LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, in collaborazione con NAM, è lieta di fornirti la copertura scientifica ufficiale on-line della XXII Conferenza Internazionale sull’AIDS - AIDS2018, in corso ad Amsterdam dal 23 al 27 luglio 2018.
QUARTO BOLLETTINO - 27 LUGLIO
Africa: i progressi nella lotta all’HIV non tengono il passo vista la crescita della popolazione giovanile
L’Africa è ancora lontana dall’obiettivo di ridurre le nuove infezioni da HIV tra i bambini e i giovani, ed è improbabile che possa ridurre le nuove infezioni tra i giovani in modo significativo prima del 2030 a causa del raddoppiamento della popolazione adolescenziale, secondo i risultati di un modello dell’UNICEF presentato alla 22° Conferenza Internazionale sull’AIDS (AIDS 2018).
La popolazione di persone di età compresa tra i 15 e i 24 anni che vivono in Africa sub-sahariana sarà pressoché il doppio di quella attuale entro il 2050, mentre scenderà o rimarrà stabile in qualunque altra regione del mondo.
Lo studio ha riscontrato che, sebbene il numero di nuove infezioni tra i bambini sotto i cinque anni si dimezzerà prima del 2030 a 140.000 all’anno, se il trend sarà quello attuale, i nuovi casi tra gli adolescenti tra i 15 e i 19 anni non si dimezzeranno almeno fino al 2050 e aumenteranno ancora al ritmo di circa 200.000 all’anno nel 2030.
Il modello ha inoltre indagato su cosa potrebbe accadere se si raggiungessero gli obiettivi Fast Track per la riduzione dell’incidenza dell’HIV e la copertura del trattamento entro il 2020 (81% di copertura) e il 2030 (del 90%). La realizzazione di tali obiettivi avrà un impatto più significativo per i nuovi casi tra gli adolescenti. Invece sulla scia dell’attuale trend, se si riuscisse ad ottenere il 90% della copertura del trattamento, le nuove infezioni tra le ragazze adolescenti scenderebbero al 42% entro il 2030 e i nuovi casi calerebbero dell’83% entro il 2030.
Ma la ricerca ha anche appurato che quei paesi sono ben lontani dall'attuazione dei target del 2020, a prescindere da quelli del 2030, suggerendo quanto sia altamente improbabile che si ponga fine al trend attuale a meno che si facciano sforzi considerevoli per raggiungere gli adolescenti e prevenire nuove infezioni tra i bambini.
Fermare l’HIV tra gli uomini omosessuali: cosa funziona
Cali sostanziali nelle diagnosi di HIV in alcune città chiave mostrano il modo per eliminare le nuove infezioni tra gli uomini omosessuali, secondo un workshop presentato alla Conferenza AIDS 2018.
Personale del sistema nazionale sanitario, clinici e leader sociali hanno presentato i dati relativi alle città di Sydney, Londra e New York, che hanno evidenziato riduzioni considerevoli delle nuove diagnosi tra gli uomini omosessuali. Inoltre ciascuna città ha messo in risalto i gruppi che hanno più o meno beneficiato di tale declino, dando spunti per nuove modalità in cui un programma di prevenzione combinata potrebbe essere mirato e ottimizzato.
I fattori chiave condivisi dalle città comprendevano: la percentuale dei test effettuati; campagne per il test; miglioramento del flusso e della qualità dei dati in tempo reale; coinvolgimento degli stakeholder tra cui i clinici e le comunità; l’accesso precoce al trattamento; la disponibilità della profilassi pre-esposizione (PrEP). La leadership politica a tutti i livelli era un altro fattore posto in risalto.
La società civile sotto minaccia
Le Organizzazioni della Società Civile (CSOs) che forniscono servizi e supporto per le popolazioni chiave e per le persone che vivono con l’HIV sono sempre di più sotto attacco da parte dei regimi governativi repressivi in tutto il mondo, hanno dichiarato alcuni delegati alla Conferenza AIDS 2018.
Relatori provenienti da Ungheria, Russia, Venezuela, Kenya e Filippine hanno delineato i modi in cui hanno fatto fronte non solo ai tagli finanziari ma anche alle interferenze dei governi nei loro sforzi per contrastare l’HIV e sostenere gli MSM (maschi che fanno sesso con maschi), le persone che fanno uso di droghe, i/le sex workers e le altre popolazioni vulnerabili.
Peter Sarosi, di Rights Reporter Foundation, ha parlato delle repentine riduzioni delle libertà civili sotto il regime di Orban in Ungheria. Sia lì, sia in Russia e in Kenya, le Organizzazioni Civili che ricevono finanziamenti da donatori esteri sono obbligate a registrarsi come ‘agenti stranieri’, il che comporta uno stigma sociale e scoraggia altri a collaborare con loro. La strategia ungherese sulla droga non riconosce più la riduzione del danno e i due principali servizi di scambio di siringhe sono stati costretti a chiudere.
