LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, in collaborazione con NAM, è lieta di fornirti la copertura scientifica ufficiale on-line della XXII Conferenza sui Retrovirus ed Infezioni Opportunistiche, che si terrà a Seattle, negli Stati Uniti, dal 23 al 26 febbraio 2015.
PRIMO BOLLETTINO
Dati rivoluzionari dal fronte PrEP: con i farmaci preventivi le infezioni calano dell'86%
La notizia più entusiasmante proveniente da questa edizione del CROI riguarda la profilassi pre-esposizione (PrEP), ossia l'assunzione di antiretrovirali da parte di persone HIV-negative a scopi preventivi.
Due studi sulla PrEP condotti su uomini omosessuali e donne transessuali hanno dimostrato che, quando è possibile assumere la PrEP, il tasso di infezione da HIV diminuisce dell'86%. Si tratta dei più elevati livelli di efficacia mai registrati fino ad adesso, senza contare che sono superiori a quelli ottenuti con la maggior parte degli altri interventi di prevenzione. E il dato straordinario è che due studi indipendenti l'uno dall'altro – nei quali la PrEP è stata somministrata con modalità molto differenti tra loro – hanno riscontrato gli stessi identici livelli di efficacia.
Lo studio PROUD è stato condotto in Inghilterra, mentre lo studio IPERGAY in Francia e Canada. Per entrambi sono stati arruolati uomini che fanno sesso con uomini (MSM) e donne transessuali ad alto rischio HIV. I partecipanti infatti avevano multipli partner sessuali; utilizzavano il preservativo in modo incostante o irregolare; presentavano alti tassi di infezioni a trasmissione sessuale; molti avevano già avuto bisogno di ricorrere alla profilassi post-esposizione (PEP) in passato; e infine, facevano diffusamente uso di droghe. Generalmente si trattava di individui ben istruiti e con un'occupazione a tempo pieno.
Tutti e due erano stati concepiti come studi pilota che aprissero la strada a sperimentazioni più ampie in futuro. Il fatto che entrambi abbiano dimostrato livelli di efficacia tanto elevati e statisticamente significativi su poche centinaia di partecipanti non solo testimonia l'efficacia preventiva della PrEP, ma rivela anche quanto sia alto il tasso di infezione in determinati gruppi di maschi omosessuali nei paesi occidentali.
I due studi presentavano però anche rilevanti differenze.
Nello studio PROUD, quello britannico, i partecipanti dovevano assumere giornalmente un combinato a base di tenofovir ed emtricitabina (Truvada); per il gruppo di controllo era invece prevista non già l'assunzione di un placebo, ma un inizio differito (di un anno) dell'assunzione dello stesso combinato.
Lo studio IPERGAY, invece, si proponeva di testare – per la prima volta – la fattibilità della cosiddetta PrEP 'intermittente'. Ai partecipanti è stato detto di assumere il farmaco solo prima e dopo l'effettivo rapporto sessuale: una dose nelle 24 ore precedenti il rapporto programmato e – se esso aveva effettivamente luogo – altre due dosi nei due giorni seguenti. È un approccio che senz'altro facilita l'aderenza terapeutica, senza contare che riduce i costi della terapia e limita gli effetti collaterali. Anche per questa sperimentazione è stato impiegato il Truvada; al gruppo di controllo è stato somministrato un placebo.
Lo studio PROUD ha registrato un tasso di nuove infezioni dell'1,3% all'anno nel gruppo che assumeva la PrEP, contro l'8,9% nel gruppo con inizio differito. Una differenza che, in termini percentuali, corrisponde a un'efficacia dell'86%.
Nello studio IPERGAY, invece, le nuove infezioni nel gruppo che riceveva la PrEP si sono fermate allo 0,9%, contro il 6,8% nel gruppo di controllo: anche qui, in termini percentuali la differenza è dell'86%.
