie inizialmente difficili e complesse da assumere. LILA partecipa ai network EATG e E-Cab, e in Italia all’I-Cab e questo consente di avere accesso a informazioni sui trattamenti da trasferire direttamente a chi li assume ma anche di partecipare e promuovere azioni di lotta per il diritto alla cura, non solo nel nostro paese. In questo secondo decennio si manifesta infatti un altro aspetto orribile di questa infezione, quello dell’iniquità. Se nei paesi occidentali ricchi queste cure costosissime sono accessibili, nei paesi a basso reddito, che per altro sono i più colpiti dall’HIV, la situazione è drammatica. Come se non bastasse, le Company del farmaco decidono di appellarsi al WTO contro quei paesi che hanno iniziato a produrre terapie antiretrovirali in autonomia. E’ proprio per l’accesso a farmaci e per la questione brevetti, purtroppo tutt’ora attuale, che l’associazione partecipa attivamente al Genoa Social Forum in occasione del G8 di Genova, una battaglia che, è bene ricordare, porterà alla costituzione del Fondo Globale che salverà moltissime vite con i farmaci generici.
In quegli anni la stampa enfatizza i successi della ART, e sulle prime pagine, sino alla fine del millennio, i titoli degli articoli pubblicati esclusivamente in prossimità del 1 dicembre sono “Finita l’emergenza AIDS” purtroppo con conseguenze nefaste per la prevenzione. Le notizie si occupano al massimo del sud del mondo come se l’Italia non fosse più esposta a questa infezione, sino a scomparire, in occasione del Primo dicembre 2005, dalla quasi totalità delle testate italiane. Il 1 dicembre 2006 il TG1 neanche tratta l’argomento AIDS.
La politica, che nel decennio precedente era stata costretta a occuparsi del problema, ora sembra assente e distratta o purtroppo, talvolta, ottusa. Diminuiscono le risorse per la prevenzione e crolla l’attenzione al problema. Sono gli anni di campagne ministeriali agghiaccianti quale quella del 2003, il cui claim fu “Avete Idea Della Sofferenza” o dell’imbarazzante opuscolo “Virus” del 2002 dove si arriva a disincentivare l’uso del condom con una pagina intitolata “Il profilattico non protegge dalle ferite dell’anima” o a trattare il tema dell’omosessualità come una patologia fino a definire le PLWHA, ancora una volta, come persone che se la sono andata a cercare.
LILA denuncia con forza questo scempio, trovando il sostegno di quasi la totalità dei gruppi e delle associazioni, sia quelli presenti nella Consulta che quelle al di fuori, ma raramente riceve risposte.
Anzi nel 1999 l’associazione viene denunciata per istigazione all’uso di sostanze, per la pubblicazione dell’opuscolo "Drugs Book", un pieghevole rivolto a consumatori di sostanze stupefacenti, e negli anni successivi, assiste alla messa al bando del termine Harm Reduction dal parte del Ministero della salute, nonostante tutte le agenzie internazionali in quegli anni promuovessero con forza la riduzione del danno. Il termine sarà riammesso nel discorso pubblico solo nel 2008.
In questo periodo LILA fa anche i conti con la caduta di attenzione rispetto a queste tematiche e forse con l’inizio di un momento di crisi più generale del volontariato; la fase emergenziale è terminata e il coinvolgimento di volontari e attivisti è più complicato. Le PLWHA cercano di riprendersi una normalità di vita confrontandosi con lo stigma persistente ed evitando di esporsi. Il flusso di volontari cala, così come calano le donazioni. Non calano invece, in questa decade, le infezioni, l’accesso al test è difficile, l’anonimato non è garantito e l’uso del profilattico tra la popolazione generale diminuisce sensibilmente, forse per stanchezza ma anche a seguito dell’imperare di messaggi che dicono che di AIDS non si muore più.
Per fortuna la tecnologia in questo decennio esplode e consente un maggiore scambio di informazioni tra le persone e tra le varie associazioni europee e italiane, e anche tra le nostre sedi. LILA da subito si dota di un sito e nel 2002 lancia LILACHAT, il primo spazio telematico italiano dove porre domande sia di carattere preventivo che relative alla propria condizione di HIV. Nel 2005 entra a far parte del HIV/ AIDS Civil Society Forum della Commissione Europea.
