Numeri importanti per la quindicesima edizione di ICAR, Italian Conference on AIDS and Antiviral Research, il più importante evento scientifico italiano sull’HIV/AIDS e sulle altre patologie infettive. La Conferenza è promossa annualmente da SIMIT, la Società Italiana Malattie Infettive, in collaborazione con altre importanti società scientifiche italiane e con le ONG e le Community che si occupano della risposta all’HIV in Italia; tra queste anche la LILA, che ha presentato diverse relazioni. Svoltosi a Bari dal 14 al 16 giugno, presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro, il Congresso si è confermato una preziosa occasione d'incontro tra comunità medico-scientifica e società civile mostrando, ancora una volta, la vivacità della ricerca scientifica e sociale nel nostro paese sui temi in agenda: HIV/AIDS, IST ed epatiti virali, COVID-19, Mpox.
Presidenti della Conferenza erano quest’anno: Francesca Ceccherini Silberstein, Michele Formisano in rappresentanza delle Community, Sergio Lo Caputo e Annalisa Saracino; "From prevention to cure: ready for new challanges" era lo slogan prescelto.
Con 1023 iscritti e oltre 1352 partecipanti (un record rispetto alle edizioni precedenti), l’appuntamento ha offerto settantaquattro sessioni scientifiche, tre conferenze precongressuali, sette sessioni speciali e poi 150 oral communication e 331 poster. 582 le scholarship e 170 i giovani ricercatori che hanno avuto spazio con i loro lavori. Ben 520 gli Abstract presentati, il numero più alto di sempre per ICAR. A coordinare il lavoro di valutazione degli Abstract è stato, il Dottor Antonio Di Biagio, Infettivologo del San Martino di Genova che, in questa nostra intervista, fa il punto sui principali focus scientifici e sociali emersi dai lavori.
Spazio, come sempre, ai giovani delle scuole superiori con il Contest “Raccontart” : undici le scuole finaliste, con 120 lavori e 80 studenti presenti.
L’inaugurazione, avvenuta nella splendida cornice del Teatro Petruzzelli, ha vissuto momenti di grande commozione in occasione della sessione “Giulio Maria Corbelli Memorial Lecture”, che da quest’anno diverrà permanente, dedicata alla memoria del Presidente di Plus Roma scomparso lo scorso novembre, un amico e un attivista di spessore internazionale.
In questa edizione di ICAR ha avuto particolare spazio la ricerca socio-sanitaria, con sessioni specifiche dei lavori dedicate a popolazioni-chiave fortemente penalizzate nel nostro paese: le persone transgender e le popolazioni migranti o rifugiate, il cui accesso al diritto alla salute risulta gravemente compromesso da numerose barriere culturali, sociali, economiche, amministrative.
Nella sessione “HIV infection in the migrants and Refugees population” il tema dell’accesso alla salute di chi è costretto a lasciare il proprio paese è stato affrontato in tutta la sua complessità. A oggi, nel mondo sono 110 milioni le persone che risultano in fuga da guerre, miseria, crisi climatiche, persecuzioni e per il 41% si tratta di bambini e bambine, quasi la metà, dunque, di tutti i migranti forzati della terra. I dati li ha forniti la dottoressa Paola Betti, dell’UNHCR, il programma ONU nato nel 1950, per far fronte al dramma dei rifugiati causati dalla seconda guerra mondiale e per dare attuazione alla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e alla Convenzione di Ginevra che vedevano la luce proprio in quegli anni. In Europa il fenomeno ha subito una forte impennata con la guerra in Ucraina che, a oggi, conta circa sei milioni di sfollati interni al paese e otto milioni riparati all’estero. Anche in questo caso si tratta in maggioranza di bambini/e, adolescenti e donne. Le persone accolte in Italia dall’Ucraina sono 174mila e circa il 70% sono donne. Gli arrivi da altri paesi sono stati, dal maggio 2022 al maggio 2023, circa 48mila, 2600 “via terra”e i restanti via mare, oltre la metà attraverso la rotta tunisina. Anche in questo caso la composizione di chi fugge verso le nostre coste è molto cambiata: se in passato si trattava prevalentemente di uomini, ora aumentano i nuclei familiari con bambini al seguito. Questa componente ha rappresentato lo scorso anno il 28% degli arrivi totali, seguono con il 12% i minorenni non accompagnati, primo paese di provenienza l’Egitto. I numeri della migrazione verso l’Italia sono anche quelli di un'immensa tragedia. Come ha ricordato il Prof Di Gennaro dell’Università di Bari dal 2014 le persone morte nel Mediterraneo, sono state almeno 68mila.
