LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, in collaborazione con NAM, è lieta di fornire la copertura scientifica ufficiale on-line della 14° Conferenza europea sull'Aids - EACS 2013, in corso a Bruxelles dal 16 al 19 ottobre 2013.
LE NOTIZIE DEL SECONDO BOLLETTINO - 18 OTTOBRE 2013
Antiretrovirale in corso di sviluppo dà risultati promettenti
Alla 14° Conferenza Europea sull'AIDS di Bruxelles si è parlato ieri di un farmaco appartenente a una nuova classe di antiretrovirali che si sta dimostrando efficace e ben tollerato.
Benché farmaci oggi disponibili per il trattamento dell'HIV siano già sicuri e molto efficaci, i ricercatori sono comunque convinti che valga la pena continuare a svilupparne di nuovi, per combattere l'HIV su diversi fronti.
Questo farmaco, denominato cenicriviroc, è stato messo a confronto l'efavirenz, uno degli antiretrovirali più utilizzati, in un trial clinico condotto su pazienti che iniziavano per la prima volta la terapia anti-HIV. Lo studio si proponeva tra l'altro di confrontare l'effetto di due diversi dosaggi di cenicriviroc.
Il cenicriviroc appartiene alla classe degli antagonisti del co-recettore CCR5. Si tratta di farmaci che impediscono all'HIV di legarsi ai linfociti CD4 inibendo i CCR5, co-recettori posti sulla superficie delle cellule immunitarie. Il cenicriviroc, inoltre, è in grado di inibire anche i recettori CCR2, che giocano un ruolo rilevante nei processi infiammatori.
Dai risultati dello studio emerge che il nuovo farmaco sarebbe equivalente all'efavirenz (Sustiva, presente anche nel farmaco combinato Atripla) in termini di abbattimento della carica virale, ma che causi meno effetti collaterali. In particolare, i pazienti a regime di cenicriviroc hanno mostrato ridotti livelli lipidici nel sangue (colesterolo o altri grassi), che risultavano invece più elevati con l'efavirenz. Di contro, però, in alcuni pazienti trattati con cenicriviroc si sono osservati alti livelli di creatina, possibile segno di danno muscolare.
Alla luce dei positivi risultati conseguiti, i ricercatori possono continuare a sviluppare il cenicriviroc: è già allo studio una compressa a dosaggio fisso che associa cenicriviroc e lamivudina (3TC, Epivir). Questo combinato potrebbe rappresentare un'alternativa al tenofovir/FTC (Truvada), e sarà sperimentato in associazione a un altro potente antiretrovirale.
Il trial ha registrato un tasso di abbandono relativamente alto, che gli autori imputano alla complessità dei regimi in tutti e tre i bracci: il numero di farmaci da assumere era infatti più elevato rispetto alla media della gran parte dei regimi antiretrovirali somministrati oggi. Nel frattempo, però, è stata elaborata una nuova formulazione per il cenicriviroc, che dunque può ora essere assunto in un'unica compressa.
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Aumenta in Europa la trasmissione di HIV farmacoresistente
Elaborare strategie terapeutiche sempre nuove e ampliare la gamma di antiretrovirali è importante perché per alcuni pazienti sieropositivi le opzioni terapeutiche sono limitate. È il caso di coloro che sono stati infettati da un ceppo di HIV resistente ai farmaci attualmente esistenti.
Anche se la percentuale complessiva di pazienti con infezione da HIV farmacoresistente in Europa è rimasta invariata negli ultimi dieci anni, stime recenti sembrano indicare che il numero totale di casi di farmacoresistenza sia aumentato del 35% circa dal 2003.
Quando si parla di farmacoresistenza si intende che un particolare farmaco o una classe di farmaci non hanno più effetto contro il ceppo virale del paziente. Si può sviluppare una farmacoresistenza se il trattamento fallisce, oppure si può essere infettati da un ceppo già resistente a uno o più antiretrovirali.
I problemi che ne possono derivare sono molteplici: la mancata soppressione della replicazione virale, un aumento della carica virale e lo sviluppo di altre resistenze a tutta una serie di altri farmaci. Il che si può rivelare particolarmente problematico laddove le opzioni terapeutiche sono già limitate.
Per evitare questa situazione, in molte linee guida sul trattamento (comprese quelle pubblicate dall'European AIDS Clinical Society) si raccomanda di effettuare il test di farmacoresistenza prima di intraprendere il trattamento. Questo tuttavia spesso non accade, soprattutto nei paesi dell'Est Europa, dove peraltro i tassi di resistenza sono più elevati.
Le stime sulle farmacoresistenze in Europa finora prendevano per lo più in considerazione la percentuale di ceppi resistenti relativa al totale delle persone sieropositive, senza tener conto del fatto che il numero totale delle persone sieropositive continua ad crescere. Ciò significa che, in termini assoluti, stanno aumentando i casi che necessitano di particolare attenzione nella gestione del trattamento e delle cure per l'HIV.
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Nuovi, 'rivoluzionari' farmaci per il trattamento dell'epatite C
L'infezione da virus dell'epatite C (HCV), al contrario dell'HIV, è curabile. Ciò nonostante, l'HCV è sempre stato complicato da trattare: gli effetti collaterali sono numerosi e i tassi di successo estremamente variabili a seconda del genotipo coinvolto. Negli ultimi tempi, però, la situazione è sensibilmente migliorata grazie alla messa a punto di nuovi farmaci anti-HCV in grado di agire direttamente sul virus.
