LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, in collaborazione con NAM, è lieta di fornirti la copertura scientifica ufficiale on-line della 20° Conferenza Internazionale sull'AIDS (AIDS 2014), che si terrà a Melbourne, Australia, dal 20 al 25 luglio 2014.
TERZO BOLLETTINO
Inadeguato l'investimento nella riduzione del danno per gli IDU
L'investimento internazionale nella riduzione del danno per i consumatori di sostanze stupefacenti per via iniettiva (IDU) è spaventosamente inadeguato, si è appreso alla Conferenza di Melbourne.
Ai delegati è stato riferito che gli stanziamenti coprono attualmente solo il 7% di quanto sarebbe necessario per attuare interventi così importanti per una popolazione estremamente vulnerabile all'HIV e alle epatiti virali.
Un'indagine internazionale ha rilevato che nel 2010 la somma destinata alla riduzione del danno è stata di 160 milioni di dollari statunitensi, vale a dire una piccolissima parte di quei 2,3 miliardi che servirebbero per fornire una copertura adeguata.
Tra gli elementi fondamentali degli interventi di riduzione del danno per gli IDU si possono annoverare i programmi di scambio di siringhe, la terapia sostitutiva degli oppiacei, l'offerta di test e counseling per l'HIV e di terapia antiretrovirale, la distribuzione di preservativi, l'accesso a diagnosi e trattamento delle MST, delle epatiti virali e della tubercolosi.
Eppure in 71 paesi al mondo non esistono programmi per lo scambio di siringhe, e in ben 81 non viene offerta la terapia sostitutiva.
I dati sembrerebbero addirittura indicare che il finanziamento dei programmi di riduzione del danno sia progressivamente calato a partire dal 2010.
Secondo Sir Richard Branson, membro della Commissione Globale per le politiche sulle droghe, si passa troppo tempo a mettere in prigione chi fa uso di stupefacenti, sprecando risorse che sarebbero meglio spese in interventi per l'educazione e nell'offerta di trattamento.
Dalla Conferenza giunge un appello affinché l'investimento sulla riduzione del danno arrivi al 10% delle spese totali per le politiche antidroga entro il 2016.
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Scarica il rapporto sulla crisi dei finanziamenti alla riduzione del danno dal sito di Harm Reduction International
Counseling di coppia per aumentare l'efficacia della TasP
Da uno studio condotto in Zambia emerge che l'offerta di test e counseling volontario per coppie (couples voluntary counselling and testing, CVCT) può essere un'arma efficace per ridurre l'incidenza dell'HIV all'interno delle coppie.
Il CVCT prevede che le coppie possano usufruire insieme di un servizio di counseling prima ed eventualmente anche dopo il test, ed eseguire insieme il test stesso.
A Lusaka, nello Zambia, hanno usufruito del CVCT circa 150.000 coppie.
I dati raccolti dai ricercatori attestano che il CVCT contribuisce a ridurre l'incidenza dell'HIV nelle coppie e ad accrescere l'efficacia della terapia come prevenzione (TasP).
Il CVCT, inoltre, risulta molto efficiente in termini di rapporto costi/benefici.
"Il counseling di coppia andrebbe inserito tra le priorità dei centri che somministrano il trattamento con antiretrovirali in Africa", commentano gli autori dello studio. "Il nostro lavoro dimostra che il CVCT aumenta l'efficacia del trattamento sia sotto il profilo della prevenzione che sotto quello dei costi."
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Abstract dello studio sul sito ufficiale della conferenza
'Test a tappeto' altamente accettato nel Sudafrica rurale
In uno studio in cui sono stati offerti a tappeto test e trattamento dell'HIV agli abitanti della provincia rurale del KwaZulu Natal è risultato che la popolazione locale accettava di buon grado il servizio che offriva di fare il test a domicilio; tuttavia, chi risultava positivo impiegava più tempo del previsto a iniziare il trattamento.
Lo studio, denominato ANRS 12249, è uno dei vari trial in corso nell'Africa meridionale mirati a verificare l'ipotesi che i programmi di 'test-and-treat' universale possano, da soli, abbattere l'incidenza dell'HIV in modo sufficiente a porre fine all'epidemia.
Nella fase pilota è stato rilevato che l'82% delle persone a cui veniva offerto di eseguire il test per l'HIV a casa accettava di farlo, un dato paragonabile a quello ottenuto da studi simili in altre parti dell'Africa. Il numero di persone che si rivolgevano alla clinica locale e intraprendevano il trattamento è invece stato inferiore al previsto: nel giro di un anno, hanno iniziato la terapia circa la metà di coloro che erano risultati positivi al test. Tuttavia, il linkage to care ('aggancio ai trattamenti') sembra svolgere un ruolo importante, dacché l'85% delle persone che hanno ricevuto il trattamento immediato poi iniziava la terapia nel giro di un anno.