Garantire il diritto alla salute delle persone migranti è una priorità ma anche una sfida difficile che rende urgenti analisi complete e complesse di necessità e bisogni. Occorrono, inoltre, sistemi che si occupino della salute delle persone fin dal loro arrivo. Tra i fattori che più influenzano il benessere e la salute delle popolazioni c’è certamente il viaggio. Talvolta gli spostamenti verso le mete di destinazione durano anni, in condizioni proibitive e con tutti i rischi connessi agli spostamenti di massa. L’arrivo nel paese di destinazione, tuttavia, presenta altre barriere di tipo amministrativo, psico-sociale, e linguistico - culturale, tutti fattori che frenano l’integrazione.
Sul tema HIV/popolazioni migranti ha fatto chiarezza la relazione del Professor Carlo Torti dell’Università di Catanzaro. Un target da tenere in considerazione è proprio quelle delle donne e dei bambini che presentano, in alcuni paesi di provenienza, tassi elevati di HIV e misure di prevenzione e cura quasi inesistenti. Tuttavia, gran parte delle persone migranti con HIV s'infetta proprio nei paesi di destinazione, secondo dinamiche che bisognerebbe analizzare in modo più accurato. Uno studio condotta in Francia mostra proprio come quasi il 60% delle persone provenienti dall’Africa sub-sahariana, risultate HIV positive, abbia contratto il virus dopo il trasferimento in Europa. La confezione HIV/TB, tubercolosi, in questi gruppi di popolazione, è quella che si riscontra più di frequente; molto alto risulta, inoltre, tra i migranti il numero di diagnosi tardive. In Italia, in teoria, le terapie dovrebbero essere assicurate a tutti ma questo non sempre accade. L’afflusso di tante persone dall’Ucraina, paese con i tassi di HIV tra i più elevati d’Europa, imporrebbe un cambio di passo. A proposito delle PLWHIV giunte dall’Ucraina, Torti ha raccomandato particolare attenzione alle resistenze, vista la minore disponibilità nel paese di farmaci di nuova generazione.
Un approccio efficace alla salute dovrebbe prevedere interventi specifici sulla popolazione migrante che, pur avvalendosi del volontariato, siano però a carico del servizio pubblico; Tali interventi dovrebbero: garantire i servizi di medicina essenziale, essere accessibili e a bassa soglia ma anche al centro di una rete territoriale di servizi, funzionare da osservatorio epidemiologico, assicurare un collegamento con gli ospedali di zona, funzionare come filtro e orientamento sanitario, avere personale formato. “L’obiettivo non è ovviamente quello di creare ghetti” ha spiegato Torti, ma per avvicinarsi alle esigenze di salute di queste persone servono interventi mirati che possano agganciarle poi ai servizi sanitari generali.
Della situazione delle popolazioni migranti in Italia e delle criticità che ne pregiudicano il diritto alla salute, ha parlato anche Laura Rancilio, Caritas Italiana, Vicepresidente della sezione M del Comitato Tecnico Sanitario del Ministero della Salute. Nel suo intervento, Rancilio ha posto l'attenzione anche sul ruolo delle ONG e sulla risposta all’HIV per le persone migranti. Questa la nostra intervista a Rancilio
Persone Transgender
La sessione inaugurale dei lavori, dedicata a Giulio Corbelli, ha ospitato la relazione di Michele Formisano, vicepresidente di NPS e quest’anno Presidente di ICAR. Salute e diritti negati alle persone transgender il tema della relazione di Formisano che possiamo ascoltare in questa intervista.
