Autore: UNAIDS
Data: 2020
Se il mondo era già in notevole ritardo nella sua corsa per la fine dell’AIDS come minaccia alla salute pubblica entro il 2030, la pandemia di COVID-19 potrebbe far rallentare ancor di più il passo. Una nuova epidemia ha messo fortemente in crisi il sistema sanitario di tutti i paesi, con conseguenze molto pesanti sulla risposta globale all’HIV, attraverso un rallentamento nella produzione e distribuzione dei farmaci, e un’interruzione di tanti servizi di assistenza per le persone che vivono con l’HIV. Secondo una stima condotta da UNAIDS e OMS un’interruzione di sei mesi nella distribuzione dei farmaci potrebbe portare a 500.000 nuovi decessi legati all’AIDS soltanto nell’Africa sub-sahariana entro la fine del 2021.
Nel suo ultimo report sui dati dell’epidemia di HIV registrati nelle diverse regioni del mondo, UNAIDS esprime tutta la sua preoccupazione per la situazione attuale e per l’eterogeneità dei risultati nella lotta a HIV/AIDS, in particolare nell’implementazione dell’accesso ai trattamenti. Nonostante la disponibilità di trattamenti efficaci, infatti, nel 2019, a livello globale, sono 690.000 i decessi legati all’AIDS e 1.7 milioni le nuove infezioni, dati che confermano il non raggiungimento degli obiettivi intermedi 2020 che miravano ad una riduzione sia dei decessi legati all’AIDS, sia delle nuove infezioni a meno di 500.000.
Dei 38 milioni di persone che vivono con l’HIV, 25.4 milioni sono le persone in trattamento, pertanto sono ben 12.6 milioni le persone che non hanno ancora accesso alle terapie salva-vita. Dal 2010, il numero delle nuove infezioni è calato del 23%, soprattutto grazie al significativo calo del 38% nei paesi dell’Africa orientale e meridionale. Sono stati registrati cali anche nelle isole caraibiche (29%), in Africa centrale e occidentale (25%), nei paesi dell’Europa centrale e occidentale e nord America (15%), in Asia e nel Pacifico (12%). Per contro l’epidemia è cresciuta altrove, con un aumento delle nuove infezioni del 72% nei paesi dell’est Europa e Asia centrale, del 22% in Medio Oriente e nord Africa e del 21% in America latina.
La violenza e le disparità basate sul genere continuano a trainare l’epidemia: nell’Africa sub-sahariana, una su quattro nuove infezioni si riscontra tra le giovani donne e le adolescenti, nonostante queste rappresentino solo circa il 10% dell’intera popolazione. Si stima che a livello globale, siano 243 milioni le donne (tra i 15 e i 49 anni) che hanno subito abusi fisici e/o sessuali da parte di un partner negli ultimi 12 mesi, condizione che le espone a un rischio 1.5 volte maggiore rispetto alle donne che non hanno vissuto esperienze di violenza. Anche tra i gruppi di popolazione più vulnerabili, l’alta prevalenza di violenza è collegata ad alti tassi di infezione da HIV: il rischio di infezione è 30 volte più alto tra le sex worker rispetto alla popolazione generale.
Circa il 62% delle nuove infezioni tra gli adulti hanno colpito le popolazioni chiave e i loro partner sessuali: nel 2019, a livello globale, quasi un quarto (23%) delle nuove infezioni tra gli adulti riguardavano i maschi omosessuali e altri uomini che fanno sesso con uomini (MSM). Questa popolazione rappresenta il 40% delle nuove infezioni in Asia, nel Pacifico e in America latina, ma la percentuale sale al 64% nella regione dell’Europa centrale e occidentale e nord America. In quest’ultima regione il rischio di infezione è estremamente alto tra i giovani maschi omosessuali e MSM (15-24 anni), che rappresentano il 36% delle nuove infezioni.
Circa il 10% delle nuove infezioni tra gli adulti riguarda le persone che consumano sostanze stupefacenti. Questa key population rappresenta circa la metà delle nuove infezioni nei paesi dell’est Europa e Asia centrale, il 43% in Medio Oriente e nord Africa, 17% in Asia e Pacifico, 15% in Europa centrale e occidentale e nord America. Uno stimato 8% delle nuove infezioni è stato segnalato tra i/le sex worker. In questo gruppo di popolazione, seppure a livello globale le donne transgender coprano solo una piccola parte delle nuove infezioni, in alcune zone il numero dei nuovi casi è eccessivamente più alto: è il caso dell’Asia e Pacifico (7%), America latina (6%) e le isole caraibiche (5%).
Grazie alla più alta copertura dei trattamenti antiretrovirali, dal 2010 al 2019, i decessi legati all’AIDS sono complessivamente diminuiti del 46% tra le donne e le adolescenti, e del 32% tra gli uomini e i giovani maschi adolescenti. In Africa orientale e meridionale, la regione con il più rapido aumento dei trattamenti, è stato registrato un calo della mortalità legata all’AIDS del 49%. Gli effetti di un maggiore accesso alle terapie antiretrovirali sono stati evidenti anche nelle regioni delle isole caraibiche, Africa centrale e occidentale, e nei paesi dell’Europa centrale e occidentale e nord America, con il 37% di decessi in meno rispetto al 2010. La regione dell’Asia e del Pacifico ha registrato un calo del 28%, mentre in America latina la riduzione dei decessi è stata meno marcata (8%). Un trend opposto prevale nei paesi dell’est Europa e Asia centrale, in cui i decessi sono saliti del 24%.
Stigma e discriminazione nei confronti delle persone che vivono con l’HIV continuano ad essere un elemento di grande ostacolo nella risposta all’HIV. Secondo alcuni sondaggi condotti da UNAIDS, in 25 dei 36 paesi analizzati più del 50% della popolazione adulta ha comportamenti discriminatori nei confronti delle persone che vivono con l’Hiv. Altri studi hanno confermato che atteggiamenti di questo tipo sono comuni anche negli ambienti sanitari, sotto forma di rifiuto nelle cure, atteggiamento di sdegno, obbligo nelle procedure mediche e violazione della riservatezza.
‘La crisi della prevenzione dell’HIV deve essere affrontata concedendo a tutti, ovunque, il diritto alla salute, con l’abbattimento di tutte le barriere che ostacolano l'accesso ai servizi essenziali’, ha detto Winnie Byanyima, direttrice esecutiva di UNAIDS, nella sua introduzione al report. E riferendosi alla pandemia di COVID-19, ha continuato ‘dobbiamo tenere a mente l’amara lezione tratta da una storia di disparità di accesso alle cure per il trattamento dell’HIV, costato la vita a milioni di persone che avrebbero potuto essere salvate’. ‘La risposta all’HIV e ad altre epidemie — ha concluso Winnie Byanyima — deve essere multisettoriale, a partire dalla garanzia di un’istruzione secondaria per tutti i ragazzi e le ragazze, alla non-discriminazione delle persone per chi sono o chi amano, fino a un approccio di salute pubblica basato sui diritti per ciò che concerne l’uso delle droghe.
Il documento originale è disponibile a questo link.
Allegato: UNAIDS Report 2020