Nei due studi, tra gli individui randomizzati per ricevere la PrEP, quelli che hanno contratto l'HIV sono complessivamente cinque. Si ritiene però che non abbiano effettivamente assunto i farmaci: quattro hanno smesso di presentarsi alle visite di controllo o restituivano i flaconi inutilizzati, mentre per quanto riguarda il quinto individuo, si pensa che abbia contratto il virus nel periodo precedente all'inizio dell'assunzione della PrEP.
Da entrambe le sperimentazioni sono emersi dati confortanti anche in termini di insorgenza di effetti collaterali e farmaco-resistenze nonché delle eventuali ripercussioni sul comportamento sessuale.
L'aderenza terapeutica è risultata più che buona in entrambi gli studi, malgrado le notevoli differenze nella somministrazione dei farmaci in termini di tempi e dosaggi. Lo studio PROUD mirava a riprodurre le condizioni reali di un paziente in Inghilterra, e ha dimostrato che i timori che l'aderenza sia scarsa sono da considerarsi infondati. IPERGAY invece mostra che gli MSM possono agevolmente assumere la PrEP in un modo compatibile con il loro stile di vita, massimizzando la propria sicurezza.
Link collegati
- Resoconto completo sui risultati dello studio PROUD su aidsmap.com
- Webcast della presentazione dello studio PROUD
- Resoconto completo sui risultati dello studio IPERGAY su aidsmap.com
- Webcast della presentazione dello studio IPERGAY
Deludono i risultati dello studio su un microbicida vaginale
Dopo gli incoraggianti risultati degli studi sulla PrEP presentati alla Conferenza, una forte delusione arriva invece da un altro fronte della prevenzione HIV: FACTS 001, uno studio mirato a verificare l'efficacia di un gel microbicida vaginale a base di tenofovir, si è concluso con un nulla di fatto. Non è stata rilevata alcuna differenza nei tassi di infezione con HIV nelle donne che facevano uso di questo gel rispetto a quelle del braccio di controllo con placebo.
Non è il primo studio sui microbicidi a non dare i risultati sperati: gli altri però richiedevano tutti che le partecipanti applicassero il gel quotidianamente, mentre FACTS 001 mirava a testare l'efficacia dell'uso intermittente del microbicida: l'applicazione era infatti prevista solo una volta a ridosso del rapporto sessuale e una volta il giorno successivo. Gli autori puntavano a replicare i risultati di CAPRISA 004, lo studio che aveva fatto ben sperare nel 2010, ottenendo con quello stesso gel microbicida a base di tenofovir un'efficacia preventiva del 39%.
Con un numero di partecipanti che di poco superava le 2000, questo studio era più vasto di CAPRISA 004; l'età media delle donne reclutate, inoltre, era di 23 anni, quindi inferiore rispetto al precedente studio. Le donne più giovani sono infatti particolarmente vulnerabili all'infezione da HIV e al contempo possono incontrare particolari difficoltà ad attuare con costanza le strategie preventive.
Gli autori si sono preoccupati che le partecipanti potessero contare sul sostegno delle loro comunità e che avessero accesso a programmi educativi, il che ha effettivamente migliorato almeno parzialmente l'aderenza. Quella minoranza di donne riuscite a far uso del gel al tenofovir nell'80% delle occasioni in cui hanno avuto rapporti sessuali hanno avuto il 57% in meno di infezioni.
Nel complesso, tuttavia, l'aderenza è rimasta bassa, facendo sì che i tassi complessivi di infezioni da HIV nelle donne che hanno fatto uso del gel al tenofovir risultassero uguali a quelli delle donne che hanno usato il placebo (4% in entrambi i bracci).
Sono risultati che evidenziano come per le donne giovani e più vulnerabili all'infezione da HIV manchino ancora strategie preventive adeguate al loro stile di vita ed effettivamente attuabili.
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Terapia triplice più efficace nel prevenire la trasmissione dell'HIV da madre a figlio
Somministrando alle donne in gravidanza una terapia antiretrovirale basata su una combinazione di tre farmaci, così come raccomandato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), si ottengono tassi sensibilmente più bassi di trasmissione dell'HIV da madre a figlio: è quanto emerge da uno studio randomizzato condotto in sette diversi paesi. Lo studio, denominato PROMISE, si è svolto nell'Africa sub-sahariana ed in India.
