La lotta all’HIV/AIDS dieci anni dopo la Dichiarazione di Dublino - Conferenza Ministeriale

Titolo: Fight against HIV/AIDS ten years after the Dublin Declaration: Leaving no One Behind – Ending AIDS in Europe
Data: 27 e 28 novembre 2014
Autore: NAM - Traduzione italiana a cura di LILA Onlus

LILA Onlus in collaborazione con NAM, è lieta di fornirti la copertura ufficiale on-line della Conferenza Ministeriale tenutasi a Roma il 27 e 28 novembre 2014, in occasione del semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione Europea. La Conferenza Ministeriale è organizzata congiuntamente dal Ministero della Salute italiano, la Commissione Europea, l'Uffico Regionale per l'Europa dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, il Centro Europeo per la Prevenzione ed il Controllo delle Malattie (ECDC) ed il Programma Congiunto delle Nazioni Unite su Hiv/AIDS (UNAIDS), insieme alle delegazioni dei Paesi membri dell'Unione Europea e degli stati confinanti.

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Il tavolo della Conferenza: Raniero Guerra - neo Direttore della Direzione Generale Prevenzione, Beatrice Lorenzin - Ministro della Salute, Vytenis Andriukaitis - neo Commissario alla Salute dell'Unione Europea e Lella Cosmaro - Civil Society Forum e LILA.

Europa "indietro" sul fronte HIV, e nell'Est l'epidemia cresce

Nella regione Europea le diagnosi di HIV dal 2004 sono aumentate dell'80%, e i tre quarti delle nuove diagnosi si concentrano nell'Est Europa: eppure gli interventi in materia di prevenzione, test e trattamento in quest'area restano insufficienti e non adeguatamente mirati. È quanto emerge da un incontro paneuropeo incentrato sul tema degli standard delle cure per HIV e coinfezioni tenutosi la scorsa settimana a Roma.

Si tratta di un incontro promosso dall'European AIDS Clinical Society, preliminare alla Conferenza Ministeriale su HIV/AIDS organizzata dal Ministero della Salute italiano per rilanciare il tema tra i decisori politici dell'Unione, dieci anni dopo che la Dichiarazione di Dublino del 2004 aveva stabilito un quadro di riferimento per gli interventi da attuare per la gestione dell'emergenza in Est Europa e Asia Centrale.


Le priorità della lotta all'HIV in Europa

Nel suo intervento alla Conferenza, Mark Sprenger dell'European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) ha evidenziato come la regione europea sia in realtà alle prese con due epidemie distinte.
Malgrado la Dichiarazione di Dublino ambisse a fermare e invertire la diffusione dell'HIV nella regione europea, nell'Europa dell'Est dal 2004 il tasso di diagnosi di HIV per 100.000 abitanti è aumentato del 126%, mentre è rimasto stabile nel resto dell'Unione. E l'aumento più consistente si è registrato nella popolazione eterosessuale, il che sta a indicare che l'epidemia tra i consumatori di sostanze stupefacenti per via iniettiva sta causando la trasmissione del virus ai loro partner sessuali.
Per quanto riguarda la popolazione complessiva, il numero delle nuove diagnosi di HIV nell'Unione Europea dal 2004 è rimasto praticamente invariato: dietro questo dato, tuttavia, si cela il fatto che l'epidemia sta cambiando faccia. Infatti le nuove diagnosi, sebbene in calo nella popolazione eterosessuale e tra i consumatori di sostanze per via iniettiva, nella popolazione degli MSM (uomini che fanno sesso con uomini) sono invece aumentate del 33% in questi dieci anni, con un picco osservato tra il 2010 e il 2011. "Nell'Unione Europea, gli MSM sono la priorità numero uno," ha commentato Sprenger.
Sono cinque le priorità d'azione individuate da Sprenger perché si possa invertire l'aumento delle diagnosi di HIV nella regione europea.
La prima sono gli interventi di prevenzione, che devono essere adeguatamente estesi e mirati alle cosiddette popolazioni chiave (MSM, consumatori di sostanze per via iniettiva, migranti, detenuti e sex worker). Questo perché c'è molta disomogeneità nell'erogazione di interventi di riduzione del danno anche all'interno della stessa Unione.
La seconda riguarda invece l'approccio al test HIV, che deve essere offerto in modo più capillare per ridurre le diagnosi tardive. È opportuno che il test sia effettuabile sul territorio ('community testing') quanto più possibile; inoltre occorre che le autorità governative elaborino metodi innovativi per espandere l'adesione al test attuando interventi mirati sulle popolazioni chiave, in cui attualmente – ha rilevato Sprenger – essa rimane ovunque bassa in tutte queste popolazioni.
La terza priorità è ampliare il livello di copertura dei trattamenti antiretrovirali nell'Est Europa, e rendere disponibili, in tutti i Paesi dell'Unione, cure e trattamento anche per i migranti privi di documenti. È necessario che i programmi nazionali facciano aumentare i tassi di diagnosi e soppressione virale, affinché possa realizzarsi appieno il potenziale della terapia come prevenzione (TasP). I tassi di diagnosi sono attualmente ancora troppo bassi, anche nei paesi più virtuosi.
La quarta priorità è il finanziamento su larga scala, in particolare, per l'erogazione di servizi chiave per la prevenzione e la riduzione del danno nella comunità civile.
La quinta è una forte leadership politica sia a livello nazionale che europeo, che mobiliti gli investimenti necessari e contribuisca a far cambiare atteggiamento verso l'HIV.