Nella giornata di giovedì 15 giugno, come sentivate, al tema della salute e dei diritti delle persone transgender è stata dedicata un'approfondita sessione di lavori: “Health and Prevention in transgender people”. La Dottoressa Marina Pierdominici e il Dottor Matteo Marconi dell’Istituto Superiore di Sanità hanno illustrato quali siano le principali barriere che ostacolano il diritto alla salute delle persone transgender e gli strumenti per un approccio più inclusivo, centrato sulla persona. Il riferimento è la: “LGBTIQ Equality Strategy 2020-2025”, adottata nell’ottobre 2022 anche dall’Italia, che prescrive target intorno a quattro principali azioni: contrastare le discriminazioni, garantire la sicurezza delle persone transgender, costruire società inclusive e sostenere l'appello per l'uguaglianza LGBT+ in tutto il mondo. Le azioni individuate intorno al piano italiano insistono su diversi campi quali: educazione, salute, mercato del lavoro, sicurezza, cultura e sport. Fondamentale, è stato ricordato, l’importanza di un linguaggio inclusivo, a partire da una corretta terminologia sull’identità di genere (Gender Identity, Transgender, Cisgender, Nonbinary).
Pierdominici ha quindi evidenziato come l’accesso alla salute delle persone transgender evidenzi in Italia enormi criticità a causa di barriere di tipo:
- individuali (auto stigma, aspettative di esclusione, problemi di salute mentale, uso di alcol o droghe, disoccupazione, mancanza di casa ecc),
- interpersonali e relazionali (stigma sociale, atteggiamenti transfobici riscontrabili nei servizi di cura),
- barriere derivanti dall’organizzazione sociale e amministrativa (mancanza di conoscenze specifiche da parte degli operatori dei servizi sanitari, deficit nella qualità della ricerca, dei dati e della diagnostica, sistemi di registrazione inappropriati ecc),
- istituzionali (mancanza di politiche che incontrino le esigenze delle persone transgender ecc). Troppo pochi sono, inoltre, i centri pubblici attivi in Italia in grado di garantire le specifiche esigenze di salute della popolazione transessuale, concentrati, peraltro, principalmente al nord.
La mancanza di dati e ricerche specifiche su questo gruppo di popolazione costituisce, di certo, un vulnus significativo. Per questo presso l’Istituto Superiore di Sanità è stato istituito “Il centro per la medicina di Genere” che si occupa di sensibilizzare tutti gli organismi competenti sulla necessità di una medicina di genere e di promuovere ricerca, formazione, raccolte dati qualitativamente efficaci.
Secondo alcuni studi internazionali, riportati dai relatori dell’ISS, le persone che auto-riferiscono un’identità transgender sono tra lo 0,3% e il 4,5% della popolazione mondiale. Tra gli adolescenti le percentuali sono più alte e oscillano tra l’1,2% e l’8,4%. Si tratta, dunque, di gruppi consistenti di cui però si conosce pochissimo in termini di bisogni, criticità, accesso ai diritti fondamentali.
Per quanto riguarda nello specifico l’Italia, uno studio coordinato dall’ISS su 900 persone, relativo alle loro condizioni di salute e agli stili di vita, segnala livelli molto alti di inattività fisica nella popolazione transgender: il 54% tra persone AFAB (persone cui alla nascita è stato assegnato il genere femminile) e il 64% tra persone AMAB (sesso maschile assegnato alla nascita). Nella popolazione generale, i livelli di inattività fisica sono del 42% tra persone AFAB e del 33% tra persone AMAB. Tra gli adolescenti transgender si segnalano percentuali di inattività ancora più alte: oltre il 70%, segno di una profonda difficoltà di inclusione da parte degli ambiti sportivi, ricreativi, di socialità. Tra le persone TGD AFAB si evidenzia, inoltre, il numero di fumatori più alto in assoluto così come per il binge drinking (ossia ripetuti episodi di consumo di alcol fino all’ubriacatura), riscontrabile nel 19% delle persone TGD AMAB e nel 15% delle persone TGD AFAB contro, rispettivamente, il 10% e il 5% della popolazione generale, comportamento che suggerisce alti livelli di stress e insoddisfazione.
La mancata conoscenza delle esigenze della popolazione transgender e la mancanza di servizi orientati si traducono in diagnosi tardive per quasi tutte le patologie e nel “fai da te” per quanto riguarda la propria salute, in particolare l’assunzione di ormoni senza adeguato controllo medico.
