AIDS 2022 - Bollettino Conclusivo

AIDS2022logoLILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, in collaborazione con NAM, è lieta di fornirti la copertura scientifica ufficiale on-line della XXIV Conferenza Internazionale sull'AIDS (AIDS 2022), che si terrà a Montreal, in Canada, dal 29 luglio al 2 agosto 2022.

 

 

QUINTO BOLLETTINO

 

Cabotegravir e rilpivirina in formulazione iniettabile a lunga durata d’azione: sarà possibile l’autosomministrazione?

Un regime a base di cabotegravir (Vocabria) e rilpivirina (Rekambys) a lunga durata di azione da somministrare con iniezioni intramuscolari nella coscia ha dato effetti collaterali per lo più lievi e ha dimostrato un profilo farmacocinetico paragonabile a quello ottenuto con le iniezioni standard nel gluteo, si apprende dai risultati di uno studio. In un secondo studio, una soluzione iniettabile con una concentrazione più elevata di cabotegravir ha evidenziato un profilo di sicurezza simile a quello della versione attualmente impiegata e si è mostrato in grado di produrre livelli farmacologici ad essa paragonabili.

I risultati di entrambi gli studi sono stati presentati alla 24° Conferenza Internazionale sull’AIDS (AIDS 2022), che si è tenuta la scorsa settimana in presenza a Montréal, Canada, e online.

La formulazione iniettabile di cabotegravir più rilpivirina è il primo regime antiretrovirale completo che non richiede l’assunzione quotidiana di farmaci per via orale. Attualmente, esso consiste in due diverse iniezioni in sedi distinte del gluteo che vengono somministrate da un operatore: per riceverlo è dunque necessario recarsi regolarmente in una struttura sanitaria.

Il primo studio era volto a valutare la farmacocinetica e la tollerabilità della somministrazione di cabotegravir e rilpivirina in dosi standard nella parte esterna della coscia, cosa che aprirebbe alla possibilità dell'autosomministrazione. Dopo una fase di induzione orale, 15 persone hanno ricevuto una dose di 600 mg di cabotegravir e una dose di 900 mg di rilpivirina ogni due mesi.

Dopo le iniezioni nella coscia, i partecipanti presentavano concentrazioni di farmaco ben superiori al livello di attività e all'interno del range osservato con le iniezioni nel gluteo. Abbastanza frequenti sono stati gli effetti collaterali, il più delle volte consistenti in dolore, gonfiore, indurimento o rossore nel sito di iniezione.

Il secondo studio ha valutato la sicurezza, la tollerabilità e la farmacocinetica di una formulazione ad alta concentrazione di cabotegravir. La formulazione sperimentale era di 400 mg/ml, che equivale a una quantità di farmaco attivo per volume doppia rispetto a quella attualmente impiegata. L’intento era verificare se questo dosaggio potesse consentire somministrazioni meno frequenti o, potenzialmente, l’autosomministrazione tramite iniezione sottocutanea o sulla coscia.

Allo studio hanno partecipato 88 persone. Dopo una fase di induzione orale, quattro gruppi di partecipanti hanno ricevuto due iniezioni una volta al mese contenenti vari dosaggi (200-600 mg) della formulazione da 400 mg/ml, somministrate per via intramuscolare nel gluteo o nella coscia oppure per via sottocutanea nell'addome. Un quinto gruppo ha ricevuto una singola iniezione nel gluteo con un dosaggio maggiore (800 mg), per valutare la potenziale efficacia di un’unica somministrazione una volta ogni tre mesi.

La formulazione ad alta concentrazione è stata assorbita più velocemente, con conseguente emivita più breve. Con la somministrazione ogni quattro settimane si sono ottenute concentrazioni plasmatiche del farmaco all'interno dello stesso range osservato con la formulazione standard, ma un intervallo più lungo tra le somministrazioni, a quanto previsto dai ricercatori, avrebbe richiesto un dosaggio elevato che è stato ritenuto "poco pratico".

I partecipanti hanno anche avuto reazioni come dolore e gonfiore al sito di iniezione, ma la maggior parte di loro le ha giudicate accettabili.

Questi studi potrebbero contribuire a spianare la strada per l’autosomministrazione di cabotegravir più rilpivirina per il trattamento dell'HIV o del solo cabotegravir per la PrEP, cosa che renderebbe più attraenti il trattamento dell'HIV a lunga durata d'azione e la PrEP iniettabile come opzioni terapeutiche.