Questi dati sembrano indicare che i meccanismi di aggancio al sistema sanitario rappresenteranno un elemento chiave per il successo delle strategie di 'test-and-treat' per ampliare prevenzione e trattamento dell'HIV.
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Abstract dello studio sul sito ufficiale della Conferenza
Criminalizzazione del sesso tra uomini deleteria per la salute pubblica
Un'indagine internet globale su 4000 uomini che fanno sesso con altri uomini (MSM) rivela che un partecipante su 12 è stato arrestato o condannato per reati legati all'omosessualità, e che chi viene criminalizzato ha minore accesso ai servizi sanitari.
Lo studio, condotto nel 2012, ha riscontrato che il 24% degli intervistati dell'Africa sub-sahariana erano stati arrestati o condannati per via del loro orientamento sessuale.
Chi veniva arrestato o condannato aveva meno probabilità di accedere a preservativi, test e trattamento per le infezioni sessualmente trasmesse, test per l'HIV, cure mediche e servizi per la salute mentale.
Negli uomini HIV-positivi, l'arresto o la condanna risultava associato con tassi inferiori di accesso alla terapia antiretrovirale.
All'inizio del 2014, in Nigeria è stata approvata una dura legislazione anti-gay. Alla Conferenza è stato riferito che queste nuove leggi stanno già ostacolando il reclutamento di partecipanti per uno studio sulla salute e il comportamento degli MSM nel paese, e che ci sono stati arresti di operatori sociali attivi sul territorio.
Secondo una dichiarazione dell'OMS rilasciata alla Conferenza, la tutela dei diritti umani è cruciale per tenere a bada l'epidemia da HIV. L'organizzazione raccomanda che:
- i Paesi si attivino per promulgare e attuare leggi anti-discriminazione;
- siano ovunque disponibili servizi sanitari accessibili e accettabili per gli MSM;
- si affronti e si combatta il problema della violenza contro gli MSM e si offrano programmi a sostegno di questa popolazione.
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Abstract di questa sessione sul sito ufficiale della Conferenza
PEP, bassi tassi di completamento dei cicli terapeutici
Solo il 50% circa delle persone che iniziano un ciclo di PEP (profilassi post-esposizione) portano a termine il trattamento: è quanto emerge da una meta-analisi di 97 studi separati che hanno complessivamente coinvolto oltre 21.000 persone.
La PEP consiste in un ciclo di trattamento della durata di 28 giorni con uno o più antiretrovirali che vengono somministrati a individui sieronegativi dopo una possibile esposizione al virus dell'HIV.
L'intento dei ricercatori era determinare la percentuale di persone che portava effettivamente a termine il trattamento.
Dai risultati emerge che da fase a fase c'è un progressivo abbandono del trattamento, con sbalzi marcati in alcuni passaggi. Complessivamente, infatti:
- il 14% delle persone considerate eleggibili per la PEP non hanno mai neppure iniziato il trattamento;
- solo il 57% di chi l'ha iniziato l'ha poi portato a termine;
- tra coloro che l'hanno portato a termine, il 31% non si è presentato alla visita di follow-up che prevede, tra l'altro, di effettuare il test per l'HIV.
I tassi di completamento sono risultati particolarmente bassi tra le sex worker e tra coloro che avevano fatto ricorso alla PEP a seguito di una violenza sessuale.
Secondo i ricercatori c'è ancora molto da fare per aumentare il ricorso alla PEP e migliorare i tassi di ritenzione in cura; inoltre sarebbe opportuno semplificare gli approcci terapeutici.
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Carcinoma anale, notizie incoraggianti per i maschi omosessuali
Dai primi risultati di uno studio australiano pare che potrebbe non essere necessario sottoporre a trattamento tutti i maschi omosessuali HIV-positivi che presentano lesioni in grado di progredire in carcinoma anale. Nella maggior parte dei casi, infatti, le lesioni scompaiono spontaneamente, e un attento monitoraggio può essere più efficace e meno invasivo del trattamento farmacologico o di un intervento chirurgico.
Il carcinoma anale e i suoi precursori, la displasia e la neoplasia (anomala crescita cellulare e alterazioni dei tessuti), sono più frequenti nei pazienti HIV-positivi – soprattutto negli MSM – rispetto al resto della popolazione.
In Australia è in corso uno studio su maschi omosessuali con e senza HIV mirato a stabilire la percentuale di uomini con displasia o neoplasia anale sviluppa poi il carcinoma. I risultati intermedi mostrano che le anomalie sono scomparse spontaneamente in quasi metà dei partecipanti, senza differenze in base all'età o allo stato sierologico.
