LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, in collaborazione con NAM, è lieta di fornirti la copertura scientifica ufficiale on-line della 16° Conferenza Europea sull'AIDS (EACS2017), che si è tenuta a Milano dal 25 al 27 ottobre 2017.
TERZO BOLLETTINO
Come si spiega il drastico calo delle diagnosi di HIV in Inghilterra
In alcuni paesi europei si sta rapidamente diffondendo tra gli uomini che fanno sesso con uomini (MSM) un nuovo atteggiamento sia nei confronti del test HIV sia per quanto riguarda la disponibilità a intraprendere i trattamenti antiretrovirali, il che potrebbe aprire la strada a nuove possibilità per ridurre l’incidenza HIV: se ne è discusso alla 16° Conferenza Europea sull’AIDS (EACS 2017) tenutasi lo scorso mese a Milano.
Questo risultato si deve a una serie di fattori, tra cui il maggior numero di campagne di promozione per l’adesione al test, la diffusione di nuove tecnologie diagnostiche come i dispositivi di autoprelievo (self-sampling), l’inizio più tempestivo del trattamento e una maggiore consapevolezza che con una carica virale non rilevabile il virus non viene trasmesso.
Uno dei primi paesi in cui è stato documentato questo cambio di rotta è l’Inghilterra, dove dal 2014 si è registrata una drastica riduzione del numero di nuove infezioni da HIV negli MSM.
Il dott. Noel Gill di Public Health England ha riferito infatti alla Conferenza che, dopo il picco del 2014, le diagnosi di HIV a Londra sono diminuite del 65%, ma anche fuori dalla capitale si è registrato un calo del 48%.
Il dott. Gill ha individuato tre fondamentali fattori alla base di questo calo:
- Rispetto al 2011 sono aumentati del 50% i maschi gay che si rivolgono ai presidi sanitari specializzati per le infezioni sessualmente trasmissibili (IST);
- È aumentata anche la frequenza con cui i maschi gay eseguono il test HIV, che tocca oggi in media le 2,5 volte all’anno;
- Il 90% di coloro che risultano positivi al test iniziano la terapia antiretrovirale entro un anno dalla diagnosi.
Secondo lo studioso, le nuove infezioni da HIV potrebbero diminuire ulteriormente se si fissasse un nuovo obiettivo 90-90, con il 90% delle persone che risultano positive al test HIV che iniziano le terapie entro i 90 giorni dalla diagnosi.
Alla Conferenza si è parlato anche di uno dei più frequentati centri per la salute sessuale di Londra, che negli ultimi anni ha messo a punto dei servizi specificamente mirati per poter eseguire un numero sempre più elevato di test e incoraggiare una cultura di regolare screening della salute sessuale.
In Svizzera, invece, è stato osservato un declino nel ricorso regolare al preservativo da parte degli MSM che sembrerebbe essere correlato alla disponibilità di nuove informazioni su rischio di trasmissione dell’HIV, carica virale non rilevabile ed efficacia della profilassi pre-esposizione (PrEP).
La Svizzera è stato il primo paese in cui le evidenze scientifiche sull’impatto della carica virale non rilevabile sul rischio di trasmissione sessuale dell’HIV sono state concretamente tradotte in consigli per il personale sanitario e le persone con HIV stesse. Già nel gennaio 2008 alcuni esperti svizzeri avevano affermato che il virus non si trasmette attraverso rapporti sessuali con persone che hanno una carica virale non rilevabile e che non presentano altre IST.
Uno studio condotto dallo Swiss HIV Cohort Study (il programma svizzero di coordinamento degli studi sull’HIV) ha evidenziato un calo nell’impiego regolare del preservativo da parte degli MSM dopo il 2008, calo che si è fatto ancora più marcato dopo che sono stati resi noti i risultati degli studi PARTNER, PROUD e Ipergay.