 

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Alessandra Cerioli, Presidente di LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, e Gervinho, calciatore della Roma ed ambasciatore UNAIDS.

L'obiettivo 90 / 90 / 90: un traguardo possibile nella regione Europea?

Un importante elemento sul fronte della lotta contro l'HIV/AIDS nella regione europea sarà il cosiddetto obiettivo 90/90/90: far sì che il 90% di tutte le persone colpite dall'HIV sia consapevole del proprio status; che il 90% delle persone con diagnosi di HIV riceva il trattamento; e che il 90% delle persone in trattamento raggiunga la soppressione virale. All'incontro di Roma, però, Marina Brostrom di UNAIDS ha denunciato che in molti Paesi europei, tra cui alcuni grandi paesi dell'Europa occidentale, i risultati ottenuti in termini di diagnosi e trattamento dell'infezione da HIV sono inferiori a quelli riportati da alcuni paesi virtuosi dell'Africa sub-sahariana.
Da un'indagine condotta dalla dott.ssa Cristina Oprea del Victor Babes Hospital di Bucarest, Romania, che ha intervistato infettivologi operanti nel campo dell'HIV, emerge per esempio che nell'Est Europa sono bassi sia i livelli stimati di diagnosi HIV, sia l'attuale livello di copertura dei trattamenti antiretrovirali, mentre resta molto diffuso l'impiego di farmaci non più raccomandati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). La dottoressa ha espresso forte scetticismo sull'effettiva possibilità di raggiungere l'obiettivo 90/90/90 in Europa dell'Est e Asia Centrale, ma ha riferito che in Romania si è già raggiunta una copertura pari al 60%, più elevata che in molti paesi anche più ricchi.
Il prof. Andrzej Horban dell'Ospedale di Malattie Infettive di Varsavia, Polonia, si è detto invece ottimista sulla possibilità di centrare l'obiettivo di UNAIDS nella maggior parte dei Paesi dell'Europa centrale, data anche la bassa prevalenza dell'HIV. Per quanto riguarda l'Asia Centrale, l'obiettivo è raggiungibile nel prossimo futuro, mentre in Est Europa – e soprattutto in Russia – i tempi saranno molto più dilatati a causa della mancanza di volontà politica.
"È la mancanza di leadership politica in Est Europa a fare la differenza con l'Africa sub-sahariana", ha commentato il prof. Manuel Battegay, presidente dell'EACS.
All'incontro è stata espressa preoccupazione in merito alla radicata opposizione politica e sociale agli interventi di riduzione del danno per i consumatori di sostanze per via iniettiva e per la profonda riluttanza, in Est Europa, di trattare il consumo di stupefacenti come un problema di salute pubblica, anziché come reato.
"L'ostacolo politico più grande non sono tanto l'HIV o la tubercolosi, quanto il consumo di stupefacenti", ha dichiarato la dott.ssa Fiona Mulcahy del St James's Hospital di Dublino, vice-presidente EACS.
"La stessa comunità scientifica russa è allarmata per la portata del problema, a dimostrazione del fatto che in Russia si è ben consapevoli dell'emergenza HIV", ha commentato Martin Donoghoe, direttore del programma HIV ed epatiti di OMS Europa.
"È importante che nella Regione europea si continui a corroborare con dati scientifici le politiche basate sulle evidenze", ha aggiunto.
Il prof. Jens Lundgren dell'Università di Copenhagen, Danimarca, responsabile di un programma di formazione rivolto ai medici dell'Est Europa per conto dell'EACS, ha rimarcato la necessità che in questa regione si inizi a considerare il trattamento una questione di salute pubblica, come del resto raccomandato da OMS Europa. Per espandere rapidamente il trattamento in Europa dell'Est è innanzitutto necessario semplificare i regimi. Se è disponibile una rosa troppo ampia di regimi tra cui scegliere, i medici hanno più difficoltà a imparare a utilizzare gli antiretrovirali, i costi lievitano e viene a mancare il beneficio economico dell'acquisto di farmaci in grosse quantità, ha spiegato il professore.
È inoltre fondamentale che i programmi di riduzione del danno, trattamenti sostitutivi per la dipendenza da stupefacenti e cure per l'HIV siano integrati tra loro. Attualmente manca nell'Europa dell'Est un sistema integrato di erogazione di tali interventi, con il risultato che molti consumatori di sostanze non vengono mai invitati a sottoporsi al test HIV, non hanno accesso ai trattamenti sostitutivi e, se HIV-positivi, non vengono agganciati al sistema sanitario a causa della totale mancanza di comunicazione e di collegamenti formali tra i programmi. In paesi come Russia, Ucraina, Bielorussa e in generale in Asia Centrale, meno del 5% dei consumatori di sostanze hanno accesso ai trattamenti sostitutivi, e l'offerta di programmi di scambio siringhe è estremamente bassa.
"Bisogna ricordare che anche in Europa occidentale c'è voluto qualche anno prima che gli interventi di riduzione del danno venissero generalmente accettati, perciò dobbiamo perseverare nel dialogo tra esperti", ha puntualizzato Martin Donoghoe di OMS Europa.