In conclusione: la popolazione transgender in Italia continua a essere gravata in modo consistente da stigma, discriminazioni, povertà che ne minano la salute fisica e mentale nonché lo spazio degli affetti e delle relazioni. Questo produce anche gravi disparità nell’accesso a servizi e cure adeguate. L’atteggiamento inappropriato e le conoscenze inadeguate degli operatori sanitari aggravano questo quadro.
E’ per questo necessario che tutti gli stakeholders rafforzino la loro collaborazione, soprattutto coinvolgendo le community transgender per l’elaborazione di piani di salute appropriati, inclusivi, rispettosi dei diritti della popolazione TGD, a partire dal diritto alla salute.
L’ISS mette in campo un piano per la formazione dei medici di medicina Generale e il sito Infotrans, in quattro lingue, realizzato in collaborazione con associazioni e community, che fornisce una mappatura di tutti i servizi disponibili, le informazioni sulla ricerca, le indicazioni su un linguaggio appropriato e inclusivo.
HIV, lo scenario attuale
Le relazioni inaugurali dei Professori Sergio Lo Caputo e Franco Maggiolo nella sessione, “HIV and COVID-19: where we are and where we are going” hanno segnato il perimetro di questa edizione di ICAR riguardo a temi, nodi, discussioni, obiettivi da raggiungere. “Cosa occorre per un successo duraturo nel trattamento dell’HIV in Italia?” il tema affrontato da Lo Caputo. Per raggiungere entro il 2025 il target ONU 95%-95%-95% e quello di portare sotto il 10% i casi di disuguaglianze e discriminazioni è fondamentale rafforzare la terapia come prevenzione (U=U). In Italia, ha ammesso Lo Caputo, c’è ancora molto da fare per diffondere la conoscenza di U=U, a partire da medici e clinici, ma i risultati finora raggiunti sono, comunque, molto confortanti. Nella corte ICONA, infatti, le persone in soppressione virologica raggiungono già oggi il 96,2%, segno di un buon livello di attenzione al paziente. Oltre l’80% di chi è in ART assume regimi molto tollerabili, i fallimenti virologici sono pochissimi così come quelli di interruzione delle terapie per eventi avversi; basti pensare che nella corte ICONA ben l’87% degli arruolati resta in terapia con il regime iniziale. Si tratta di buone premesse anche per il raggiungimento del cosiddetto “Quarto 95%”, quello relativo a una soddisfacente qualità della vita che non può più avere come unico obiettivo la soppressione virologica. E’ fondamentale, infatti, occuparsi anche della gestione dell’invecchiamento delle PLWHIV e delle patologie ad esso collegate, dell’interazione tra farmaci. In conclusione, ha spiegato Lo Caputo, ciò che occorre sono strategie di cura sempre più orientate alla persona e alle specifiche esigenze di vita e di salute di ciascuno/a.
Franco Maggiolo ha invece esaminato quali siano i fattori che influiscono sull’aderenza alle terapie ricordando uno studio USA, presentato nella scorsa edizione di CROI. Lo studio aveva ben dimostrato quanto i determinanti sociali facciano la differenza rispetto ai tempi di raggiungimento della soppressione virologica: tra le popolazioni nere dei quartieri più disagiati e poveri di alcune grandi metropoli si registrarono infatti tempi più lunghi e un più alto numero di abbandoni e fallimenti. Maggiolo ha quindi illustrato gli esiti di un questionario somministrato a oltre 500 pazienti di Bergamo. Anche in questa corte i tassi di aderenza oscillano tra il 96% e il 98%. Ai primi posti tra i bisogni espressi dagli intervistati, ci sono l’accessibilità e la tollerabilità della terapia, la necessità di percorsi di cura e controlli facilitati, la qualità del rapporto con il proprio medico. L’implementazione delle somministrazioni Long acting può essere una risposta efficace per molte persone con HIV, così come l’attenzione a terapie sempre più tollerate e tollerabili. “I livelli di non aderenza possono, infatti, variare molto a seconda delle terapie offerte” ha concluso Maggiolo.