Un conferenziere intervenuto ieri alla 14° Conferenza Europea sull'AIDS ha definito "rivoluzionari" questi nuovi antivirali ad azione diretta (DAA, dall'inglese direct-acting antivirals) – ma occorre ricordare che il loro impiego pone ancora delle difficoltà.
Heiner Wedemeyer, dell'Hannover Medical School, Germania, ha definito i nuovi farmaci "una sfida all'ordine costituito".
Il primo agente antivirale diretto utilizzato – boceprevir (Victrelis) e telaprevir (Incivo o Incivek) – deve comunque essere assunto in combinazione con interferone pegilato e ribavirina, i due farmaci standard per la terapia dell'epatite C. Certo, può accorciare la durata globale del trattamento e aumentare i tassi di successo, ma causa anche effetti collaterali, senza contare che la posologia si complica e che possono insorgere interazioni farmacologiche.
I farmaci attualmente allo studio, invece, sono più facili da assumere, meglio tollerati, e hanno anche migliori tassi di successo terapeutico. Scopo ultimo della ricerca in questo ambito è elaborare un regime anti-HCV che escluda l'interferone pegilato, in modo da evitare i suoi spiacevoli effetti collaterali e il fastidio di doverlo assumere per via iniettiva.
Questi nuovi regimi dovrebbero far aumentare sensibilmente la tolleranza al trattamento, incrementare i tassi di successo terapeutico e ridurre invece i casi di degenerazione dell'epatite in gravi alterazioni o malattie epatiche, senza contare che dovrebbero anche ridurre la trasmissione dell'infezione da epatite C.
I farmaci impiegati nel trattamento dell'epatite C, come del resto quelli usati per contrastare l'HIV, appartengono a diverse 'classi'. I nuovi preparati agiscono attaccando l'HCV nelle diverse fasi del suo ciclo vitale. I regimi privi di interferone (sempre come i regimi anti-HIV) dovranno comprendere una combinazione di farmaci di diverse classi. I nuovi regimi sono però molto meno complessi (in genere è prevista un'unica somministrazione al giorno) e più tollerabili.
Anche se le sperimentazioni hanno dato risultati incoraggianti, soprattutto per quanto riguarda alcuni di questi nuovi farmaci, permangono delle difficoltà. I tassi di successo terapeutico restano bassi in alcuni gruppi di pazienti con determinati genotipi virali o con danni epatici pregressi, per esempio; oppure possono insorgere interazioni farmacologiche. Un ostacolo non indifferente può infine essere costituito dai costi: Wedemeyer avverte i medici di essere pronti a dare battaglia per far sì che abbia accesso a questi trattamenti il maggior numero di persone possibile.
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HPV, alterazioni pre-cancerose e carcinoma anale
La famiglia dei papillomavirus umani (HPV) provoca verruche genitali e può portare anche al carcinoma cervicale e anale. Le persone affette dall'HIV sembrano più a rischio di sviluppare alterazioni cellulari precancerose e cancerose derivanti dall'HPV.
Un'équipe di ricercatori francesi intervenuti alla 14° Conferenza Europea sull'AIDS ha riscontrato che le donne sieropositive sono più a rischio di sviluppare alterazioni precancerose HPV-correlate nell'ano anziché nella cervice. Per questo gli studiosi raccomandano che le donne vengano sottoposte a regolari controlli della salute del canale anale.
Le linee guida per le persone sieropositive raccomandano attualmente che le donne effettuino un monitoraggio regolare della cervice uterina; non c'è invece mai stato accordo sui reali benefici del monitoraggio del canale anale per le donne sieropositive (o per gli uomini, del resto).
Lo studio francese ha preso in considerazione 319 donne, sottoponendole a controlli sia del collo dell'utero che dell'ano. Ne è emerso che il 57% delle donne erano affette da almeno un tipo di HPV ad alto rischio di causare degenerazioni cancerose. L'infezione con HPV ad alto rischio e le lesioni cancerose (di vario grado) sono state riscontrate più frequentemente nell'ano, anziché nella cervice.
Le donne con precedenti di lesioni cervicali avevano probabilità maggiori di sviluppare lesioni anali; quelle che hanno dichiarato di aver avuto rapporti anali, al contrario, non sono risultate più a rischio di svilupparne.
Secondo gli autori, questi risultati dimostrano che è quanto mai opportuno introdurre programmi regolari di screening del canale anale per le donne con infezione da HIV.
Le linee guida europee (pubblicate dall'EACS) già raccomandano il monitoraggio della salute del canale anale per gli uomini omo- e bisessuali, ma se questi controlli vengono davvero effettuati dipende dalle raccomandazioni e dalle risorse disponibili a livello nazionale e locale.
Uno studio belga ha invece rilevato elevati tassi di alterazioni precancerose negli uomini omo- e bisessuali affetti da HPV.
Lo studio ipotizza che il principale fattore di rischio per tali alterazioni sia un basso nadir (il valore più basso raggiunto dalla conta dei CD4), il che sarebbe in linea con i risultati di precedenti studi sulle alterazioni cellulari precancerose del canale anale.
Sembra incidere anche da quanto tempo i livelli di carica virale sono scesi sotto la soglia di rilevabilità: sia questo studio che altri hanno infatti riscontrato che un paziente che tiene sotto controllo la carica virale da più tempo è meno a rischio di sviluppare un carcinoma anale. Lo studio non ha invece approfondito il rapporto tra rischio di carcinoma e trattamento precoce dell'HIV.
Sia per gli uomini che per le donne, le lesioni anali spesso migliorano senza bisogno di trattamento.
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Allegato: EACS 2013 - Secondo Bollettino