Questi risultati "rappresentano una prova convincente del fatto che non tutte le affezioni gravi della regione anale richiedano un intervento terapeutico e che pertanto il trattamento possa essere riservato a chi presenta lesioni molto persistenti", ha commentato il dott. Andrew Grulich del Kirby Institute, Università del New South Wales. La maggior parte delle lesioni evidenziate da un singolo esame diagnostico "guariranno da sole", ha aggiunto lo studioso.
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Abstract dello studio sul sito ufficiale della Conferenza
Trattamento dell'HIV, maraviroc non all'altezza del backbone NRTI
Un regime antiretrovirale in cui gli NRTI sono stati sostituiti dall'inibitore del co-recettore CCR5 maraviroc (Celsentri) si è dimostrato meno efficace della terapia standard con emtricitabina e tenofovir (combinati nel Truvada), come dimostra un nuovo studio.
La terapia dell'HIV consta generalmente di una combinazione di tre farmaci di tre diverse classi. I farmaci di 'backbone' (o di accompagnamento) sono nella maggior parte dei casi due inibitori nucleosidici o nucleotidici della trascrittasi inversa (NRTI). Gli NRTI sono tuttavia associati a molti degli effetti collaterali causati dal trattamento a lungo termine.
Per questo un gruppo di ricercatori ha deciso di sperimentare la sostituzione degli NRTI con il maraviroc, un farmaco appartenente alla classe degli inibitori del co-recettore CCR5.
Il maraviroc si è dimostrato buono sotto il profilo della sicurezza e ben tollerato in termini di effetti collaterali; inoltre ha una buona capacità di penetrazione nel tratto genitale, il che significa che il suo impiego potrebbe contribuire a prevenire la trasmissione del virus.
Lo studio ha preso in considerazione pazienti che iniziavano per la prima volta il trattamento dell'HIV, che sono stati randomizzati per ricevere o il maraviroc o il Truvada in combinazione con darunavir potenziato con ritonavir (Prezista). Tutti i partecipanti (circa 800 in tutto) presentavano un ceppo di HIV sensibile al maraviroc.
La sperimentazione doveva durare 96 settimane, e aveva come endpoint primario la percentuale di pazienti con carica virale non rilevabile (http://www.aidsmap.com/Undetectable-viral-load/page/1320141/) alla 48° settimana.
Arrivati a questo primo giro di boa, solo il 77% dei pazienti trattati con maraviroc aveva abbattuto la carica virale sotto la soglia di rilevabilità, contro l'87% di quelli trattati con Truvada. Il maraviroc ha conseguito i risultati più deludenti nei pazienti con cariche virali molto elevate (al di sopra delle 100.000 copie/ml).
Lo studio è stato dunque interrotto, perché il maraviroc non si era dimostrato non-inferiore rispetto al Truvada.
Il maraviroc resta comunque un possibile sostituto di un NRTI di backbone, per esempio per i pazienti che optano per uno switch terapeutico dopo aver ottenuto la soppressione della carica virale con la tradizionale terapia a base di NRTI.
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Abstract dello studio sul sito ufficiale della Conferenza
Tubercolosi, accelerare diagnosi e trattamento
La decentralizzazione della gestione terapeutica della tubercolosi farmacoresistente (DR-TB) e l'impiego di un nuovo test diagnostico denominato Xpert MTB/RIF possono contribuire a ridurre da 50 a 7 giorni i tempi che intercorrono tra l'arrivo in clinica del paziente all'inizio del trattamento in un gruppo di popolazione con alta prevalenza di coinfezione HIV/TB: è il risultato di uno studio condotto a Khayelitsha, in Sudafrica.
L'Xpert MTB/RIF è un test rapido per l'identificazione di eventuali resistenze del ceppo di TB alla rifampicina sempre più utilizzato come strumento diagnostico per la gestione della tubercolosi nei paesi con elevata prevalenza di coinfezione HIV/TB: tuttavia, ci sono ancora evidenze limitate dell'impatto che può avere per migliorare l'accesso alle cure.
Ridurre i tempi che intercorrono tra l'insorgenza di sintomi compatibili con la tubercolosi e l'inizio del trattamento è fondamentale: se passa troppo tempo, aumenta il rischio che la tubercolosi abbia esito letale, o che il paziente rinunci a cercare di curarsi e nel frattempo trasmetta la malattia alle persone vicine.
Dallo studio in Sudafrica emerge che decentralizzando il trattamento della tubercolosi farmacoresistente è possibile accorciare i tempi che intercorrono tra la diagnosi e l'inizio del trattamento, dalle attuale nove settimane fino a meno di quattro. L'impiego dell'Xpert MTB/RIF consente inoltre di ridurre ulteriormente i tempi fino a una media di sette giorni, con l'ingresso in trattamento di oltre il 90% dei pazienti HIV-positivi e con ceppi di TB resistenti alla rifampicina.
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Allegato: AIDS 2014 - Terzo Bollettino
la traduzione dei bollettini è a cura di LILA Onlus, con il sostegno del Circolo Aziendale GD.