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Resoconto completo sul calo delle diagnosi di HIV tra i maschi gay in Inghilterra dal 2014 su aidsmap.com
Resoconto completo sull’esperienza della clinica londinese dove si è riusciti a ridurre del 90% le infezioni da HIV su aidsmap.com
Resoconto completo sullo studio svizzero sul calo nell’impiego regolare del preservativo da parte degli MSM su aidsmap.com
PrEP e PEP, potrebbe essercene bisogno anche quando il partner ha carica virale non rilevabile
Negli studi PARTNER e PARTNER 2 si è riscontrata un’elevata incidenza HIV tra i maschi gay inizialmente HIV-negativi dovuta a rapporti sessuali con persone diverse dal partner abituale, soprattutto quando si trattava di rapporti anali non protetti, è stato spiegato alla Conferenza.
Lo studio PARTNER è salito agli onori della cronaca prima nel 2014 e poi di nuovo nel 2016, quando gli autori hanno confermato che non si erano verificati eventi di trasmissione da parte di un partner HIV-positivo che assumesse le terapie e avesse ottenuto la soppressione virale, in un numero di rapporti sessuali non protetti che al 2016 è stato stimato pari a 58.213. Sulla base di questi dati, i ricercatori hanno potuto stabilire una soglia di probabilità massima di trasmissione e annunciare che – con tutta probabilità – l’eventualità che un partner HIV-positivo in completa soppressione virale, con carica virale inferiore alle 200 copie/ml, potesse trasmettere il virus era pari a zero o comunque statisticamente indistinguibile dallo zero.
PARTNER e altri studi come Opposites Attract e HPTN 052 hanno fornito le evidenze scientifiche su cui è basato il successo delle strategie di TasP (‘terapia/trattamento come prevenzione’) e la tesi “irrilevabile = intrasmissibile” su cui è stata imperniata la campagna U=U (Undetectable = Untransmittable).
E tuttavia, degli eventi di trasmissione nei partecipanti a PARTNER si sono effettivamente verificati: al 2016 erano in tutto undici, di cui dieci riguardavano maschi gay. In tutti questi casi, comunque, l’analisi filogenetica ha dimostrato che il virus non poteva essere stato trasmesso dal partner abituale.
Il ricorso alla profilassi post-esposizione (PEP) e pre-esposizione (PrEP) da parte dei partecipanti HIV-negativi è stato molto scarso, malgrado il fatto che circa un terzo di loro riferisse di aver avuto rapporti anali non protetti con persone che non erano il partner abituale.
Presentando i risultati dello studio, Valentina Cambiano dell’University College di Londra ha commentato che lo scarso ricorso a PEP e PrEP e l’alta incidenza di trasmissione dell’HIV osservata nei rapporti sessuali con partner diversi da quello abituale è motivo di preoccupazione.
"Quando si discute con gli MSM [uomini che fanno sesso con uomini] HIV-negativi dell’eventuale eleggibilità alla PrEP occorre chiarire che questo riguarda tutti i rapporti sessuali e far presente tutte le possibili modalità di assunzione del trattamento”, ha aggiunto la studiosa.
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L’EACS consiglia il vaccino anti-HPV
L’European AIDS Clinical Society (EACS) ha raccomandato la vaccinazione per l’HPV (papilloma virus umano) per tutte le persone con HIV al di sotto dei 26 anni e per tutti gli MSM (uomini che fanno sesso con uomini) fino ai 40 anni.
L’HPV è un virus a trasmissione sessuale che causa verruche genitali e, in talune forme, conduce allo sviluppo di tumori cervicali, anali e orofaringei. Il tumore anale è raro nella popolazione generale, ma si sta diffondendo sempre di più tra le persone con HIV, e soprattutto tra gli MSM.
Deborah Konopnicki del St Pierre University Hospital di Bruxelles ha presentato alla Conferenza una revisione delle prove di efficacia a sostegno dell’opportunità di vaccinare le persone con HIV per l’HPV.