Test e diagnosi le maggiori falle nel continuum di cure

All'incontro si è parlato anche delle cosiddette 'treatment cascade', raffrontando i dati relativi alla quota di infezioni diagnosticate, di persone agganciate al sistema sanitario, di persone che restano in cura, di persone che iniziano la ART e di persone che raggiungono la soppressione virale nei vari paesi e nelle varie regioni europee, per individuare eventuali gap nel continuum di cure. Dal confronto è emerso che le performance migliori si osservano in Europa occidentale: in Danimarca, Francia, Regno Unito e Paesi Bassi si stima che abbia raggiunto la soppressione virale una percentuale compresa tra il 52 e il 60% di tutte le persone HIV-positive. UNAIDS ha ora fissato il nuovo obiettivo del 73% di soppressione virale, che potrà essere raggiunto soltanto se miglioreranno i tassi e la frequenza del ricorso al test HIV.
In Europa centro-orientale, invece, si stima che la soppressione virale sia molto inferiore: 19% in Estonia, 20% in Georgia e 25% in Russia. Tassi generalmente bassi, che sono risultato a loro volta di tassi inferiori di diagnosi, mantenimento in cura e inizio della terapia.
"Per mantenere i pazienti nel continuum di cure, per prima cosa occorre che questo continuum di cure esista", ha commentato Tamas Berezcky dell'European AIDS Treatment Group, che ha indicato come principali debolezze la mancanza di interventi atti a diagnosticare l'infezione e ad agganciare alle cure i consumatori di sostanze stupefacenti per via iniettiva da un lato, e il bassissimo livello di copertura dei trattamenti antiretrovirali dall'altro.

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Beatrice Lorenzin, Ministro della Salute, all'apertura della Conferenza.