Alberto Nieves, di Acción Ciudadana Contra el SIDA, ha descritto una situazione alquanto differente in Venezuela, dove il paese sta affrontando una complessa emergenza politica ed economica. Il sistema sanitario è nel caos ed è passato dall’avere il programma di trattamento dell’HIV migliore in America Latina a non averne alcuno, lasciando le persone con HIV in pericolo di vita.
L’avvocato Saoyo Tabitha Griffith ha esposto la situazione in Kenya, paese in cui le Organizzazioni Civili non possono operare se non sono registrate. La cancellazione è una pratica comune e ad alcune organizzazioni è stata rifiutata la registrazione, in particolare a quelle che supportano le comunità LGBT. Per difendere le Organizzazioni Civili del Kenya sono stati utili gli accertamenti internazionali, soprattutto da parte delle Nazioni Unite.
Primo studio randomizzato sulla cura definitiva dell’HIV fallisce nell’eliminazione delle cellule infette
Uno studio i cui risultati erano molto attesi alla Conferenza Internazionale sull’AIDS quest’anno era lo studio RIVER.
E’ stato il primo studio ad aggiungere al trattamento standard per l’HIV un vaccino terapeutico volto a ridurre il numero di cellule latenti del sistema immunitario che custodiscono il virus, chiamate ‘reservoir’ dell’HIV.
Una delle strategie prese in considerazione dai ricercatori quale strada verso una cura definitiva dell’HIV, è stata il cosiddetto approccio “calci e uccisioni” (“kick and kill”). L’ipotesi dietro a questa strategia è che il problema sia l’invisibilità delle cellule nei reservoir. Se queste fossero attive e diventassero visibili, sarebbe possibile cominciare ad eliminarle, e i reservoir dell’HIV inizierebbero a ridursi.
Una terapia che possa produrre riduzioni abbastanza significative nei reservoir potrebbe portare a un regresso o a una cura dell’HIV.
In sintesi, lo studio RIVER non ha raggiunto gli obiettivi desiderati: non ha ridotto la quantità di cellule nel corpo che contengono i geni dell’HIV. Esso ha comunque stimolato una risposta anti-HIV e ha causato l’attivazione di alcune cellule dormienti contenenti il virus e dunque in teoria le ha rese visibili al sistema immunitario, ma questi due effetti non sono riusciti a sterminarle.
I luoghi del consumo controllato di droga offrono delle opportunità per il test e il trattamento dell’Epatite C
La maggior parte delle strutture per il consumo controllato di droga offrono il test per il virus dell’epatite C e indicazioni per le strutture specializzate nella cura, ma sono molto poche quelle che prevedono direttamente il trattamento. Ciò suggerisce che queste potenzialmente potrebbero giocare un ruolo maggiore nel limitare la trasmissione e gli effetti negativi sulla salute collegati all’epatite C, secondo quanto riferito alla Conferenza.
HCV, l’Epatite B (HBV) e l’HIV sono facilmente trasmissibili attraverso gli strumenti iniettivi condivisi per l’uso di droga, e si registrano alti tassi di queste infezioni tra le persone che consumano droga per via endovenosa.
L’arrivo di efficaci e ben tollerati farmaci antivirali ad azione diretta (DAA) offre la possibilità di estendere il trattamento dell’epatite C.
Un’altra crescente preoccupazione è l’overdose, aggravata dall’introduzione del fentanyl e altri oppioidi che risultano molto più forti dell’eroina. Le stanze per il consumo controllato di droga, presenti in molti paesi, permettono alle persone di assumere le droghe sotto lo sguardo di personale qualificato, che può somministrare naloxone (Narcan) in caso di overdose di oppioidi. Ci sono attualmente circa 100 luoghi per il consumo controllato in tutto il mondo, la maggior parte dei quali in Europa.
Eberhard Schatz, del De Regenboog Groep ad Amsterdam, ha mostrato i risultati di uno studio che ha osservato i diversi tipi di test per l’epatite C, il trattamento e altri servizi sanitari e di supporto che vengono forniti da quasi 50 strutture per il consumo di droghe.
Due terzi dei luoghi sotto esame offrivano il test per l’epatite C in loco e servizi di counselling pre e post test. Un quarto delle strutture fornivano anche il monitoraggio per la salute del fegato, ma solo due sedi prevedevano il trattamento per l’HCV in loco.
I ricercatori hanno concluso che le stanze per il consumo di droghe “Dovrebbero essere considerate come un servizio, su base locale, per il trattamento dell’HCV di livello minimo per le persone che usano droghe per via endovenosa; si dovrebbero ricercare soluzioni innovative”.
Il sarcoma di Kaposi rimane una preoccupazione per le persone con HIV
Una piccola porzione di persone che vivono con l’HIV continua a sviluppare il sarcoma di Kaposi (KS), un tumore collegato alla immunosoppressione, secondo studi presentati la scorsa settimana alla Conferenza AIDS 2018.