A proposito di Long acting, sono ancora pochi i dati e troppo poco tempo è trascorso per una valutazione ad ampio raggio dell’impatto del nuovo regime. Ad ogni modo, i primi riscontri sono confortanti. Il dottor Daniele Tommasoni ha illustrato l’esito di un questionario su una piccola corte milanese. I livelli di soddisfazione espressi da chi ha scelto di passare al nuovo regime sono stati alti, il 94,4%. Nessuno ha espresso commenti negativi. Generalmente è ben tollerata e chi ha effettuato lo switch ha migliorato notevolmente la percezione stessa della terapia ART, nonostante il manifestarsi di un po’ di dolore locale nella sede dell’iniezione subito dopo il trattamento.
HIV, resta molto da fare…
Sull’HIV resta comunque ancora molto da fare tanto che all’argomento è stata dedicata un’intera sessione di lavori. Come si accennava in precedenza, tra le urgenze c’è la diffusione della conoscenza di U=U tra clinici e medici. Preoccupanti, in tal senso, gli esiti di uno studio illustrato dalla dottoressa Lucia Brogonzoli per Fondazione The Bridge e basato su 915 questionari somministrati a personale ospedaliero esterno all’infettivologia. Ben il 21% ha indicato quali vie di trasmissione dell’HIV la saliva, il 12,3% le urine, il 7% addirittura le lacrime. Alla domanda: “è possibile per una donna con HIV avere dei figli?” la risposta è stata:”No” per il 19% degli intervistati. Solo il 24,5%, infine ha risposto di sì alla domanda: “Hai mai sentito parlare di U=U?”.
Degli elementi che possono ostacolare la soppressione virologica, e dunque il raggiungimento del “terzo 95” ha parlato la Dottoressa Elisabetta Teti riportando gli esiti di una survey condotta tra i pazienti con HIV dell’Università di Tor Vergata di Roma. Lo studio si è concentrato su un 20% di pazienti che, dopo un anno, non avevano ancora raggiunto una soppressione della carica virale sotto le cinquanta copie. Accertati un 5% di blip piemici occasionali, la percentuale è scesa al 15%, ad ogni modo più alta del target richiesto dall’ONU. L’analisi delle motivazioni ha messo in luce come i determinanti socio-economici possano influenzare l’aderenza alle terapie. I pazienti che non rispondevano con pieno successo erano in buona parte consumatori di droghe, pazienti con più esperienze terapeutiche, persone costrette a nascondere completamente la propria condizione o a rischio di forte stigma. Diversi quelli che avrebbero voluto mantenere lo stesso medico. Lo staff di Tor Vergata ha così adottato una scheda aggiuntiva per ciascun paziente che permette di non perdere questo tipo di informazioni e attivato percorsi di “retention in care” personalizzati per i casi più complessi: dalle telefonate di richiamo per ricordare visite ed esami diagnostici al counselling. Dopo l’introduzione di queste azioni la quasi totalità di questi pazienti ha raggiunto la soppressione virologica. L’indicazione è dunque quella di analizzare sempre, oltre agli indicatori clinici, anche quelli sociali e psicologici ponendo particolare attenzione alle persone che consumano sostanze.
Tra le molte cose che restano da fare c’è anche quella di rendere la ricerca extra HIV sempre più attenta alle PLWHIV. Particolarmente innovativa la proposta illustrata dal Coordinatore progetti scientifici di EATG, Dottor Rocco Pignata. Punto di partenza è la Position Paper lanciata da EATG nell’autunno del 2022, che sostiene la necessità di includere le persone con HIV anche nei trial di ricerca che non riguardino il virus. “Le persone con HIV ormai invecchiano, come tutte e iniziano a presentare patologie non connesse all’HIV, peraltro in modo più frequente rispetto alla popolazione generale -ha spiegato Pignata- l’esclusione sistematica e arbitraria delle persone con HIV da questi trial si basa su concezioni vecchie e inadeguate”. Dalla Position Paper di EATG (che vede tra i principali promotori la ex Presidente LILA Alessandra Cerioli, ora componente attiva di EATG) è nato un progetto denominato BELONG con l’obiettivo di sviluppare linee guida inclusive sull’arruolamento nei trial, basate sulle evidenze scientifiche, rispettose anche delle differenze di genere. L’intento è anche quello di sviluppare poi azioni di advocay che conducano alla svolta necessaria, sulla scia di quanto già messo in campo dalla FDA americana. Ascolta l’intervista a Rocco Pignata, EATG.
