LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, in collaborazione con NAM, è lieta di fornirti la copertura scientifica ufficiale on-line della X Conferenza IAS sull'Hiv - IAS 2019, che si terrà a Città del Messico dal 21 al 24 luglio 2019.
QUARTO BOLLETTINO
Regime a due farmaci con dolutegravir efficace sia per il trattamento di prima linea che come terapia di mantenimento
In un gruppo di pazienti che assumevano per la prima volta la terapia antiretrovirale trattati con una combinazione di dolutegravir e lamivudina le probabilità di avere una carica virale non rilevabile dopo 96 settimane sono risultate molto simili a quelle di un braccio di controllo trattato con la terapia standard a tre farmaci. Il regime si è mostrato anche in grado di mantenere la soppressione virale in pazienti che effettuavano uno switch terapeutico da un regime standard.
Sono i risultati degli studi GEMINI e TANGO http://aidsmap.com/news/jul-2019/dolutegravir-dual-therapy-works-well-both-first-line-and-maintenance-treatment, presentati alla Conferenza sull’HIV dell’International AIDS Society (IAS 2019) tenutasi la scorsa settimana a Città del Messico.
Quella per l’HIV è una terapia che si deve seguire a vita, e ridurre il numero di farmaci da assumere può consentire di limitare gli effetti collaterali e ridurre i costi. Perché una duplice terapia sia efficace, tuttavia, servono farmaci abbastanza potenti da mantenere la completa soppressione virale e al contempo prevenire lo sviluppo di farmacoresistenze.
GEMINI 1 e 2 sono due sperimentazioni cliniche di fase III attualmente ancora in corso, per le quali sono state reclutate 1433 persone in Europa, nelle Americhe, in Asia, Australia, Russia e Sudafrica. Tutti iniziavano la terapia antiretrovirale per la prima volta. I partecipanti sono stati randomizzati per ricevere la combinazione dolutegravir più lamivudina – gli antiretrovirali contenuti nella coformulazione Dovato – oppure dolutegravir più tenofovir disoproxil fumarato (TDF) ed emtricitabina.
Il dott. Pedro Cahn ha presentato i risultati a 96 settimane: si è ottenuta la soppressione virale nell’86,0% dei pazienti del gruppo dolutegravir/lamivudina, contro l’89,5% del gruppo dolutegravir/TDF/emtricitabina. Il regime a due farmaci ha dunque dato prova di non inferiorità rispetto a quello a tre farmaci.
Alla Conferenza sono stati riferiti anche i risultati di TANGO, un’altra sperimentazione di fase III ancora in corso, questa però mirata a testare l’efficacia dello switch terapeutico a un regime con dolutegravir e lamivudina a dosaggio fisso, con un braccio di controllo i cui componenti invece continuavano ad assumere un regime a tre o quattro farmaci comprendente il tenofovir alafenamide fumarato (TAF), la nuova formulazione del tenofovir.
Per TANGO sono stati arruolati 741 partecipanti in Europa, America settentrionale, Australia e Giappone. I partecipanti sono stati randomizzati o per effettuare lo switch al regime con dolutegravir/lamivudina o continuare ad assumere quello contenente TAF. Dopo 48 settimane, risultavano aver mantenuto la soppressione virale il 93,2% dei pazienti passati al regime con dolutegravir/lamivudina e il 93,0% di quelli che avevano continuato ad assumere quello con TAF: anche in questo caso si sono dunque soddisfatti i criteri di non-inferiorità prestabiliti.
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Abstract dello studio GEMINI sul sito ufficiale di IAS 2019
Abstract dello studio TANGO sul sito ufficiale di IAS 2019
Si possono ridurre le infezioni tra le giovani donne africane integrando i servizi per la prevenzione HIV con quelli per la contraccezione?
Il mese scorso sono stati pubblicati i risultati di ECHO (Evidence for Contraceptive Options and HIV Outcomes), uno studio che rappresenta una pietra miliare delle ricerche in materia di contraccezione e rischio di HIV: i risultati avevano dimostrato che l’assunzione di contraccettivi ormonali iniettabili non comporta per le donne un aumentato rischio di acquisizione dell’HIV http://www.aidsmap.com/news/jun-2019/injectable-hormonal-contraceptive-does-not-raise-hiv-risk-large-trial-finds. ECHO non ha infatti rilevato differenze significative nei tassi di infezione da HIV nelle partecipanti, che erano state randomizzate per ricevere uno dei seguenti tre metodi contraccettivi a lunga durata d’azione: l’iniezione di DMPA (medrossiprogesterone acetato depot, noto anche come Depo Provera); il dispositivo intrauterino di rame (IUD); oppure un impianto di levonorgestrel.
