LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, in collaborazione con NAM, è lieta di fornirti la copertura scientifica ufficiale on-line della XXIII Conferenza sui Retrovirus ed Infezioni Opportunistiche - CROI 2016, in corso a Boston, negli Stati Uniti, dal 22 al 25 febbraio 2016.
QUARTO BOLLETTINO
Il gap nell'aspettativa di vita
Da uno studio che ha raffrontato l'aspettativa di vita di persone HIV- positive e negative tra gli assicurati di Kaiser Permanente in California emerge che l'aspettativa di vita delle persone che vivono con l'HIV è sì aumentata, ma per i ventenni resta di 13 anni inferiore a quella dei loro coetanei HIV-negativi.
I dati si riferiscono a circa 25.000 persone con infezione da HIV titolari di una polizza sanitaria Kaiser Permanente, che sono stati messi a confronto con un campione dieci volte superiore di assicurati HIV-negativi.
Nel 1996, per un ventenne che contraeva l'HIV l'aspettativa di vita era di soli 39 anni: nel 2011, era salita a 73. Nell'arco degli stessi 15 anni, però, per le persone HIV-negative l'aspettativa di vita è costantemente rimasta sugli 85 anni.
Gli autori dello studio hanno preso in considerazione anche i dati relativi a persone HIV-positive che non presentavano fattori di rischio di cattiva salute. Iniziando la terapia antiretrovirale con una conta dei CD4 superiore a 500 cellule/mm3, l'aspettativa di vita aumentava di cinque anni, che salivano a sei anni per i pazienti che non avevano una coinfezione con epatite B o C o precedenti di abuso di droga o alcol.
A fare la differenza più grande però è risultato essere il fumo. Chi non era mai stato fumatore, infatti, aveva un'aspettativa di vita superiore di quasi otto anni: cinque di meno, tuttavia, rispetto a una persona HIV-negativa.
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Abstract dello studio sul sito ufficiale della Conferenza
Webcast della presentazione sul sito ufficiale della Conferenza
Migliorare la treatment cascade nei paesi africani
Gli interventi mirati ad aumentare la percentuale di diagnosi delle infezioni da HIV, di persone che iniziano la terapia e di quelle che rimangono in cura sono stati uno dei temi principali della Conferenza di quest'anno.
Le unità mobili per l'offerta di test e counselling per l'HIV si sono dimostrate un mezzo efficace per aumentare il tasso di diagnosi negli uomini e in altri gruppi più difficili da raggiungere, ma l'aggancio alle cure resta un tasto dolente. Uno studio randomizzato condotto in Sudafrica ha riscontrato un aumento, seppur modesto, dei tassi di accesso alle cure quando ai pazienti veniva offerta la possibilità di effettuare un test per la conta dei CD4 al point of care e di ricevere counselling per superare gli ostacoli, anche personali, che impediscono loro di richiedere cure per l'HIV. Ciò nonostante, soltanto il 50% di coloro che avrebbe avuto immediatamente bisogno di ricevere il trattamento entrava in cura nel giro di sei mesi dalla diagnosi, un dato che sottolinea la necessità di lavorare ancora sulla fase di aggancio alle cure. L'offerta del test dei CD4 al point of care da sola, invece, non ha mostrato di migliorare i tassi di accesso alle cure.
Il programma Opzione B+ in Malawi ha drasticamente migliorato la treatment cascade del gruppo delle donne HIV-positive in gravidanza in questo paese: in soli quattro anni, la percentuale delle infezioni da HIV diagnosticate in questo gruppo è salita dal 49 all'80% di quelle stimate, e quella delle pazienti che hanno ottenuto la soppressione virologica è addirittura balzata dal 2 al 49%. Il programma è stato attuato tenendo conto dei limiti del sistema sanitario locale: è stato raddoppiato il numero di centri in cui veniva offerta la terapia antiretrovirale (ART), in modo che quasi tutti potessero agevolmente raggiungerne uno anche a piedi; inoltre per consentire anche a operatori sanitari con una formazione più limitata di erogare il trattamento, sono state semplificate le linee guida, potenziando invece la supervisione clinica.