Interventi sociali – i lavori presentati dalla LILA
Come spesso accade, ICAR è stata anche l’occasione per conoscere da vicino la vitalità e la capacità innovativa degli interventi di prevenzione e informazione, soprattutto nelle scuole, alle attività di testing, messi in atto dalla società civile. Tra queste il progetto JUST LILA, di Fondazione LILA Milano e LILA Nazionale, per la promozione dell’auto-test. A presentarne i risultati a ICAR è stata la nostra Lella Cosmaro. Ascoltala nell’intervista
Completano il quadro altri cinque lavori LILA, presentati a ICAR come poster:
- "LILA testing services in 2022: observations from experiences of our network" - S. Bellini, G. Dessì, A. Leoni, E. Sosio - LILA Nazionale, Fondazione LILA Milano (P275).
- "Foreigners and their requests to LILA helpline from 2018 to 2022: a comparative analysis" - A. Castellari, A. De Giosa, S. Penon, M.G. Di Benedetto - LILA Nazionale, LILA Bari, Fondazione LILA Milano (P282
- "Things change. Latest U=U communication campaign of LILA Cagliari" - G. Dessì, V. Mascia, B. Mocci, A. Pontis - LILA Cagliari (P265)
- “Resilience” – Study on the psychological and practical impact of COVID-19 on the quality of life of people living with HIV - S. Penon, M.L. Cosmaro, S. Curridori, M. Oldrini, D. Savarino, S. Mazzilli -Fondazione LILA Milano, Department of Translational Research and New Technologies in Medicine and Surgery, University of Pisa (P277)
- "The role of the psycho-social team of the C.A.M.A. ODV, in 25 years of activity in the "Home treatment of people suffering from AIDS and related pathologies" - Interventions in implementation of the Presidential Decree 09.14.1991 and Ministerial Decree 09.13.1991" - A. Calluso, N. Catucci, M. Di Tullio, R. Giusto, S. Loiudice, C. Michelucci, I. Lanera, M. Potenza, A. Scavo, P. Tomasicchio - LILA Bari (P 294)
LA PrEP
Sul fronte della prevenzione, grande spazio hanno avuto le relazioni sulla PrEP, la profilassi preventiva dell’HIV, alla luce, anche, del via libera alla rimborsabilità da parte di AIFA del 26 aprile scorso, seguito dalla determina AIFA dello scorso 8 maggio. La sessioni di lavori “The experience of PrEP in Italy” ha fornito un quadro d’insieme molto interessante, nonostante i pochi dati disponibili, e ha confermato l’altissima efficacia di questo strumento di prevenzione. Tra le indagini più complete sulla situazione italiana quella di Plus Roma, presentata da Marco Falaguasta. “In Italia –ha ricordato il relatore- non esistono statistiche ufficiali sulle persone che fanno ricorso alla PrEP”, per questo la ricerca presentata assume particolare rilievo. Anno di riferimento il 2022, i centri PrEP che hanno risposto all’indagine sono stati quarantasette sui settantadue interrogati: 65,78% al nord, il 28,49% al centro, il 5,63 al sud per un totale di 6444 persone utenti. Si tratta di una platea aumentata in modo esponenziale con un balzo addirittura del 77% rispetto al 2021.
La composizione del target resta invece stabile: gli MSM costituiscono quasi il 96% dell’utenza, concentrata per il 65,7% nel Nord Italia. Il 39% dei centri ha in carico almeno una persona che pratica. chemsex e il 40,4% ha in carico almeno un/una sex workers. 537 le persone che hanno interrotto la PrEP nel corso dell’anno in esame, la maggioranza, 177 persone, perché non sopportava il senso di nausea che può intervenire durante il primo giorno d’assunzione; seguono 155 persone che hanno interrotto la PrEP perché hanno iniziato una relazione monogamica. All’ultimo posto quattro interruzioni dovute a siero conversione. In questi (pochi) casi la siero conversione è quasi sempre dovuta a una scarsa aderenza al regime prescritto. Per quanto riguarda i costi, il 65,3% dei centri ha finora offerto gratuitamente le visite, con codice d’esenzione “B01”, tuttavia per le analisi connesse, principalmente per IST (infezioni sessualmente trasmissibili) si possono spendere fino a 150 euro. Fanno eccezione le pochissime regioni, come la Lombardia, che prevedono la gratuità di questi accertamenti. Per quanto riguarda le prospettive future, le persone che hanno espresso grande interesse per la PrEP long-acting sono state quasi l’88% mentre l’interesse per la telemedicina è del 30%. Restano, tuttavia, alcune barriere nell’accesso alla PrEP da analizzare e risolvere: attrarre verso la PrEP anche altre popolazioni chiave, colmare la sproporzione territoriale rispetto alla disponibilità di servizi, basti pensare che il 44% di chi usa la PrEP in Italia si concentra nella sola Milano.