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COVID-19, persone HIV+ a più alto rischio di morte anche con Omicron

Le persone con infezione da HIV ricoverate per COVID-19 restano a rischio di morte più elevato, e in questo gruppo di popolazione non si è osservato il declino della mortalità per cause legate a COVID che si è invece osservato tra le persone HIV-negative durante l’ondata Omicron, ha riferito un gruppo di ricerca dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la settimana scorsa ad AIDS 2022.

L'anno scorso, lo stesso team ha presentato i risultati di un’analisi globale da cui emergeva che le persone con HIV avevano maggiori probabilità di necessitare un ricovero per COVID-19, e ben il 30% di probabilità in più di perdere la vita durante la degenza.

L’analisi è stata ora aggiornata includendo dati fino al maggio 2022. Il 96% dei dati relativi alle persone HIV+ considerati nell’analisi provenivano dall’Africa, e prevalentemente dal Sudafrica.

Da questa nuova analisi risulta che le persone con infezione da HIV ricoverate per COVID-19 avevano un rischio di decesso del 51% superiore rispetto alle persone HIV-negative.

Fatta eccezione per la tubercolosi, che era molto meno diffusa tra le persone HIV-negative, la prevalenza di patologie pregresse era simile tra i due gruppi.

Per chi aveva una conta dei CD4 inferiore a 200 e una carica virale superiore a 1000 il rischio di decesso dopo il ricovero ospedaliero risultava raddoppiato rispetto alle persone HIV-negative. Una conta dei CD4 superiore a 200 e una carica virale irrilevabile sono invece state associate ad un rischio di decesso del 12% maggiore.

Nel 2020, durante le ondate delle varianti Alfa e Beta della pandemia, erano morte il 24% delle persone con HIV ricoverate per COVID-19 e il 21% delle persone HIV-negative. I tassi sono rimasti simili anche per il 2021, per diversificarsi invece nel 2022 con l’arrivo di Omicron: il tasso di mortalità dei ricoverati per l’anno in corso è infatti sceso all'8% nelle persone sieronegative, mentre continua ad aggirarsi sul 20% per le persone HIV+.

La dott.ssa Silvia Bertagnolio dell'OMS ha commentato questi risultati dicendo che, probabilmente, il tasso di mortalità tra le persone con infezione da HIV resta elevato anche a causa della bassa copertura vaccinale del Sudafrica, da cui proveniva maggior parte dei dati esaminati. Secondo la studiosa, i risultati dello studio sottolineano l'importanza di ampliare l'accesso alla vaccinazione e di ridurre al minimo l'esposizione a COVID-19 per le persone con HIV, in particolare per chi ha una conta dei CD4 inferiore a 200. Uno studio separato presentato alla Conferenza ha infatti evidenziato un'associazione tra basse conte dei CD4 e infezione con il virus responsabile del COVID-19.

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I progressi dei programmi pilota per la riduzione del danno in Africa

La scorsa settimana ad AIDS 2022 sono stati presentati i risultati di tre programmi pilota per la riduzione del danno rivolti ai consumatori di sostanze stupefacenti per via iniettiva.

Le persone che fanno uso di stupefacenti per via iniettiva sono colpite dall'HIV in modo sproporzionatamente alto: rappresentano infatti il 9% di tutte le nuove infezioni da HIV nel mondo. Nel 2020, l’UNODC (Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine) ha stimato che in Africa ci siano 950.000 consumatori di stupefacenti per via iniettiva, tra i quali la prevalenza di HIV ed epatite C è rispettivamente dell'11% e del 19%.

I due servizi essenziali di riduzione del danno sono i programmi per la fornitura di aghi e siringhe sterili e l’offerta terapia sostitutiva con oppioidi (che prevede la somministrazione di farmaci per ridurre la dipendenza e prevenire l'astinenza). I servizi possono essere erogati in centri a bassa soglia di tipo drop-in, unità mobili, centri medici, oppure attraverso operatori di strada scelti all’interno della stessa popolazione target, o ancora all’interno di strutture gestite da associazioni attive sul territorio.

L’esistenza di leggi e norme restrittive, insieme alla scarsità dei dati sulla prevalenza, è di notevole ostacolo all’elaborazione di politiche e all'erogazione di servizi per la riduzione del danno. Nel 2020, in nessun paese della regione africana il possesso di droga era decriminalizzato, e solo in due erano in vigore leggi anti-discriminazione a tutela delle persone che fanno uso di droga.