Resta ugualmente difficoltoso mantenere in cura le pazienti una volta finita la gravidanza. Le donne HIV-positive che non hanno rivelato al partner il proprio stato sierologico, che non conoscono quello del partner o che non hanno potuto essere adeguatamente informate sui benefici dell'assunzione del trattamento per il resto della vita hanno probabilità molto elevate di interrompere le terapie.
Uno studio randomizzato condotto in Kenya ha riscontrato dei miglioramenti nella ritenzione in cura di un campione di donne HIV-positive a sei mesi dal parto. Mettendo a disposizione un pacchetto di interventi come un'educazione alla salute personalizzata, visite a domicilio e promemoria per gli appuntamenti medici, andando fisicamente a cercare le pazienti che non si presentavano alle visite mediche e offrendo un sostegno mirato per aderenza e mantenimento in cura, il tasso di ritenzione è salito dal 19 al 28%.
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Resoconto completo dello studio condotto in Sudafrica su aidsmap.com
Resoconto completo dei progressi del Malawi nel raggiungimento dell'obiettivo 90-90-90 su aidsmap.com
Resoconto completo dello studio sulla ritenzione in cura post-gravidanza su aidsmap.com
Vaccino per l'HPV e carcinoma anale
Il vaccino quadrivalente per l'HPV Gardasil non protegge gli adulti HIV-positivi dall'infezione anale persistente con papillomavirus umano (HPV) o dallo sviluppo di lesioni intraepiteliali squamose di alto grado (HSIL): è quanto emerge da uno studio randomizzato controllato con placebo.
Il carcinoma del canale anale associato a HPV è una delle neoplasie di origine infettiva più diffuse tra le persone HIV-positive. La strategia più efficace per prevenire questo tipo di tumori, così come quelli alla cervice uterina, è vaccinarsi prima di diventare sessualmente attivi o di contrarre un ceppo di HPV associato allo sviluppo del cancro. Negli Stati Uniti, il vaccino viene offerto a ragazzi e ragazze in età pre-puberale, ed è raccomandato per gli uomini che fanno sesso con altri uomini (men who have sex with men, MSM) e per le persone HIV-positive fino a 26 anni.
Questo studio si proponeva di stabilire se lo stesso vaccino poteva rivelarsi efficace anche per persone HIV-positive che avessero superato questa età. È stato perciò selezionato un campione di 575 partecipanti, età media 47 anni, per lo più uomini, il 60% dei quali presentava già un'infezione con uno o più ceppi HPV causa di cancro coperti dal vaccino quadrivalente. Sono invece stati esclusi pazienti che avessero già sviluppato il carcinoma.
Dopo tre anni, non sono state rilevate differenze nei tassi di HPV o HSIL del canale anale. Gli autori dello studio ipotizzano che la mancata efficacia del vaccino sia imputabile alla possibile presenza di infezioni pregresse non individuate dal test HPV DNA anale e al fatto che il vaccino non è in grado di stimolare un'immunità cellulare che consenta di sanare le infezioni pregresse.
La vaccinazione delle persone HIV-positive sopra i 26 anni di età per la prevenzione del carcinoma anale resta pertanto non raccomandata.
Tuttavia, dato che il vaccino ha dato prova di prevenire, almeno in certa misura, la trasmissione dell'HPV per via orale, sarebbe opportuno condurre ulteriori studi sulle sue potenzialità in materia di prevenzione dei tumori del cavo orale.
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Funzionalità renale e PrEP
In due ampi studi su persone che assumevano tenofovir/emtricitabina (Truvada) come profilassi pre-esposizione (PrEP) sono state riscontrate lievi riduzioni della funzionalità renale, solitamente associate a dosaggi più alti di tenofovir o a età più avanzata.