Lo screening per le forme tumorali legate all’HPV è disomogeneo e, per quanto riguarda il tumore anale, la scelta della modalità di screening è ancora oggetto di discussione, ha osservato la studiosa. Per quanto riguarda i tumori orofaringei causati dall’HPV, invece, ancora non è chiaro se lo screening sia effettivamente efficace.
Per giungere a queste raccomandazioni, EACS ha considerato diversi aspetti specifici per l’HIV:
- Il vaccino offre protezione alle persone più avanti con l’età, che hanno maggiori probabilità di essere già state esposte all’HIV?
- Il vaccino offre un’effettiva protezione alle persone che sono già state esposte all’HPV?
- Quale piano di vaccinazione è più opportuno, e quale vaccino è da preferirsi?
Esiste un solo studio, denominato ACTG 5298, che abbia valutato gli effetti della vaccinazione contro l’infezione da HPV negli adulti con HIV. Dai risultati era emerso che, in un gruppo di popolazione prevalentemente maschile con età mediana di 47 anni, la vaccinazione non era in grado di ridurre l’infezione persistente da HPV.
Sulla base di questi dati, l’EACS raccomanda dunque che venga offerto il vaccino per l’HPV alle persone con HIV di età uguale o inferiore ai 26 anni. L’EACS si è allineata anche alla British HIV Association nel raccomandare la vaccinazione per tutti gli MSM con meno di 40 anni. Le linee guida precedenti, pubblicate nel 2015, si limitavano a raccomandare ai medici di seguire le linee guida nazionali sulla vaccinazione per l’HPV.
Sebbene la posizione dell’EACS sia che il vaccino ha un’efficacia dubbia nelle persone già esposte all’HPV, secondo Deborah Konopnicki resta comunque plausibile che la vaccinazione possa aumentare la protezione contro le patologie correlate al virus.
Lo studio ACTG A5240 ha riscontrato che in donne con sieropositività a qualsiasi tipo di papilloma virus che assumevano il vaccino quadrivalente si verificava un considerevole aumento del titolo anticorpale (ossia dei livelli di anticorpi) (+1.5 log10 IU/ml).
Altri studi su donne HIV-negative e MSM hanno trovato evidenze che, vaccinandosi dopo aver effettuato un trattamento per lesioni anali o cervicali associate all’HPV, si possa ridurre la probabilità che tali lesioni ricompaiano. Sono attualmente in corso due studi che probabilmente aiuteranno a vederci più chiaro sul ruolo della vaccinazione nella prevenzione delle recidive nelle persone con HIV.
Il vaccino genera una maggiore risposta anticorpale nelle donne con HIV che hanno già una carica virale HIV non rilevabile al momento della prima vaccinazione, probabilmente perché la soppressione virale consente il ripristino delle difese immunitarie.
L’EACS raccomanda, se disponibile, il vaccino nonavalente (efficace contro i nove tipi più comuni di HPV). Come sottolineato dalla dott.ssa Konopnicki, non ci sono prove che nelle persone con HIV sia consigliabile adottare un piano di vaccinazione che preveda la somministrazione di meno di tre dosi, anche se svariati studi su giovani donne comprovano che una singola dose di vaccino sia immunogenica quanto la somministrazione di dosi ripetute.
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Nessun aumento nell’uso della PrEP in Europa nell’ultimo anno
Un’indagine sugli uomini che fanno sesso con uomini (MSM) condotta dal Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC) in collaborazione con il sito per incontri gay Hornet ha riscontrato che l’uso della profilassi pre-esposizione (PrEP), in media, è rimasto invariato rispetto a quanto emergeva da un’indagine similare condotta un anno prima.
Il 10% dei partecipanti riferiva di assumere la PrEP al momento dell’indagine, anche se è un dato che oscillava da quasi zero in alcuni paesi al 17% in Ucraina.
I partecipanti erano in genere giovani: il 75% sotto i 40 anni d’età e il 28% sotto i 25. A circa la metà di loro, la PrEP era stata prescritta da un medico, mentre il resto comprava i farmaci online o se li faceva passare da amici o li otteneva richiedendo la profilassi post-esposizione (PEP).