Maria Simbine del Ministero della Salute del Mozambico ha descritto alla Conferenza un programma pilota per la riduzione del danno attuato nel paese. Tra la popolazione generale del Mozambico, la prevalenza dell'HIV è del 13%, ma sale al 31% tra le persone che consumano stupefacenti per via iniettiva. Il programma distribuisce aghi e siringhe monouso, naloxone e servizi di medicina preventiva sul territorio, con invii a medici specialisti per il trattamento della dipendenza da oppioidi. Simbine ha osservato che una delle principali difficoltà che queste persone devono affrontare è la criminalizzazione, poiché vanno spesso incontro ad arresti e conseguenti interruzioni del trattamento.

Mary Mugambi del Ministero della Salute del Kenya ha fornito una panoramica di uno dei più grandi programmi per consumatori di stupefacenti per via iniettiva dell’intero continente. In Kenya, queste persone sono considerate una popolazione chiave da prioritizzare nella strategia nazionale. La prevalenza dell'HIV in questo gruppo è del 18,7%, contro il 4,9% della popolazione generale. I programmi per la distribuzione di aghi e siringhe sterili sono iniziati nel 2010, e nel 2014 è stato aggiunto anche il trattamento assistito da farmaci (MAT). Circa 10.000 persone si sono iscritte al programma per ricevere il MAT, con un tasso medio di ritenzione superiore al 70%.
Il dott. Chris Akolo di FHI 360 ha invece presentato i risultati di un progetto condotto in Nigeria, dove il 9% di tutte le nuove infezioni da HIV riguardano consumatori di stupefacenti per via iniettiva. A questa popolazione sono offerti servizi differenziati tra cui centri drop-in, farmacie territoriali e supporto tra pari. In due anni, 15.816 persone hanno eseguito il test per l'HIV all’interno del programma, e tra le 1329 risultate positive tutte hanno iniziato la terapia antiretrovirale. Circa 1302 hanno continuato ad assumere il trattamento, con un tasso di soppressione virale del 97%. Altri 2841 consumatori di stupefacenti per via iniettiva che hanno preso parte al programma hanno invece iniziato la PrEP.

In tutti i programmi, i membri delle comunità non erano soltanto utenti dei servizi, ma sono stati attivamente coinvolti nello sviluppo e nell’attuazione delle iniziative.

Kate Thomson del Fondo Globale ha sottolineato che solo dieci paesi in Africa hanno attivato programmi per la distribuzione di aghi e siringhe sterili, e solo otto offrono servizi di terapia sostitutiva con oppioidi. Per potenziare sia i servizi che le politiche di riduzione del danno è essenziale che i rappresentanti delle comunità coinvolte assumano un ruolo di leadership e si impegnino attivamente per la loro attuazione.

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In molti centri specializzati nell’assistenza alle persone HIV+ l’offerta di screening e trattamento per i problemi di salute mentale è praticamente inesistente

La percentuale di strutture specializzate nell’assistenza alle persone con infezione da HIV che offrono servizi di screening per depressione, ansia e disturbo post-traumatico da stress (PTSD) è rispettivamente del 50%, 14% e 12% in molte regioni del mondo. E c’è di peggio: le strutture dove oltre allo screening si possono anche ricevere terapie per questi disturbi scendono rispettivamente al 36%, 11% e 8%.

Sono i risultati di uno studio presentato ad AIDS 2022 che ha raccolto informazioni relative a centri medici specializzati nell’assistenza alle persone con infezione da HIV in Asia, Caraibi, America Latina, Africa, Nord America e Australia. Dei 223 siti considerati, situati in 41 paesi, il 67% era in contesti urbani e il 78% in paesi a basso o medio reddito.

Nelle strutture situate in contesti urbani e in paesi ad alto reddito la probabilità che fossero offerti servizi per la salute mentale sono risultate più elevate. Lo studio ha riscontrato anche una notevole variazione tra le regioni: ad esempio, nelle strutture situate in America Latina e nei Caraibi è presente un’offerta di screening per la depressione (63%) e l'ansia (13%), ma nessuna offre lo screening per il PTSD. In Africa orientale l’offerta di screening per la depressione (53%) e il PTSD (14%) è maggiore rispetto ad altre regioni africane, ma quella di screening per l'ansia è risultata la più bassa di tutte (7%).

I problemi di salute mentale come la depressione, l’ansia e il PTSD sono molto diffusi tra le persone con infezione da HIV, e sono associati ad outcome terapeutici non soddisfacenti. Integrare screening e trattamento di questi disturbi nella cura dell'HIV consentirebbe di migliorare la salute mentale, outcome terapeutici e qualità della vita dei pazienti.

Presentando questi risultati, la dott.ssa Angela Parcesepe ha denunciato che le strutture situate in contesti rurali e quelle specializzate nella cura dell’HIV pediatrico spesso mancano completamente di offrire di screening e trattamento per i disturbi della salute mentale, specialmente nei paesi a basso reddito, e ha sottolineato la necessità di individuare e rendere disponibili servizi pratici e sostenibili.