Per esempio, nello studio iPrEx OLE si è osservata una generale diminuzione, seppur lieve, del tasso di smaltimento della creatinina (un calo del 2,5% del tasso di filtrazione glomerulare stimato nell'arco di 18 mesi): è stata però rilevata un'associazione statisticamente significativa tra tale diminuzione e la presenza di più elevati livelli di tenofovir o emtricitabina nei campioni di capelli prelevati dai partecipanti. Coloro che avevano assunto tutte e sette le dosi settimanali di PrEP, come dimostrato dai livelli di farmaci riscontrati nei capelli, presentavano tassi di smaltimento della creatinina inferiori del 5,6%. Il gruppo maggiormente a rischio di riduzioni clinicamente significative della funzionalità renale è risultato quello degli ultracinquantenni.
I dati dei due studi, considerati complessivamente, indicano che il Truvada è sicuro e ben tollerato nella maggior parte delle persone che lo assumono come PrEP, ma può dare problemi alla funzionalità renale in un certo numero di casi, pur non elevato, soprattutto se in presenza di altri fattori di rischio. Questo dato corrobora la raccomandazione dei CDC (Centers for Disease Control and Prevention) degli Stati Uniti di monitorare il tasso di smaltimento della creatinina per almeno sei mesi, con controlli più frequenti e ulteriori esami per chi presenta altri fattori di rischio come ipertensione e diabete.
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La ricerca di una cura: l'agonista del TLR7
Un'equipe di studiosi impegnati nella ricerca di una cura funzionale per l'HIV ha presentato nuovi dati sul GS-9620, un recettore toll-like (toll-like receptor, o TLR) o agonista del TLR7 già sperimentato in un primo studio su animali. Questi recettori espressi dalle cellule immunitarie sono elementi regolatori della risposta immunitaria innata o immediata, ma contribuiscono anche all'immunità acquisita, ossia alla capacità di riconoscere ed eliminare selettivamente determinati virus e agenti patogeni. L'attivazione del TLR7 determina un'aumentata presentazione dell'antigene e potenzia l'attività delle cellule natural killer, dei linfociti B (che producono anticorpi) e dei linfociti T CD4 e CD8.
A undici esemplari di macaca mulatta infettati con un virus della stessa famiglia dell'HIV e già in soppressione virologica con la ART tradizionale è stato somministrato questo agonista del TLR7 a basso dosaggio, dopodiché la ART è stata sospesa: due degli esemplari sono riusciti a mantenere il virus soppresso senza farmaci per almeno tre mesi.
Si tratta di un dato incoraggiante, che spinge a perseguire ulteriormente la linea di ricerca volta all'elaborazione di una terapia in grado di stimolare l'organismo a stanare l'HIV latente nei reservoir virali delle cellule infettate e a potenziare la risposta immunitaria virus-specifica negli esseri umani con un'infezione da HIV.
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Le potenzialità dell'espansione di trattamento e PrEP
Da un'analisi dell'andamento dell'epidemia da HIV negli Stati Uniti emerge che aumentare la disponibilità del trattamento efficace dell'HIV inciderebbe molto di più sul calo delle nuove infezioni dell'ampliamento dei programmi per la profilassi pre-esposizione (PrEP).
Attualmente, negli Stati Uniti sono diagnosticate l'87% delle infezioni da HIV stimate; l'80% delle persone con diagnosi di HIV è in cura e il 36% ha ottenuto l'abbattimento della carica virale. La strategia a livello nazionale mira a far salire queste percentuali rispettivamente al 90, 85 e 80%. Un obiettivo molto ambizioso, soprattutto per quanto riguarda l'ultimo dato, quello relativo all'abbattimento della carica virale.