Questo decennio di silenzio, disattenzione e falsi moralismi termina nel 2006 con l’appello LILA sostenuto da moltissime ONG alla ministra della salute Turco, dove si chiede l’inclusione nella Commissione Nazionale AIDS di esperti di altre discipline, oltre al riconoscimento delle associazioni e delle PLWHA ma soprattutto si chiede l’avvio di campagne di comunicazione e di interventi basati sulle evidenze scientifiche. Appello accolto con la costituzione, nel 2007, di una nuova Commissione e con un maggiore riconoscimento della Consulta AIDS.
Il terzo decennio, iniziato nel 2007, possiamo definirlo delle occasioni perse.
Anche questo decennio parte bene, con una maggiore interazione società civile / comunità scientifica /istituzioni, e l’individuazione di una serie di problemi strutturali condivisi quali: lo scarso ricorso e le difficoltà di accesso al test; l’enorme disparità regionale rispetto a cura e assistenza; la disarmante quota di diagnosi tardive e la poca attendibilità del sistema di sorveglianza, oltre che, ovviamente, la necessità di campagne di prevenzione vere, basate sulle evidenze e non su posizioni ideologiche. Nel 2008 viene istituito il registro delle diagnosi di HIV, e nello stesso anno il ministero lancia uno spot televisivo finalmente incentrato sull’uso del profilattico. Sembra prendere forma un sostanziale cambio di passo, che però non verrà mai veramente compiuto.
Lo scambio con i network europei (AIDS ACTION EUROPE, HIV in Europe e HIV CSF) consente a LILA di evidenziare con forza come il nostro paese sia in ritardo su molti fronti, obbligando quasi, la Commissione Nazionale e il Ministero alla compilazione dell’UNAIDS Country Progress Report (2008) e del Monitoring of the Dublin Declaration nel 2009. Nel 2009 viene pubblicato il rapporto Euro HIV che analizza l’impegno dei 27 paesi membri dell’Unione Europea, più Svizzera e Norvegia, nel campo della lotta all’Aids. Il nostro paese è al 27° posto! E’ uno schiaffo, probabilmente eccessivo e discutibile per alcuni indicatori, ma che restituisce in modo netto una situazione di ritardo su molti fronti. In questi anni la cooperazione con Istituzioni e comunità scientifica di LILA - e delle altre ONG - è molto alta. L’associazione prende parte alla stesura delle Linee Guida ART, partecipa al gruppo di lavoro che sperimenta e avvia i trapianti per le PLWHA, accoglie con favore l’invito alla costituzione di ICAR e con NADIR lancia un appello a difesa dei bandi di ricerca AIDS che in quegli anni vengono sospesi, limitando ulteriormente la possibilità di ricerca “indipendente” e sapendo che sulla ricerca di una cura definitiva contro il virus non si può certo contare sul solo investimento delle case farmaceutiche.
In alcuni casi questa sinergia con la comunità scientifica e le istituzioni è stata più complicata. Probabilmente anche per errori nostri dovuti all’eccesiva fretta e alle alte aspettative. Quando nel 2009 con NADIR viene presentata la position paper sulla TasP, quando LILA a cavallo tra 2010 e 2012 avvia, prima in Italia, l’offerta, con fondi propri, di test rapidi in ottica CBVCT rivolta alle popolazioni vulnerabili , quando è chiamata a contrastare nuovamente spinte all’Opt Out o a far emergere la precarietà del sistema di offerta del test e la scarsa attendibilità del sistema di sorveglianza, questa sinergia si affievolisce e tentenna.
E talvolta, anche se la sinergia è buona, il fallimento di alcuni obiettivi ambiziosi e condivisi ha prodotto, in tutti un grande rammarico, come accaduto nel 2013 con gli obiettivi di piano. Per la prima volta dopo molti anni venivano erogati dei fondi finalizzati al miglioramento dell’accesso al test che però le regioni hanno usato per fare altro e neanche la richiesta LILA di un intervento della corte dei conti ha, ad oggi, chiarito la situazione.
In queste situazioni, LILA e le molte altre ONG che hanno condiviso queste posizioni, sono state percepite come rompiscatole, ma fortunatamente dopo i necessari tempi di maturazione, la condivisione di queste posizioni – favorita dalle indicazioni delle agenzie internazionali – si è fatta più concreta e tutti questi temi sono entrati finalmente nel 2016 nel Piano Nazionale AIDS.