Sebbene si tratti di dati rassicuranti per quanto riguarda la contraccezione, nello studio è stata anche osservata un’elevata incidenza di HIV tra le partecipanti, malgrado l’offerta di servizi di prevenzione. A IAS 2019, ricercatori, decisori politici e attivisti hanno discusso questi risultati per capire quale lezione se ne può trarre e come aiutare al meglio le giovani donne nell’Africa sub-sahariana http://aidsmap.com/news/jul-2019/could-integrating-hiv-prevention-contraceptive-services-reduce-infections-among.
“I risultati di ECHO non sono ‘buone notizie’,” ha commentato Jacque Wambui, attivista di AfroCAB. “Le donne che hanno preso parte alla sperimentazione sono state reclutate e arruolate perché volevano un contraccettivo ed erano sessualmente attive. Non presentavano i ‘fattori di rischio” di cui si sente parlare in tanti altri trial per la prevenzione dell’HIV”.
Secondo gli attivisti e gli studiosi, una delle lezioni più importanti di ECHO è che occorra offrire alle donne i mezzi per evitare gravidanze indesiderate e HIV negli stessi siti di cura, da parte dei medesimi operatori sanitari. Le donne che non rientrano nei gruppi considerati ad alto rischio di infezione tendono infatti a rivolgersi più ai centri per la salute riproduttiva che ai servizi di prevenzione HIV. Tuttavia, con i servizi sanitari già oberati di lavoro e sotto organico, sarà difficoltoso integrare queste due tipologie di servizi senza l’allocazione di appositi fondi.
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L’inizio immediato della PrEP risulta fattibile e sicuro in uno studio in America Latina
Oltre 5000 uomini che fanno sesso con uomini (MSM) e donne transgender sono stati arruolati per un progetto dimostrativo sulla profilassi pre-esposizione (PrEP) in America Latina, e i primi risultati mostrano buoni livelli di aderenza http://aidsmap.com/news/jul-2019/same-day-initiation-prep-feasible-and-safe-latin-america.
Si tratta di una regione in cui alcuni gruppi di popolazione emarginati, come appunto gli MSM e le donne transgender, incontrano non poche difficoltà ad accedere a strumenti di prevenzione dell’HIV come la PrEP.
Lo studio ImPrEP ha valutato i dati relativi all’aderenza terapeutica in partecipanti che avevano iniziato ad assumere la PrEP lo stesso giorno del reclutamento. I partecipanti erano MSM e donne transgender di Brasile (3466), Peru (1149) e Messico (739).
I risultati hanno mostrato che iniziare immediatamente la PrEP è fattibile e sicuro: l’80% dei partecipanti si sono presentati ad almeno due visite di follow-up e il 97% aveva assunto i farmaci per almeno 16 giorni nel corso del mese precedente. Meno impegno hanno invece dimostrato i partecipanti più giovani e le donne transgender.
Un ulteriore progetto dimostrativo sulla PrEP è quello condotto su donne transgender in Brasile, denominato PrEParadas. Avviare programmi per la PrEP specificamente mirati a donne transgender è particolarmente difficoltoso in America Latina a causa di alcuni problemi strutturali, non ultima la violenza di cui sono spesso vittima queste donne. Destano preoccupazioni anche le potenziali interazioni tra i farmaci profilattici e cure ormonali, senza contare che bisognerebbe prevedere di offrire la PrEP in ambienti in cui a queste persone è mostrato rispetto e sostegno, con personale sanitario adeguatamente formato.
In PrEParadas, si sono ripresentate dopo quattro settimane 116 delle 130 partecipanti; oltre il 60% di loro avevano assunto tra le quattro e le sette dosi di PrEP a settimana. Tra i fattori associati con la scarsa aderenza alla PrEP alla 12° settimana si possono citare la precarietà abitativa e l’assunzione di stimolanti. Lo studio è attualmente ancora in corso.
Un’altra ricerca presentata a IAS 2019 ha invece investigato la conoscenza della PrEP, l’intenzione di assumerla e l’effettiva assunzione in un campione di MSM reclutati tramite un app in Messico. Una significativa percentuale (76%) ha detto di aver sentito parlare della PrEP e oltre un terzo si è dichiarato intenzionato a farvi ricorso nei successivi sei mesi, ma meno del 4% ha riferito di assumerla al momento.