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Le terapie antiretrovirali di seconda linea in certi paesi costano nove volte di più rispetto a quelle di prima linea

In alcuni paesi a reddito medio-alto, i farmaci impiegati nelle terapie di seconda linea per il trattamento dell’HIV treatment possono arrivare a costare quasi nove volte di più di quelli usati per il trattamento di prima linea, si è appreso alla Conferenza.

L’analisi ha esaminato i dati annuali comunicati a UNAIDS da paesi a reddito basso, medio-basso e medio-alto relativi al volume di farmaci acquistati nel 2020 e al prezzo per confezione di ciascun farmaco acquistato. Le combinazioni di farmaci sono state catalogate come regimi di prima o seconda linea sulla base delle linee guida sul trattamento emanate dall'Organizzazione Mondiale della Sanità per il 2021.

I trattamenti di seconda linea sono risultati considerevolmente più costosi di quelli di prima linea: costavano quasi il triplo a persona all'anno.

La variazione dei prezzi dei farmaci tra i regimi di trattamento risulta particolarmente pronunciata nei paesi a reddito medio-alto, dove il trattamento di seconda linea arriva a costare 8,79 volte di più di quello di prima linea (1028 contro 117 dollari, rispettivamente). Tra i paesi a reddito medio-alto con grandi epidemie di HIV si annoverano il Brasile, la Thailandia e la Federazione Russa.

L'America Latina è la regione più colpita dagli alti prezzi del trattamento di seconda linea: il trattamento di seconda linea costa in media 1494 dollari a persona all'anno, contro i 179 dollari di quello di prima linea.

Lo scarto è meno sostanziale nei paesi a basso e medio reddito, ma anche lì il prezzo del trattamento di seconda linea è in media il triplo rispetto a quello del trattamento di prima linea.

Per ridurre i costi del trattamento di seconda linea, gli autori dello studio raccomandano che i paesi concentrino i loro sforzi sulle iniziative per miglioramento dell'aderenza terapeutica, aiutando quanto più possibile i pazienti a restare su regimi di trattamento di prima linea quando non ci sono controindicazioni. I governi dovrebbero anche studiare meccanismi come il cosiddetto pooled procurement, che prevede l’impiego congiunto delle risorse finanziarie (e non) per aumentare il proprio potere d'acquisto.

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La tempestiva risposta alla crisi dei rifugiati ucraini ha consentito di garantire la continuità delle cure HIV, ma restano problemi più a lungo termine da risolvere

I paesi che hanno accolto i rifugiati ucraini si sono subito attivati per garantire l’accesso gratuito all’assistenza sanitaria, terapie HIV comprese, alle persone che fuggivano dal paese invaso dalla Russia, si apprende dai risultati di un’indagine presentata ad AIDS 2022. Crescono però le preoccupazioni circa una possibile imminente emergenza salute mentale per queste persone che hanno subito un enorme trauma e vivono senza sapere se potranno mai fare ritorno a casa o rivedere i loro cari.

Si tratta di un’indagine online condotta nel marzo 2022 con esperti di HIV e malattie infettive con l’intento di comprendere l'impatto della guerra sul continuum di cura per l'HIV per gli sfollati e sui programmi nazionali per l'HIV, in particolare nell'Europa occidentale e orientale.

Dai risultati emerge che i paesi che accolgono i rifugiati ucraini hanno attuato misure tempestive per garantire la continuità delle cure per l'HIV, tra cui assicurazione sanitaria universale (73% degli intervistati), deroga alla maggior parte dei requisiti amministrativi per l'accesso al trattamento (73%), offerta di consulti medici in giornata (55%) ed erogazione dei farmaci antiretrovirali (86%).

Nel complesso, i dati mostrano che la rimozione delle barriere all'assistenza ha avuto un concreto impatto sulla continuità del trattamento dell'HIV tra i rifugiati ucraini, delineando un modello esemplare per la tutela della salute di chiunque sia in fuga da un conflitto o qualsiasi altro pericolo per la vita.

Solo una minoranza degli specialisti intervistati (18%) ha riferito che il trauma psicologico vissuto dai pazienti è stato di ostacolo nel loro coinvolgimento nel percorso di cura. In una tavola rotonda con i media sull'impatto dell'invasione russa in Ucraina, però, è stato segnalato un peggioramento della salute mentale che rappresenta un problema importate e sempre più diffuso tra gli ucraini, sia in patria che all'estero.

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