L'epidemia di tubercolosi nelle persone HIV+ in Est Europa

La mancata integrazione dei servizi sanitari mirati per l'HIV e quelli per la tubercolosi sta contribuendo alla grave emergenza tubercolosi nelle persone HIV-positive in Est Europa, aggravata da un'alta incidenza di tubercolosi multifarmacoresistente. A causarla sono anche prassi terapeutiche diffuse nella regione come l'ospedalizzazione nei due mesi di trattamento intensivo di induzione (che aumenta il rischio di esposizione nosocomiale, ossia in ospedale) e la mancanza di accesso a un prontuario farmaceutico completo per il trattamento empirico della tubercolosi in pazienti con sospetta farmacoresistenza, ha spiegato Daria Podlekareva dell'Università di Copenhagen. Recenti studi condotti dall'ateneo danese hanno riscontrato che sono stati prescritti quattro antitubercolari attivi (come raccomandato dall'OMS) soltanto a meno di metà dei pazienti HIV-positivi con sospetta tubercolosi che hanno ricevuto un trattamento empirico. Il tasso di mortalità tra le persone HIV-positive a cui viene diagnosticata la tubercolosi in Est Europa è oltre due volte più elevato che in Europa occidentale o America latina, in gran parte a causa di mancate diagnosi, non disponibilità della terapia antiretrovirale ed elevata presenza di ceppi multifarmacoresistenti.


Epatite C, emergenza medica e problema economico

Un altro tema trattato all'incontro è stato quello delle barriere che impediscono l'accesso al trattamento per l'epatite C alle persone con coinfezione HIV/HCV nella regione europea. I bassi tassi di diagnosi fanno sì che molti pazienti apprendano di aver contratto l'infezione soltanto all'insorgere di una grave patologia epatica. Malgrado le raccomandazioni dell'EACS e dell'European Association for the Study of the Liver (EASL) per il trattamento dei pazienti con patologie epatiche in stadio avanzato (F3 e F4), l'accesso ai nuovi antivirali ad azione diretta resta limitato a causa dei costi elevati e della lentezza delle procedure decisionali relative ai rimborsi.
"Abbiamo bisogno che prendiate pubblicamente posizione al nostro fianco, per il bene della salute pubblica e dei pazienti, lasciando che a occuparsi dei costi siano i soggetti terzi paganti. Occorre che la politica compia un'azione di controllo", ha detto Luis Mendão dell'EATG. "Dobbiamo seguire la strada tracciata da Joep Lange nell'attivismo per l'accesso al trattamento HIV, e combattere perché il trattamento per l'epatite C sia accessibile a tutti", ha aggiunto la dott.ssa Annemarie Wensing del Centro Medico Universitario di Utrecht, Paesi Bassi.

 

Presentazioni

Il messaggio d'apertura della società civile, presentato alla Conferenza da Lella Cosmaro, Co-Chair dell'EU HIV Civil Society Forum, è disponibile a questi link nella versione in italiano ed in inglese.

Il comunicato stampa del Forum della Società Civile Europea su Hiv ed Aids, è disponibile a questo indirizzo.

Il resoconto dell'incontro tra il Commissario Europeo per la Salute e la Sicurezza Alimentare, Vytenis Andriukaitis, ed i rappresentanti del Civil Society Forum on HIV/AIDS (CSF) è disponibile a questo indirizzo.

 

From Dublin to Rome: 10 years of the HIV epidemic and response in Europe
Marc Sprenger - Director ECDC 

The WHO Response to HIV/AIDS in the European Region
Nedret Emiroglu - WHO Regional Office for Europe

Leaving No One Behind
Ton Coenen - executive director Aids Fonds & Soa Aids Nederland

Everyone, Everywhere, how can we ensure that no one is left behind in Europe?
Simone Marcotullio - Vice-President, Nadir

Access to Services and Rights for sex workers
TAMPEP - European Network for HIV/STI Prevention and Health Promotion among Migrant Sex Workers

Standards of Care for HIV and Co-infections
Nikos Dedes - EATG

Ensuring Access to Affordable Innovative Medicines for HIV and Co-infections
John F. Ryan - Acting Director Public Health Directorate - EC DGSANCO

Treatment Cascade Across Europe
Martin Donoghoe - Programme Manager, WHO Regional Office for Europe HIV/AIDS, STIs and viral hepatitis

PrEP in France
Francesca Belli - International Advocacy Manager AIDES

Shared responsibility, global solidarity - Role and contribution of the Global Fund
Christoph Benn - Director of External Relations

From HIV to Global Health
Stefano Vella - Istituto Superiore di Sanità

AIDS: A heavy toll so far... but hope ahead
Luiz Loures, Deputy Executive Director UNAIDS

 

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