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Abstract dello studio ImPrEP sul sito ufficiale di IAS 2019
Abstract dello studio PrEParadas sul sito ufficiale di IAS 2019
Abstract dello studio messicano sul sito ufficiale di IAS 2019
Terapia di salvataggio con fostemsavir ancora efficace alla 96° settimana
Il nuovo inibitore dell’aggancio fostemsavir continua a mantenere soppresso il virus dell’HIV in oltre metà dei partecipanti a uno studio su pazienti con numerosi fallimenti terapeutici alle spalle e con ceppi virali altamente farmacoresistenti: è quanto emerge dai risultati a 96 settimane presentati a IAS 2019 http://aidsmap.com/news/jul-2019/fostemsavir-salvage-therapy-continues-look-good-96-weeks.
Lo studio BRIGHTE è una sperimentazione di fase III attualmente ancora in corso che sta valutando il fostemsavir in pazienti con ceppi di HIV farmacoresistenti per i quali non è possibile mettere a punto un regime antiretrovirale efficace con i farmaci attualmente disponibili.
Per la fase randomizzata dello studio sono stati reclutati 272 pazienti in fallimento terapeutico con carica virale non soppressa. A tutti i partecipanti dovevano rimanere una o due classi di antiretrovirali con almeno un principio pienamente attivo approvato; per il 65% circa, il dolutegravir risultava ancora pienamente attivo. I pazienti sono stati dunque randomizzati per assumere una dose di 600mg di fostemsavir due volte al giorno oppure un placebo in aggiunta al loro attuale regime per otto giorni. Dopodiché, ognuno ha ricevuto in aperto il fostemsavir più un regime di background ottimizzato. I 99 individui a cui non restavano opzioni farmacologiche con un principio pienamente attivo approvato sono stati inseriti in una coorte non-randomizzata per l’uso compassionevole.
L’anno scorso erano stati presentati i risultati a 48 settimane dello studio http://www.aidsmap.com/news/nov-2018/fostemsavir-novel-gp120-inhibitor-salvages-nearly-half-people-no-other-treatment, in cui il 54% dei partecipanti randomizzati per assumere il fostemsavir avevano raggiunto la soppressione virale (intesa come < 40 copie/ml), contro il 38% di quelli della coorte non-randomizzata. I risultati a 96 settimane presentati a IAS 2019 mostrano che la percentuale di pazienti virologicamente soppressi nel braccio randomizzato è salita a 60%, mentre è rimasta stabile (al 37%) nel gruppo non-randomizzato.
I partecipanti, molti dei quali presentavano grave soppressione immunologica, hanno anche avuto incrementi significativi delle cellule CD4. Il trattamento ha infine continuato a risultare sicuro e ben tollerato.
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Abstract dello studio sul sito ufficiale di IAS 2019
Il 13% degli europei HIV-positivi guariti dall’epatite C viene reinfettato
Nell’ampia coorte EuroSIDA, più di un paziente HIV-positivo su dieci che era guarito dall’epatite C ha ricontratto l’infezione nel giro di due anni, è stato riferito a IAS 2019. http://aidsmap.com/news/jul-2019/13-hiv-positive-europeans-who-are-cured-hepatitis-c-are-reinfected
Praticamente chiunque, HIV-positivo o meno, può debellare agevolmente il virus dell’epatite C con gli antivirali ad azione diretta. La prima infezione non produce però immunità, e se non vengono abbandonati i comportamenti a rischio si rischia dunque la reinfezione.
L’analisi ha preso in considerazione 585 pazienti che avevano raggiunto una risposta virologica sostenuta (con la quale si è considerati guariti) dopo la fine del trattamento per l’epatite C. Un totale di 78 di loro (il 13,3%) ha contratto nuovamente l’infezione nel giro di due anni.
Le probabilità di reinfezione risultavano più elevate in individui provenienti da paesi dell’Europa occidentale e orientale, in quelli con una conta dei CD4 superiore alle 500 cellule/mm3 e in quelli con fibrosi o cirrosi epatica in stadio avanzato.
Secondo Sarah Amele, che ha presentato lo studio, questi dati evidenziano che c’è molto da lavorare sull’educazione della popolazione e sui servizi di riduzione del danno, se vogliamo sperare di risolvere il grave problema di salute pubblica rappresentato dall’epatite C.