Anche se la PrEP viene pian piano introdotta in sempre più paesi, i progressi sono ancora lenti, ha commentato Teymur Noori dell’ECDC. L’ostacolo più rilevante alla diffusione della PrEP, quello che viene citato più di ogni altro, è senza dubbio il costo: per ben due terzi di 36 nazioni UE/SEE, la PrEP ha costi proibitivi. Ma dall’indagine emerge che, quando i sistemi sanitari nazionali non sono disposti a investire su questi farmaci, gli MSM in tutta la regione europea tentano di procurarseli attraverso altri canali.
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Svizzera, strategia ‘test-and-treat’ per l’epatite C
Una strategia sistematica basata sull’approccio ‘test-and-treat’ ha consentito la guarigione nell’arco di otto mesi del 99% degli uomini che fanno sesso con uomini (MSM) affetti da epatite C facenti parte dello Swiss HIV Cohort Study, riducendo la prevalenza di epatite C di oltre i due terzi: sono i dati riferiti alla Conferenza da Dominique Braun dello University Hospital di Zurigo.
Per frenare la trasmissione e ridurre la prevalenza del virus dell’epatite C (HCV) è necessario che diminuiscano da un lato le persone con infezione cronica da HCV e dall’altro i comportamenti a rischio. Il chemsex – e soprattutto il consumo di stupefacenti e l’uso promiscuo di aghi e siringhe durante i rapporti sessuali – e il sesso di gruppo giocano un ruolo non indifferente nell’aumento dei casi di epatite C tra gli MSM.
All’interno dello Swiss HIV Cohort Study la prevalenza HCV tra gli MSM era aumentata di 20 volte rispetto al 1996, e l’aumento si è fatto particolarmente pronunciato dal 2008 – in linea con quanto osservato in altri paesi dell’Europa occidentale.
I ricercatori svizzeri hanno ideato uno studio d’intervento mirato a diagnosticare l’infezione da HCV in tutti gli MSM con co-infezione HIV/HCV già in cura per l’HIV in Svizzera, sottoporre a trattamento tutti quelli con genotipo HCV 1 o 4 e prevenire la trasmissione e la reinfezione andando a intervenire sul comportamento.
A tutti gli uomini con un’infezione da genotipo 1 o 4 è stato offerto di iniziare immediatamente un ciclo di trattamento a base di grazoprevir/elbasvir (Zepatier), con o senza ribavirina, per un lasso di tempo variabile a seconda del genotipo, dei trattamenti già effettuati in precedenza e del profilo di resistenza al basale.
Dei 177 individui con diagnosi di infezione cronica da HCV, 122 hanno partecipato allo studio (34 hanno ricevuto il trattamento altrove, 11 avevano un genotipo diverso da 1 o 4, per 6 il trattamento presentava controindicazioni, e i restanti sono stati persi al follow-up oppure non hanno voluto partecipare).
Tutti i partecipanti tranne uno sono guariti dall’infezione da HCV e non sono stati riferiti eventi avversi correlati all’assunzione dei farmaci.
Sessantotto uomini arruolati per lo studio hanno riferito di aver avuto rapporti sessuali non protetti con partner occasionali. Di questi, 51 hanno accettato di partecipare a un programma comportamentale in quattro incontri elaborato dalla prof.ssa Dunja Nicca dell’Università di Zurigo, che si è tenuto parallelamente alla fase di trattamento.
Il primo incontro era focalizzato sulla risposta emotiva dei partecipanti ai problemi relativi al comportamento sessuale; il secondo, sull’individuazione di soluzioni personalizzate; il terzo, sull’elaborazione di un piano personale di riduzione del rischio; il quarto, infine, si teneva dopo la conclusione del trattamento ed era dedicato a una riflessione sulla guarigione dall’HCV e sui comportamenti da tenere per evitare la reinfezione.
Complessivamente, il tasso di completamento del programma comportamentale è stato del 90%. Ad oggi, non sono stati riportati casi di reinfezione tra i partecipanti.
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