Nell’ultimo decennio, dove la prima causa di morte per le PLWHA è stata la coinfezione epatica, LILA è stata tra le promotrici di appelli e di iniziative di protesta come quella organizzata con EPAC, NADIR e PLUS nel 2014 in occasione del meeting of European Health Ministers a Milano. Una situazione non ancora totalmente sanata, che rende anche oggi ben visibile come le politiche scellerate di alcune company possano concretamente determinare la vita o la morte delle persone. Il tema dei brevetti e l’uso di generici non possono non essere presi in considerazione, e la triste esperienza della cura dell’epatite C ci sta mostrando una falla enorme del nostro SSN.
Anche per parlare di questi temi, ma non solo, LILA nel 2015 apre LilaNews, una testata giornalistica on line. Fa questa scelta anche per provare ad aumentare il livello qualitativo della comunicazione sull’AIDS che in Italia è ancora bassissimo, intriso di pregiudizi, stereotipi e omofobia e dove l’ignoranza di cose basilari è all’ordine del giorno.
In questo ultimo decennio LILA con le altre ONG della Consulta, ma anche all’interno del Coordinamento dei malati cronici di Cittadinanzattiva, perché il tema del diritto alla cura riguarda tutte le patologie, si è battuta per riportare sotto la giusta luce non solo la questione HIV ma anche quella dei diritti.
Certamente in questo recente passato, LILA ha molto investito in un lavoro di coinvolgimento della società civile tutta, cercando di rinsaldare i legami con i gruppi che trent’anni fa l’avevano generata e avviando con altri importanti alleanze. Così come ha sempre cercato di interagire con la comunità scientifica, le istituzioni e il mondo politico. A volte ottenendo soddisfazione, a volte meno.
Insomma per LILA sono stati 30 anni complessi, e tutt’oggi ci sono nodi che preoccupano, ma anche 30 anni di straordinario impegno civile di moltissime persone con background diversi, storie diverse, professioni diverse che hanno provato, e provano tutt’oggi, a dare un contributo propositivo e risposte concrete a un problema di sanità pubblica che solo negli ultimi anni è rientrato nell’agenda politica europea e che ora dovrà entrare veramente nell’agenda Italiana.
Sicuramente per arrivare all’obbiettivo 90x90x90 non basta un Piano Nazionale, servono innovazione e quindi risorse ma serve anche coraggio. Serve un impegno maggiore della politica, ma anche delle istituzioni che continuano ad avere un rapporto talvolta ambiguo con le associazioni e la società civile.
In questi trent’anni oltre a stimolare la società, grazie all’impegno straordinario delle sedi Lila che sono state il nostro fronte nelle diverse realtà territoriali, abbiamo avuto modo di entrare in contatto con moltissime PLWHA e con loro provato a costruire percorsi, anche negli anni bui, quando l’obiettivo era minimo, prima del ’96 /’97, percorsi che, dopo l’avvento della ART hanno provato a orientare le persone che scoprivano di aver contratto l’HIV verso l’accettazione e l’emancipazione. Abbiamo cercato di difendere i loro diritti con le nostre azioni e le nostre campagne ma abbiamo anche cercato di difendere i diritti di tutti, e in primis il diritto di poter evitare di contrarre l’HIV.
In definitiva la “questione HIV/AIDS” è stata, crediamo, una delle grandi questioni su cui si è misurata la civiltà e la maturità di un paese intero. Non sempre in questi decenni la risposta delle istituzioni è stata all’altezza di questa sfida. Lo sono state invece tante persone appassionate e coraggiose, tanti medici e operatori sociali, associazioni, community, società civile. Garantire la salute delle persone, prevenire, curare, mantenere in cura, non è un costo ma un investimento, un motore di sviluppo e di diritti.
Vale per l’Hiv come per altre patologie in allarmante aumento, dalle epatiti alle IST. Non possiamo permetterci e non permetteremo un altro decennio di silenzio, di occasioni mancate, di risposte ideologiche, di discriminazioni. I prossimi dieci/quindici anni saranno decisivi per vincere questa grande battaglia di salute pubblica ma anche di civiltà: sconfiggere l’AIDS entro il 2030 è possibile. l’ONU ma anche la nostra storia, ci indicano come fare.