Il Sarcoma di Kaposi, un tempo spesso riscontrato tra le persone con un numero molto basso di CD4, scese drasticamente con l’avvento delle terapie antiretrovirali (ART) efficaci. Eppure esso rimane il tumore più comune associato all’AIDS.
Una ricerca presentata alla Conferenza, basata su dati provenienti dalla Francia, ha riscontrato che alcune persone sviluppano nuovi sarcomi di Kaposi o recidive del tumore anche dopo aver iniziato la terapia ART e aver avuto un aumento dei CD4. Quasi la metà delle persone nello studio, che avevano ricevuto una diagnosi di sarcoma Kaposi, avevano una conta dei CD4 superiore a 500, solo il 19% aveva una conta dei CD4 sotto i 200.
Un secondo studio ha osservato una sacca di alta prevalenza di KS tra uomini afro-americani nel sud degli Stati Uniti. Alla richiesta di fare delle ipotesi sulle ragioni la chair, Elizabeth Chiao, ha suggerito che gli uomini neri nel sud, e soprattutto i giovani, potrebbero avere meno accesso al test dell’HIV e alle cure.
Focolai di HIV tra le persone che usano droga per via iniettiva
Dal 2011 si sono registrate rapide ondate di trasmissioni tra le persone che fanno uso di droghe per via endovenosa ad Atene, Bucarest, Dublino, Glasgow, Lussemburgo, Tel Aviv, Saskatchewan (Canada) e Scott County (Indiana, USA).
Si sono tutte verificate in contesti in cui dovrebbero essere disponibili risorse sufficienti a prevenire l’epidemia, ha riportato un gruppo di funzionari di salute pubblica alla Conferenza AIDS 2018.
I piani di prevenzione combinati per chi si inietta droga consistono in programmi di scambio degli aghi e delle siringhe, terapie di sostituzione degli oppiacei e il trattamento per l’HIV. Nei contesti in cui la prevenzione di combinazione è stata applicata nella giusta misura, essa ha evitato l’epidemia.
La più grande ondata si è verificata a Bucarest e Atene, con circa 1100 nuove infezioni in ogni città.
Ad Atene erano molto pochi i servizi di riduzione del danno disponibili. A Scott County, i programmi di scambio di aghi e siringhe erano illegali, mentre la terapia sostitutiva e quella per l’HIV non erano disponibili nella zona. A causa dell’interruzione dei finanziamenti del Fondo Globale alla Romania, molti programmi di scambio di aghi e siringhe sono stati chiusi a Bucarest.
In ciascuna ondata, le autorità degli enti sanitari hanno ampliato la disponibilità degli interventi di prevenzione, tuttavia non sempre è stata raggiunta una copertura completa.
Gli autori sottolineano l’importanza di raggiungere un’alta copertura della prevenzione di combinazione, sostenendola, e adattando i servizi ai modelli mutevoli del consumo di droga. “La noncuranza verso la prevenzione dell’HIV sta emergendo come importante minaccia al successo della prevenzione combinata dell’HIV per le persone che consumano droghe per via iniettiva.”
HIV associato a un rischio più alto di arresto cardiaco
Avere il virus dell’HIV è associato a un rischio significativamente superiore di sviluppare un arresto cardiaco, ma le ragioni non sono ancora chiare, secondo una presentazione alla Conferenza AIDS 2018 lo scorso 27 luglio.
Molti studi hanno indagato le malattie cardiovascolari tra le persone che vivono con l’HIV, di solito collegate allo sviluppo dell’aterosclerosi e di malattie dell’arteria coronaria, le quali possono bloccare il flusso del sangue e portare a infarto del miocardio e ictus. E’ risaputo che l’infezione da HIV è associata con un rischio superiore di eventi di aterosclerosi cardiovascolare.
Questo studio, invece, focalizza l’attenzione sull’arresto cardiaco o l’incapacità del muscolo del cuore di pompare adeguatamente il sangue, eventi non ancora studiati in modo approfondito.
Il gruppo di ricerca ha analizzato l’arresto cardiaco e i possibili fattori favorenti nelle persone con HIV in Northern California, Southern California e negli stati del Medio Atlantico, tra il 2000 e il 2016. Sono stati identificati i pazienti idonei, che non avevano avuto eventi di arresto cardiaco, collegandoli in rapporto 10 a 1 con persone HIV-negative. La popolazione finale dello studio comprendeva 38.868 persone con HIV e 386.586 partecipanti negativi.
Le persone HIV positive avevano una percentuale di arresti cardiaci sensibilmente superiore rispetto ai partecipanti negativi, nonostante presentassero minori fattori di rischio cardiovascolari. Di conseguenza, gli studiosi hanno dedotto che l’arresto cardiaco tra le persone che vivono con l’HIV non sembra essere collegato a sviluppi di aterosclerosi o all’accumulo di placche (depositi) nelle arterie.