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Abstract dello studio sul sito ufficiale di IAS 2019
Anello vaginale con dapivirina efficace e accettabile a lungo termine
Un anello vaginale in silicone contenente l’antiretrovirale dapivirina continua a dimostrare una moderata efficacia nella prevenzione dell’HIV e risulta ben tollerato e accettabile per le donne nel lungo termine (un anno), è stato riferito a IAS 2019 http://aidsmap.com/news/jul-2019/dapivirine-vaginal-ring-effective-and-acceptable-longer-use.
L’anello viene indossato continuativamente per un mese prima di essere sostituito, e rilascia dapivirina lentamente nel tempo. In un precedente studio, oltre 2600 donne HIV-negative in 14 siti di studio in Malawi, Sudafrica, Uganda e Zimbabwe sono state randomizzate per utilizzare l’anello con dapivirina o un anello con un placebo. Dall’analisi dei risultati era emersa un’associazione tra efficacia ed età, molto probabilmente per via del diverso grado di aderenza. Se il rischio di acquisire l’HIV complessivamente diminuiva solo del 27%, le donne che usavano l’anello con costanza avevano il 65% di probabilità in meno di contrarre l’infezione.
Una volta terminato lo studio, le partecipanti sono state invitate a prendere parte a uno studio di estensione in aperto, in cui a tutte veniva offerto l’anello a base di dapivirina, senza braccio di controllo. Per questo studio, denominato HOPE, sono state reclutate 1456 donne: il 73% di quelle rimaste eleggibili secondo i criteri prestabiliti hanno usato l’anello per tutti i 12 mesi dello studio. In totale, sono state 35 le donne che hanno contratto l’HIV durante il follow-up.
Dopo aver aggiustato i dati tenendo conto di fattori come età e infezioni sessualmente trasmesse, gli autori dello studio stimano che l’anello riduca l’incidenza HIV del 39%.
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Abstract dello studio sul sito ufficiale di IAS 2019
Il Descovy potrebbe aiutare chi ha difficoltà ad aderire alla PrEP?
È possibile che un regime di profilassi pre-esposizione (PrEP) con tenofovir alafenamide fumarato (TAF) ed emtricitabina (in combinazione nel Descovy) possa ‘perdonare’ di più l’aderenza sub-ottimale o l’uso intermittente rispetto al regime standard con tenofovir disoproxil fumarato (TDF) ed emtricitabina (in combinazione nel Truvada, anche se sempre più facilmente reperibili in formulazioni generiche). È a questa conclusione che è giunta un’analisi post-hoc dei risultati dello studio DISCOVER presentata a IAS 2019 http://aidsmap.com/news/jul-2019/does-descovy-have-role-prep-people-who-struggle-adherence.
I risultati di DISCOVER http://www.aidsmap.com/news/mar-2019/descovy-non-inferior-truvada-daily-prep sono stati resi noti all’inizio di quest’anno: il dato principale che ne emergeva era la non-inferiorità della combinazione TAF/emtricitabina rispetto a TDF/emtricitabina per la profilassi pre-esposizione.
Difatti nel braccio che assumeva la TAF meno persone hanno acquisito l’HIV, e anche se non si trattava di risultati conclusivi, i ricercatori hanno indagato le possibili motivazioni.
Tra i partecipanti ai due bracci dello studio, complessivamente, non sono state individuate differenze in termini di comportamento sessuale, infezioni sessualmente trasmesse o aderenza; considerando però i singoli partecipanti che hanno contratto l’infezione, risultava che avevano tutti bassi tassi di aderenza al loro regime PrEP. Tuttavia, mentre nessuno degli appartenenti al braccio TAF che hanno acquisito il virus assumeva più di due compresse a settimana, alcuni del braccio TDF ne prendevano dalle due alle quattro.
Una spiegazione potrebbe essere che il TAF raggiunge i linfociti T più velocemente del TDF e permane più a lungo all’interno di queste cellule: quindi le probabilità di infezione aumentano più rapidamente per coloro che non aderiscono correttamente al regime con TDF, rispetto a chi ha le stesse difficoltà di aderenza con il TAF.
Tuttavia nel pubblico c’è stato chi ha obiettato che forse le differenze individuate tra i due bracci dello studio non sono sufficientemente marcate da giustificare i costi aggiuntivi che deriverebbero dall’impiego del Descovy nella profilassi pre-esposizione.
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