Per lo studio sono state arruolate 3529 donne in stato di gravidanza, in stato di salute generalmente buono, che non sarebbero altrimenti state considerate eleggibili per ricevere la terapia nei rispettivi paesi. Le partecipanti presentavano una conta mediana dei CD4 di 530 cellule/mm3 ed erano alla 26° settimana mediana di gravidanza.
Un gruppo è stato randomizzato per ricevere quella che l'OMS definisce 'opzione A': zidovudina a partire dalla 14° settimana di gestazione più una singola dose di nevirapina al momento del parto. Per i 14 giorni successivi, alle pazienti è stata inoltre somministrata una terapia a base di tenofovir e emtricitabina per ridurre al minimo il rischio che sviluppassero una resistenza alla nevirapina.
Un altro gruppo di partecipanti è stato invece randomizzato per ricevere l''opzione B', ossia una terapia triplice da assumere a partire dalla 14° settimana di gestazione fino a tutto il periodo dell'allattamento. Il regime era a base di inibitori della proteasi come lopinavir e ritonavir. A seconda della randomizzazione, come farmaci di backbone sono stati impiegati o lamivudina e zidovudina, o tenofovir e emtricitabina. (Quando lo studio era già stato avviato, l'OMS ha aggiornato le sue linee guida e raccomanda adesso un regime a base di efavirenz come opzione B).
Il tasso di trasmissione è risultato basso in entrambi i gruppi, ma con la terapia triplice calava ulteriormente, e in maniera sensibile: 0,6% contro 1,8%.
In termini di sicurezza, la somministrazione di terapia triplice è risultata associata a un rischio più elevato di eventi avversi di grado moderato oppure di esiti complicati, per esempio parti prematuri o bambini nati sottopeso. Non si sono invece rilevate differenze in termini di eventi di maggiore gravità.
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Africa, accesso al test HIV per le donne che allattano
Nei paesi africani ci sono alti tassi di infezione da HIV non diagnosticata nelle donne che allattano, il che espone i bambini a un elevato rischio di contrarre a loro volta il virus. Lo attestano i dati raccolti nell'ambito di un'indagine effettuata su 11.500 donne in tre diverse comunità, rispettivamente in Kenya, Malawi e Sudafrica. Le partecipanti hanno risposto a domande sulle cure prenatali che avevano ricevuto e si sono sottoposte al test per l'HIV (compreso quello per la diagnosi di infezione recente).
Sebbene oltre l'85% delle donne coinvolte avesse effettuato un test per l'HIV durante il periodo prenatale, è emerso che molte avevano contratto il virus successivamente, nel periodo di gestazione o in quello di allattamento: il 4% delle donne che avevano avuto esito negativo al test prima del parto e stavano ancora allattando al momento dell'indagine risultavano invece HIV-positive al momento dell'indagine.
Per giunta, c'è il rischio che queste donne abbandonino le cure, con il risultato che la loro carica virale sale a livelli elevati. A questo proposito, nell'indagine, si è osservata una certa divergenza nei dati a seconda del paese: la situazione in Kenya (dove alle donne in gravidanza la terapia antiretrovirale viene offerta per un periodo di tempo limitato, l''opzione A' dell'OMS) è risultata più grave di quella del Malawi (dove invece le donne in gravidanza possono ricevere le terapie a vita, o 'opzione B').
Gli autori dell'indagine auspicano pertanto che il test per l'HIV venga effettuato a più riprese nel corso della gestazione e per il periodo di allattamento, e che alle donne venga offerta la possibilità di effettuarlo anche in altri contesti, al di fuori del percorso di cure prenatali.
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Allegato: CROI 2015 - Primo Bollettino
La traduzione dei bollettini è a cura di LILA Onlus, con il sostegno del Circolo Aziendale GD.