Un’altra indagine, condotta dal centro per la salute sessuale dell’Università di Torino, presentato da Caterina Quarta, ha confermato un target al 95% MSM, un’alta efficacia (nessun caso di HIV dopo un mese di follow up) un aumento delle IST tra chi usa la PrEP non significativo. Anche in questo caso si evidenzia la necessità di ampliare l’utilizzo della profilassi ad altre popolazione-chiave.
Uno studio condotto dall’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo ha invece indagato sulla conoscenza e la percezione di U=U tra 208 utenti PrEP. Ne è risultato che il 91% conosce questa evidenza scientifica ma per l’87% non si fida. Tra le motivazioni principali: non poter aver la certezza che il partner in questione sia davvero undetectable.
Delle barriere che ostacolano il ricorso alla PrEP ad altri gruppi di popolazione, in particolare persone Transgender e donne, ha parlato, nella sua relazione, la Dottoressa Teresa Bini, dirigente medico malattie Infettive dell’Ospedale San Paolo di Milano. Questa l'intervista
U=U, impossibile sbagliare
La presentazione di questo progetto è stata, certamente, tra i momenti più coinvolgenti di ICAR 2023. Per la prima volta, dieci associazioni, tutte insieme, sostenute da SIMIT e ICAR, si accingono a lanciare, per il prossimo settembre, un’iniziativa volta a diffondere il messaggio U=U nella popolazione HIV e nella popolazione generale. “U=U, impossibile sbagliare” è il claim dell’intervento che prevede una campagna informativa, realizzata in collaborazione con l’agenzia “Diversity” di Milano, costituita da uno Spot (video e radio), comunicazioni social, flyer e perfino un sito con tutte le informazioni necessarie.
Ironico, leggero, facile da comprendere, il video, proposto in anteprima alla community, è stato salutato da un applauso lunghissimo, commosso, pieno di entusiasmo. Ad affiancare la campagna ci saranno anche due studi. Il primo sarà realizzato in collaborazione con ICONA ed è volto a valutare l’impatto del messaggio sulla popolazione HIV; Il secondo analizzerà l’impatto della campagna sulla popolazione generale. “L’idea di questo progetto nasce due anni fa, soprattutto su impulso di Massimo Oldrini (ndr: ex Presidente LILA) e di Giulio Corbelli” ha raccontato Massimo Farinella del Mario Mieli di Roma, Presidente della sezione M del Comitato Tecnico Sanitario del Ministero della Salute. Presentato da Daniele Calzavara del Check Point di Milano e da Nicoletta Frattini vicepresidente di ASA, “U=U, impossibile sbagliare” può essere un potente messaggio contro tutti i pregiudizi che ancora gravano sulle persone con HIV: “Le evidenze scientifiche ci sono ormai da tempo e sono incontrovertibili –hanno spiegato- eppure stigma e autostigma sono sempre fortissimi”. Lella Cosmaro, Fondazione LILA Milano e LILA Nazionale, ha fatto parte del gruppo che ha elaborato il progetto e ci spiega tutto in questa intervista.
In particolare, le associazioni che promuovono “U=U, impossibile sbagliare” sono dieci: NADIR ETS ANLAIDS Onlus, ARCIGAY APS, ASA ODV, C.I.C.A ETS, LILA Onlus, MARIO MIELI APS, Milano Check Point ETS, NPS Italia APS, PLUS APS.
Le interviste sono state realizzate da Laura Supino con la regia di Fabio Festa