Ogni anno, negli Stati Uniti, circa 50.000 persone contraggono l'HIV. Se si riuscisse a raggiungere questo obiettivo nei prossimi quattro anni, si eviterebbero ben 168.000 nuove infezioni.
L'analisi ha preso in considerazione anche l'impatto della PrEP, assunta dal 40% degli MSM ad alto rischio, dal 10% dei consumatori di stupefacenti per via iniettiva ad alto rischio e dal 10% degli eterosessuali ad alto rischio. Nello stesso lasso di tempo, si eviterebbero altre 17.000 infezioni.
Tuttavia, anche se i tassi di diagnosi e trattamento restassero stabili, l'ampliamento dell'offerta della PrEP sarebbe potenzialmente in grado, da sola, di prevenire 48.000 nuove infezioni: il suo impatto è dunque maggiore se più persone HIV-positive non assumono il trattamento e hanno una carica virale rilevabile.
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Un microbicida rettale si dimostra sicuro e accettabile
Alla Conferenza sono stati presentati i risultati del primissimo studio di fase II a sperimentare l'impiego di un microbicida rettale, un gel contenente l'1% di tenofovir. Gli studi di fase II sono finalizzati a stabilire la sicurezza di un farmaco, mentre i successivi studi di fase III – generalmente più ampi – mirano a verificarne l'efficacia.
In quattro diversi paesi sono stati selezionati 195 partecipanti, e ogni gruppo ha sperimentato tre diversi regimi per otto settimane: l'applicazione quotidiana del gel rettale, l'applicazione del gel rettale prima e dopo un rapporto sessuale anale da parte del partner recettivo, e l'assunzione della PrEP per via orale (Truvada).
Sotto il profilo della sicurezza è stato riscontrato che il tasso di effetti collaterali era identico nei regimi che prevedevano l'applicazione quotidiana del gel e l'assunzione orale della PrEP, mentre si abbassava leggermente con l'impiego del gel a ridosso del rapporto. L'aderenza è stata generalmente elevata, tranne che nel gruppo che applicava quotidianamente il gel, dove è stata un po' più bassa.
I partecipanti hanno dichiarato di trovare il gel facile da assumere quasi quanto la PrEP per via orale, e quelli che hanno sperimentato l'uso prima e dopo il rapporto sessuale si sono detti disposti a continuare a farlo. Tuttavia, se veniva loro chiesto di scegliere tra il gel e le pillole, la maggior parte dichiarava di preferire queste ultime. L'applicazione quotidiana di gel è risultata meno gradita di quella prima e dopo il rapporto sessuale.
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Uso del preservativo in un trial francese sulla PrEP
Un'analisi sull'uso del preservativo condotta nella fase controllata con placebo dello studio francese IPERGAY sull'efficacia della PrEP intermittente ha rilevato tendenze diverse nell'aderenza alla PrEP e nell'uso del preservativo:
- il 54% dei partecipanti hanno assiduamente mantenuto alti livelli di aderenza alla PrEP ma non usavano altrettanto assiduamente il preservativo;
- il 23,5% hanno sia mantenuto alti livelli di aderenza alla PrEP che fatto uso costante del preservativo;
- il 6,5% ha usato assiduamente il preservativo ma assumeva solo saltuariamente la PrEP;
- il 16% ha assunto solo raramente la PrEP e solo raramente ha usato il preservativo.
Da ulteriori dati provenienti dalla fase in aperto dello studio (quando i partecipanti erano consapevoli di assumere la PrEP) emerge che se il numero dei partner e la frequenza dei rapporti sessuali non variava, l'uso del preservativo diminuiva invece in modo lieve, ma statisticamente rilevante.
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Resoconto completo su aidsmap.com http://www.aidsmap.com/Condom-use-in-French-PrEP-trial-half-only-used-PrEP-a-quarter-used-condoms-and-PrEP-one-in-six-used-neither/page/3040265/
Allegato: CROI 2016 - Quarto Bollettino